venerdì 18 febbraio 2022


I CATARI DI REIMS

Una comunità dualista nella Champagne del XII secolo


Dal Chronicon Anglicanum di Ralph (Radulfo) di Coggeshall traggo un significativo brano in cui si parla dell'incontro tra alcuni rappresentanti della cultura egemone e due donne catare, avvenuto intorno al 1175 nei pressi dell'augusta città di Reims.

Ai tempi di Luigi, Re di Francia che generò Re Filippo, mentre l'errore di certi eretici, che sono chiamati Publicani in volgare, si stava diffondendo in molte delle province di Francia, una cosa portentosa avvene nella città di Reims in relazione a un'anziana donna infettata da quella piaga. Un giorno, mentre il Signore Guglielmo, arcivescovo di quella città e zio del Re Filippo, stava facendo una gita con i suoi chierici fuori della città, il Maestro Gervasio di Tilbury notò una ragazza che camminava da sola in una vigna. Spinto dalla curiosità di una gioventù dal sangue ardente, le si avvicinò, come più tardi sentimmo per sua bocca, quando egli era diventato un canonico. Egli la salutò e indagò attentamente di chi fosse la figlia, e cosa stesse facendo tutta sola in quel luogo; e poi, dopo aver contemplato per un po' la sua bellezza, le fece alla maniera dei cortigiani una proposta di amore lascivo. 

Lei fu molto imbarazzata e, rivolgendo gli occhi a terra, gli rispose con gesti semplici e una certa gravità: "Buon giovane, il Signore non desidera che io sia tua amica o amica di un qualsiasi uomo, perché se io dovessi perdere la mia verginità e se il mio corpo fosse sporcato anche una sola volta, sarei dannata in eterno senza alcuna speranza di porvi rimedio."

Come udì queste parole, il Signore Gervasio comprese all'istante che ella apparteneva alla più empia delle sette, quella dei Publicani, che a quel tempo venivano cercati dovunque per essere annientati, specialmente da Filippo, Conte delle Fiandre, che li perseguitava in modo spietato, con la giusta crudeltà. Alcuni di loro erano giunti in Inghilterra e furono catturati ad Oxford, dove per ordine del Re Enrico II vennero vergognosamente marchiati a fuoco sulla fronte con una chiave incandescente.


Mentre il suddetto chierico stava argomentando con la ragazza, cercando di dimostrare l'errore della sua risposta, l'Arcivescovo si avvicinò al corteo. Come apprese la causa della discussione, ordinò che la giovane fosse arrestata e portata con lui in città. Quando le si rivolse in presenza del suo clero e le citò molti passaggi scritturali e argomenti ragionati in modo da confutare i suoi errori, lei rispose che non aveva ancora appreso abbastanza per dimostrare la falsità degli argomenti presentati, ma ammise che aveva una maestra in città che avrebbe confutato facilmente le obiezioni di tutti.

Così, quando la ragazza ebbe rivelato il nome e la residenza della donna, essa fu immediatamente cercata e trovata, e convocata davanti all'Arcivescovo dai suoi ufficiali. Quando fu attaccata da tutti i lati dall'Arcivescovo stesso e dal clero con svariate domande e con testimonianze delle Sacre Scritture che avrebbero dovuto distruggere l'errore, tramite perverse interpretazioni ella alterò tutti i testi proposti, in modo tale che divenne evidente a tutti come lo Spirito di Tutti gli Errori parlasse per bocca sua.

Invero rispose facilmente a tutti i testi e le narrazioni che le venivano presentate, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, a menadito, come se padroneggiasse la conoscenza di tutte le Scritture e fosse stata ben istruita a questo tipo di risposte, mescolando il falso al vero e facendosi beffa della vera interpretazione della nostra fede con una perspicacia perversa. Quindi, siccome fu impossibile richiamare le menti ostinate di queste due persone dagli errori delle loro vie per mezzo di minaccia o persuasione, o di un qualsiasi argomento o passaggio scritturale, esse furono messe in prigione fino al giorno seguente.

