giovedì 30 giugno 2022

L’inizio della fine

Se c’è vita dopo la morte, prima della vita che c’è?

Dove se ne sta l’anima prima del concepimento? Preesiste forse alla fusione tra gamete maschile e gamete femminile? Oppure è un prodotto di tale unione?

Entrambe le ipotesi spalancano scenari vertiginosi. 

Nel primo caso, dovremmo supporre l’esistenza di un magazzino astrale in cui siano custodite le anime da assegnare agli zigoti. 

Assegnate da chi? Dal Magazziniere celeste, preposto alla gestione della catena della distribuzione. 

Nel secondo caso, l’anima sarebbe un prodotto collaterale del coito fecondo. Resta da chiarire come possano le cellule sessuali, prodotte dalle gonadi, creare un principio immateriale qual è l’anima. 

In preda a questi interrogativi varcai la soglia del centro convegni Philipp Mainländer, un edificio in pietra dall’aspetto opprimente, situato a poca distanza dal cimitero monumentale. 

Vi erano convenuti esperti e figure di rilievo istituzionale per discutere il caso dell’anno, anzi, del secolo. 

Il mio compito era quello di stilare il verbale della riunione, che ho deciso di rendere pubblico. Eccolo: 

Luca Sandri, Professore associato di patologia generale all’Università “Clara Immerwahr”:
Il fenomeno che stiamo affrontando non ha precedenti nella storia del genere umano. Ciò non significa che noi si sia del tutto impreparati ad affrontarlo. Sin dagli anni Settanta sono stati elaborati protocolli dettagliati, proprio in previsione di una simile eventualità. A questo si aggiunga che, nella cultura popolare, la figura del resuscitato è fortemente radicata da decenni, sia pure con connotazioni negative e terrorizzanti.
Quella cui stiamo assistendo, per fortuna, non è l’apocalisse zombi narrata nei film e nei videogiochi. Per comprendere ciò che sta accadendo, dobbiamo stabilire in via preliminare un punto fermo: i resuscitati non sono ostili. Non è stato registrato in tutto il mondo un solo caso di aggressione da parte dei resuscitati ai danni dei vivi. Non uno.
Si tratta, come potete comprendere, di una premessa essenziale: non siamo di fronte agli zombi cannibali cui ci ha abituati il cinema.
Detto questo, vediamo di chiarire cos’è un ritornante.
I primi casi di resurrezione si sono verificati presso le camere mortuarie degli ospedali. Soggetti di cui era stata constatata la morte, a distanza di alcune ore dal decesso hanno ripreso vita. Per essere precisi, il fenomeno si è verificato allorché l’algor mortis era già avviato ma prima che subentrassero il livor e il rigor mortis.
Ciò che mi preme sottolineare è che il resuscitato non è un cadavere. Nel suo corpo i fenomeni cadaverici si sono interrotti nel preciso istante in cui il cuore ha ripreso a battere e il sangue a circolare. Le funzioni cerebrali risultano però compromesse. La coscienza dei ritornanti è offuscata, i loro movimenti appaiono incerti.
Tuttavia, essi sono vivi e, come chiunque di noi, hanno necessità di alimentarsi e di bere. Privato d’acqua e di cibo, il ritornante apparentemente muore. Dico apparentemente perché in realtà il ciclo poc’anzi descritto si ripete di nuovo.
Lo sconcerto che colgo nei vostri volti è del tutto naturale. Vi starete domandando: “Ma allora non si muore più?”.
Al momento la scienza non è in grado di fornire una risposta certa a tale quesito.
Possiamo solo constatare come il decadimento cellulare paia subire una interruzione. Se essa sia permanente o meno ci sarà dato sapere solo seguendo l’evolversi del fenomeno.
Veniamo ora a un argomento cruciale.
Appurato che i ritornanti non aggrediscono i vivi, di cosa essi si nutrono? Mediante osservazioni condotte in laboratorio, abbiamo potuto appurare che i ritornanti riconoscono il cibo mediante la vista e l’olfatto.
L’epitelio e il bulbo olfattivo nonché la corteccia visiva primaria non riportano, nelle ore immediatamente successive alla morte, danni irreparabili.
Posti di fronte a un carrello su cui erano stati collocati recipienti contenenti purea di patate e carne di suino tritata, i ritornanti coinvolti nell’esperimento si sono messi ad attingere il cibo con le mani, dando la priorità alla carne, lo hanno portato alla bocca e lo hanno ingerito.
Si sono inoltre chinati sul carrello per bere da una bacinella colma d’acqua.
Pur comprendendo la natura socialmente traumatizzante del fenomeno in corso, è nostro dovere rassicurare l’opinione pubblica circa la non-pericolosità dei ritornanti e contrastare la diffusione, da parte di complottisti e squilibrati vari, di notizie false e allarmistiche sulle piattaforme social.
Grazie a tutti voi per l’attenzione. 

Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri Gustavo Sette:
Sono un militare, e il mio compito è far sì che l’ordine pubblico non precipiti. Le spiegazioni del professore sono parzialmente confortanti. I cosiddetti ritornanti non sono ostili, e questa è sicuramente una buona notizia. Non possiamo però sottovalutare gli effetti che questo fenomeno sta producendo nella nostra società. I ritornanti non riconoscono i parenti. È come se i loro cervelli fossero stati resettati.
L.S.:
Non del tutto, generale, non del tutto.
G.S.:
Va bene, ciò non toglie però che i morti viventi – mi permetta di definirli tali – non sembrino riconoscere figli, fratelli, sorelle, nipoti. A questo si aggiunga che, se riportati nelle proprie case, tendano ad allontanarsene per mettersi a girovagare senza meta, con andatura barcollante. La qual cosa crea problemi alla circolazione. Farò un esempio banalissimo: i morti viventi ignorano il funzionamento dei semafori. Sapete cosa significa tutto questo? Incidenti stradali, interruzioni continue del traffico. A questo si aggiunga un fatto che non posso tacere, benché sia assai sgradevole. Quelli che lei chiama “resuscitati” defecano e orinano sulla pubblica via, di fronte a tutti. Capirete che ciò non è tollerabile, per ragioni di igiene pubblica e di decoro. Più di una voce si è espressa a favore del concentramento dei morti viventi in apposite strutture protette, per garantire la loro e la nostra sicurezza.
L.S.:
Sta forse proponendo la creazione di campi di concentramento per i ritornanti?
G.S.:
Molte famiglie vedrebbero con favore questa soluzione. Non tutti possono farsi carico dei morti tornati in vita. E noi non possiamo permettere che gli equilibri sociali crollino a causa di un simile evento. Ho qui con me il testo di una petizione sottoscritta da alcune migliaia di cittadini. Vorrei leggervela:
Siamo onesti lavoratori e lavoratrici con figli a carico, abbiamo assistito i nostri anziani a prezzo di grandi sacrifici. Li abbiamo vegliati sul letto di morte. Abbiamo pianto per il loro decesso. Molti di noi hanno affrontato spese cospicue presso le agenzie di pompe funebri, solo per vedere poi ritornare in vita i nostri cari estinti. Non fraintendeteci: non intendiamo certo dire che ci dispiaccia rivederli. Allo stesso tempo, però, ci troviamo in una situazione difficilissima: le agenzie di pompe funebri non rifondono le spese già sostenute. Per le bare non è previsto il reso. Quanto ai nostri vecchi, come possiamo riaccoglierli in casa nello stato in cui sono?
Vi chiediamo pertanto di voler assumere dei provvedimenti volti, da un lato, a consentire il rimborso delle spese funerarie da noi sostenute, e dall’altro alla gestione degli ex-defunti. Non è pensabile che l’onere di affrontare una crisi sociale di questa portata sia demandato alle singole famiglie! Questi non sono anziani qualunque che possano essere affidati alle cure di una badante dell’Est: sono morti viventi!
Le istituzioni si attivino: ne va del futuro dei nostri figli!

