GLI ESUMATORI
Stava albeggiando. I primi raggi del sole implacabile sfregiavano con il loro giallo ammorbante l’immoto e fresco cielo notturno. L’orrore di quelle dita sacrileghe non era amato da chi per necessità o per intima perversione viveva coltivando quella che è forse tra le passioni più singolari: la necrofilia. La campagna devastata si estendeva tutta intorno al sepolcreto. La massima parte delle tombe era già stata scavata nel corso degli anni. Rimanevano in piedi soltanto poche cappelle diroccate, per il resto si vedevano solo lapidi divelte e mucchi di terriccio molle. Nella nebbia mattutina, il fetore delle esalazioni si confondeva con le avvisaglie di una nuova giornata di canicola. Oltre la Terra dei Morti, si vedevano soltanto campi incolti e alcuni cascinali abbandonati. Oltre il pendio digradante, il grande lago assumeva sempre più la forma di un secondo cielo. L’azzurro era ormai alto e pieno, ogni cosa era in lontananza un immenso scrigno di turchese che si stemperava in un fumo indistinto come ci si avvicinava al suolo mefitico. I due esumatori interruppero per un attimo il loro estenuante lavoro per rivolgersi al sole cancerogeno che già irrompeva come l’occhio di un portentoso ciclope sul ritmo delle loro esistenze. Uno dei due si levò il cappello e si deterse la fronte con una specie di fazzoletto, poi riprese a rivolgere gli occhi alla nuda terra, impugnando la vanga. L’altro disse qualcosa, ma le parole si dispersero nella quiete cerulea. Alcune ossa erano emerse durante lo scavo, frammenti sporchi e cariati, tutti costellati dal nero di una putrefazione infelice. Umidità. Molti sostenevano che lo scheletro fosse una parte pura e incorruttibile del corpo umano, ma non era vero. Anche dopo un secolo di permanenza in una fossa restava sempre l’aura delle forze immonde che avevano operato la dissoluzione dei tessuti. Delle bare che un tempo giacevano in quegli strati del campo di inumazione non restava altro che poltiglia acida, il lezzo di legno marcio che si mescolava all’impregnazione cadaverica del suolo. Bisognava smettere il lavoro. Questa certezza si stampò nella mente dei due profanatori. Non potevano proseguire ancora per molto: con il caldo sarebbero arrivate le mosche. Gettarono molte palate di terra sullo squarcio purulento che avevano aperto nel cuore del cimitero e si allontanarono, facendo perdere le loro tracce nella caligine diurna.
Marco "Antares666" Moretti
Marco "Antares666" Moretti
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