Al mattino furono richiamate alla corte arcivescovile, davanti all'Arcivescovo e a tutto il clero, e alla presenza della nobiltà, esse furono di nuovo messe di fronte a molte buone ragioni affinché rinunciassero al loro errore pubblicamente. Ma siccome non ammisero in alcun modo le salutari ammonizioni, persistendo testardamente nell'errore adottato, fu decretato all'unanimità che entrambe fossero consegnate alle fiamme.

Quando il fuoco ebbe illuminato la città e gli ufficiali si prepararono a trascinarle alla punizione sentenziata, la signora dei vili errori esclamò: "O giudici stolti ed iniqui, pensate adesso di bruciarmi nelle vostre fiamme? Non temo il vostro giudizio, né tremo aspettando il fuoco!". Con queste parole, estrasse all'improvviso un gomitolo tratto dal suo seno e lo scaglò attraverso una grande finestra, afferrando l'estremità del filo con le mani: allora ad alta voce, udibile da tutti, esclamò: "prendetemi!", e fu sollevata da terra prima che gli occhi di tutti potessero seguire il gomitolo nel suo rapido volo, sostenuto - come crediamo - dal potere degli spiriti maligni che trasportarono Simon Mago nell'aria. Ciò che avvenne a quella donna malefica, o dove fu trasportata, gli astanti non poterono mai scoprirlo in alcun modo. 

Ma la ragazza non era ancora coinvolta così a fondo nella follia della setta; e, siccome era ancora presente, si sarebbe potuta salvare dalla testarda maledizione in cui si era imbarcata, ma non fu distolta né dalla ragione, dalla persuasione o dalla promessa di ricchezze. Così fu bruciata. Causò grande stupore in molti, perché non emise un solo sospiro, né una lacrima, né un gemito, ma sopportò l'intera agonia della combustione con fermezza e letizia, come una martire di Cristo.


Per comprendere meglio il contesto, occorre fare alcune precisazioni sui protagonisti di questa narrazione. Il sovrano di cui si parla in questa narrazione è Luigi VII, detto il Giovane. L'Arcivescovo Guglielmo di Reims (1176-1202) era il figlio del Conte Thibaud (Tebaldo) II di Champagne e lo zio di Filippo II di Francia. Anche il Maestro Gervasio è ben noto, anche se la maggior parte dei lettori certo non lo ha mai sentito nominare. Era inglese di nascita ma era un cosmopolita, come a quei tempi era la norma delle classi alte. Fu cresciuto a Roma e studiò legge all'università di Bologna. Servì svariati sovrani nella sua lunga esistenza, tra i quali Ottone IV e Guglielmo II di Sicilia.

All'epoca i Catari di Francia erano chiamati Publicani o Popelicani. Era questo uno dei molti nomi con cui erano conosciuti. Tra gli altri vanno menzionati Piphles (di origine oscura) e Tisserands, ossia Tessitori, dalla professione che molti di loro esercitavano. Il nome Publicani non allude ai funzionari incaricati di esigere le tasse nell'Impero Romano (i pubblicani), ma è chiaramente una deformazione del bulgaro Pavlikeni, ossia Pauliciani.

Le Chiese Catare più antiche furono stabilite dai Franchi che ebbero a lungo residenza in Bulgaria e a Costantinopoli. La formazione del Catarismo avvenne proprio nella terra che fu un tempo chiamata Tracia dai Romani, dall'incontro e dalla lunga convivenza di elementi manichei e marcioniti deportati a più riprese dall'Armenia. Le comunità della regione nota come Champagne (dal latino Campania) sono tra le prime di cui si abbia notizia nell'intero Occidente, e data la consistenza che già avevano nella seconda metà XII secolo, si pensa che il processo di formazione debba essere predatato al secolo precedente.

La cosa che più stupisce leggendo questi tristissimi fatti è già una sfida al buon senso comune di molti moderni: la figura del monaco libidinoso, un autentico sileno sbavante alla vista di una bella vergine, del tutto incapace di trattenere gli impulsi del suo basso ventre. Nonostante gli scandali sessuali di cui si ha notizia con cadenza quasi quotidiana, c'è una riluttanza nella maggior parte delle persone ad associare una condotta simile a chi indossa le vesti della Chiesa di Roma.