Edgardo “Jerry” Rapisarda, Ministro della Salute:
Mi sia consentito… Mi sia consentito precisare che, da parte di alcuni esperti, è stato suggerito per motivi umanitari di applicare misure di eutanasia ai ritornanti.
L.S.:
Quindi, dopo averli rinchiusi in campi di concentramento, dovremmo pure sterminarli? E come, di grazia?
E.J.R.:
Beh, spetterà agli esperti definirà le modalità più adeguate. L.S.:
Con l’acido prussico?
E.J.R.:
Non spetta a me deciderlo, ma agli scienziati.
L.S.:
Si rende conto della gravità di quanto va proponendo?
G.S.:
Professore, mi permetta: il ministro non ha tutti i torti. Di questo passo saremo costretti ad assumere misure draconiane. Dove li mettiamo tutti questi resuscitati? Che facciamo, se non muore più nessuno?
L.S.:
Se il vostro intento è quello di sterminarli, dovrete assumervi la piena responsabilità di questa decisione. Per liquidare decine di migliaia di ritornanti servirà personale appositamente addestrato, strutture adeguate, forni crematori in cui smaltire i resti… E mentre voi – o meglio: mentre coloro che incaricherete di questo ingrato compito distruggeranno i resuscitati, altrove, nel frattempo, gli esseri umani continueranno a morire… e a tornare. Lo capite questo? Sarete comunque sopraffatti. Sapete quante persone muoiono ogni giorno nel mondo? Centocinquantamila. Al giorno!
E.J.R.:
In tal caso si potrebbe prevedere di decapitare i cadaveri non appena accertato il decesso.
L.S.:
E chi dovrebbe eseguire questo compito? Il personale sanitario? I parenti?
G.S.:
Qualcosa bisognerà pur fare, o dovremmo stare a guardare mentre la società collassa? Forse lei non sa che in alcune località si stanno costituendo delle ronde. I cittadini, esasperati, si mobilitano per contrastare il vagabondaggio dei morti viventi.
L.S.:
Ma quali ronde, quali cittadini esasperati, si tratta di gang di teppisti!
E.J.R.:
Questa è la sua opinione, che non condivido.
G.S.:
Nemmeno io.
L.S.:
E lei, eminenza, che ne pensa? 

Cardinale Bartolomeo Fulci:
La gravità del momento impone a tutti noi di ponderare con estrema attenzione le nostre parole. Siamo in presenza di un prodigio, un evento inaudito che interpella le nostre coscienze: i nostri cari defunti ritornano in vita! Come si può anche lontanamente pensare di destinarli alle camere a gas?
E.J.R.: Proprio perché abbiamo a cuore l’interesse generale siamo tenuti a valutare, sia pur con rammarico, l’ipotesi di ricorrere a soluzioni estreme. 

La riunione si chiuse con un nulla di fatto. Ciò non impedì tuttavia che venisse diramato alle agenzie di stampa un comunicato dal titolo:
“Piena intesa tra le autorità politiche, militari e religiose”.
Personalmente, non mi sono mai fatto illusioni. A differenza di altri sapevo che non sarebbe durata a lungo. “Non sono ostili”, dicevano, ed era vero, o quantomeno lo è stato, per un po’. Sino a quando, esasperati dalle violenze subite, i resuscitati non hanno cominciato a reagire. Sapete benissimo a cosa mi riferisco. I resuscitati venivano sistematicamente presi di mira da bande di giovinastri e di energumeni. Aggrediti per strada senza alcun motivo, per semplice “divertimento”. Nessuno si è preso la briga di arginare questa ondata di assalti. Sono stato testimone di uno di essi. Stavo tornando a casa, sul marciapiede pochi metri avanti a me avanzavano con passo incerto due resuscitati. Una vettura cabrio rallentò, si accostò al marciapiede e un tale, seduto al posto del passeggero, si sporse e colpì a tutta forza con una mazza da baseball la nuca di un resuscitato facendolo crollare a terra. Episodi simili si sono verificati in tutto il Paese. Sui giornali ci fu persino chi provò a giustificare queste violenze sostenendo che i resuscitati, sommariamente definiti “zombi”, non possiedono alcuno status, alcun diritto civile, essendo stati dichiarati clinicamente morti.
A questi opinionisti si è obiettato che il vilipendio di cadavere è un reato punito dalla legge. Non è servito a nulla. Ed ora siamo nella merda nera.
"È fondamentale cercare di evitare il più possibile il contatto diretto con i resuscitati. Se si venisse morsi o graffiati da uno di essi, non si potrebbe escludere il contagio"
I virologi furono i primi a lanciare l’allarme, ma era ormai troppo tardi. Il contagio aveva già preso piede. Come se avessero ricevuto lo stesso ordine nel medesimo istante, alla fine del mese di giugno i resuscitati cominciarono ad assalire i vivi, mordendoli e graffiandoli. Le vittime di queste aggressioni, trasportate in ospedale, manifestavano i sintomi di una gravissima infezione virale, resistente ai farmaci, capace di colpire il sistema nervoso centrale e provocare la morte nel giro di poche ore. Quel che è peggio, a breve distanza dall’avvenuto decesso gli infettati tornavano in vita e assalivano a loro volta il personale medico-infermieristico, mossi da un incoercibile impulso a lacerare le carni dei vivi per nutrirsene.
L’esercito fu mobilitato, in ritardo. Le autorità politiche, paralizzate dalla paura, stentarono ad assumere provvedimenti efficaci. E l’epidemia dilagò. Fu così che ebbe inizio la fine.

Pietro Ferrari

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