Non dimentichiamoci che tra quell'epoca torbida e i nostri giorni c'è di mezzo il Concilio di Trento, con la sua opera di moralizzazione esteriore dei corrotti costumi ecclesiastici. Nei secoli del Medioevo era del tutto normale il nicolaismo dei chierici. Moltissimi frati, preti e porporati avevano amanti, senza badare di certo ai limiti di età sanciti dalla legge odierna. Era molto comune che un uomo della Chiesa somministrasse comunioni oscene. Certo, la cosa accade anche oggi, e di questo abbiamo ampia testimonianza dai fatti di cronaca. Il punto è che nei secoli di cui stiamo trattando questi abusi erano ritenuti un diritto inalienabile ed esercitati alla luce del sole senza alcuna vergogna.

La Chiesa Romana incarnava la morale normativa,
e sanciva la divisione delle classi sociali come giusta e santa. Aveva la funzione di rendere legittimo l'arbitrio dei regnanti. Il contadino era ritenuto dal nobile poco più di una bestia. Se Catone il Censore definì lo schiavo "instrumentum vocale", per un porporato del XII il servo della gleba era un maiale dotato di favella. Pertanto una ragazza di bassa condizione sociale era soltanto materiale di soddisfacimento e poteva essere posseduta in tutti i modi possibili senza che potesse protestare. La sua volontà, le sue aspirazioni, la sua stessa morale, erano tutte cose irrilevanti. Quello che faceva scalpore nel lettore medievale non era quindi il comportamento del chierico, ma quello della fanciulla. La sua ribellione era ritenuta semplicemente inaudita!

I toni superstiziosi usati dal canonico di Coggeshall indicano la paura cieca verso una controcultura tenebrosa
che lentamente andava corrodendo le fondamenta della luminosa Città di Dio. Un male assoluto, verso cui non poteva esistere neppure un larvato tentativo di comprensione.

Compare anche il tema ormai familiare dell'identificazione forzata tra eresia e stregoneria, con conseguente attribuzione di portenti ai dissidenti religiosi. Ogni dottrina contraria all'interpretazione canonica delle Scritture veniva senza mezzi termini identificata con una grossolana forma di satanismo.

Sempre a proposito dei Catari della Champagne, il cronista di Coggeshall ci rivela che essi "credono che un angelo apostata, che chiamano Luzabel, presieda a tutta la creazione fisica..." Quello che all'inglese parve pazzia, è ora identificabile come uno dei capisaldi della teologia di Concorezzo, di diretta filiazione bogomila.

A dispetto della demonizzazione operata dalle classi alte, il pubblico ammirò la martire catara nella sua agonia tra le fiamme. A dispetto delle parole dei principi e dei preti, gli spettatori videro nella giovane quella purezza che non apparteneva alla religione dominante.

Questo sentimento è una chiara prova del terreno fertile che permise la crescita esponenziale dell'eterodossia, finché lo stato non si decise a chiedere l'aiuto del potere pontificio per compiere opere di sterminio.

Notevole è anche la menzione degli sfortunati Catari di Oxford, condannati da Enrico II ad essere marchiati a fuoco ed esposti a un inverno rigido senza poter indossare alcun abito. Siccome la popolazione li riteneva maledetti e non ammetteva alcun contatto con loro, essi non trovarono cibo e morirono assiderati. Un fatto atroce che è soltanto una delle tante prove dell'odio inestinguibile provato dagli Inglesi per la religione dualista. Anglo-francese era anche Simon de Montfort, il Conte di Leicester che condusse la funesta crociata contro gli Albigesi. In un luogo della sua opera, l'ormai anziano Gervasio di Tilbury ci narra l'ardita evocazione di un fantasma da parte di un prete. A detta sua, lo spettro avrebbe rivelato l'estrema gioia di Dio per il genocidio degli Albigesi e la condanna verso i cattolici che pur non aderendo all'eresia si erano mostrati tolleranti verso chi la professava.

Eppure il Catarismo sopravvisse anche in condizioni così ostili,
al punto di lasciare traccia di sé: è ben possibile che John Wycliffe fosse un discendente di Catari, visto che incorporò elementi bogomili nella sua dottrina. 

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