A volte la gente non vuole ascoltare la verità perché non vuole vedere le proprie illusioni distrutte. Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità.
(Friedrich Wilhelm Nietzsche)
sabato 26 luglio 2014
PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LA LABIOVELARE SORDA SEMPLIFICATA
domenica 20 luglio 2014
MUHAMMAD AL-IDRISI, LEONE L'AFRICANO E IL LATINO D'AFRICA
(1) وأهلها متبربرون وأكثرهم يتكلّم باللسان اللطيني الإفريقي.
sabato 19 luglio 2014
GLOSSOLALIA E XENOGLOSSIA SONO DUE COSE DIVERSE
a: i: u: (lunghe)
m n r l j (y) w
s š (sh) ts z
ri'ghu:n
u'la:m
'ukhtar
ud'bi:r
'rakhra
akh'ta:r am ma'nu:r na 'ghaktab
a'ni:m = donna
a'nu:kh = incendio
'atbakh = nero
ba'kha:r = uomo
'bukhmi = uovo
da'mira = mano
fa'nu:m = ventre
ga'di:l = pioggia
gha:n = acqua
khans = piede
khi:r = roccia
'laftur = tronco
lamkh = bambino
lams = aria
ma'ghura = piranha
'mukhtir = tartaruga
ni:r = vulva
'nibghar = caimano
'rakhtum = rosso
ru:m = fuoco
'rukhma = giaguaro
'sakhtar = cane
silb = formica bianca
si'ru:n = vento
ta'muna = giallo
zim'za:l = pappagallo ara
2) Lo Scano invece sembra intendere la parola "cultura" in senso più limitato: "Manifestazione elevata dello spirito e della società umana, quale le filosofia, la letteratura, la musica e le arti figurative".
Come ogni teorema, perché sia riconosciuto valido occorre fornirne una dimostrazione secondo i princìpi della logica, che deve essere ineccepibile. Quando una simile dimostrazione manca, è sufficiente riportare un controesempio per invalidare la tesi. Partiamo da alcuni dati di fatto. Sicuramente "mafioso" implica sempre "comunitario". Non vale però il contrario: non tutto ciò che è "comunitario" è "mafioso". In altre parole, non tutte le comunità hanno evoluto organizzazioni criminali con un proprio esoterismo e propri rituali, capaci di espandersi nei contesti più diversi. La Spagna ancora nel XIX secolo aveva tutte le potenzialità per generare una società segreta simile Cosa Nostra o alla 'Ndrangheta. Gli elementi c'erano tutti: latifondo, signorotti tirannici, una casta di intendenti, guardiani e aguzzini, una popolazione contadina sfruttata ed oppressa. Come mai dunque la Spagna non generò un fenomeno mafioso autoctono? Semplice: perché mancava l'elemento settario, esoterico, che nel Meridione d'Italia si è invece formato e irrobustito nel corso dei secoli.
mercoledì 16 luglio 2014
(1964)
Interpreti:
Richard Harrison: Claudio Marcello
Wandisa Guida: Livilla
Ettore Manni: Castore
Philippe Hersent: Druso
Rulph Hudson: Germanico
Nicole Tessier: Edua
Goffredo Unger: Varo
Renato Baldini: Druido
Piero Lulli: Pompeo
Alessandro Sperlì: Giulio Cesare
Aldo Cecconi: Briano
Maurizio Conti:
Alberto Dell'Acqua: Valerio
Jean Claude Madal:
Renato Montalbano:
Claudio Scarchilli:
Gianni Solaro: Cicerone
Doppiatori italiani:
Sergio Fantoni: Richard Harrison
Nando Gazzolo: Ettore Manni
Mario Pisu: Philippe Hersent
Mario Feliciani: Renato Baldini
Sergio Graziani: Rulph Hudson
Renato Turi: Goffredo Unger
Vittoria Febbi: Nicole Tessier
Giorgio Capecchi: Aldo Cecconi
Emilio Cigoli: voce narrante
Trama (http://www.comingsoon.it/):
Recensione:
Un film grottesco oltre ogni limite, che con la realtà storica non ha proprio nulla a che vedere. Tutto è distorto dall'ideologia fino ad apparire irriconoscibile. Anche l'aspetto fisico dei popoli coinvolti è del tutto inverosimile, tanto da rasentare il ridicolo. I Romani sono giganti biondi dagli occhi azzurri, dai corpi gonfi di muscoli imponenti, che sembrano usciti dalle fantasie di un propagandista del III Reich. In pratica si insinua che gli Americani siano i diretti discendenti di Roma, una stirpe di superuomini destinati a dominare il mondo con pugno di ferro e randello. I Galli sono invece descritti come maligni asiatici rachitici, scuri di capelli, dagli occhi piccoli e neri come la pece, con la pelle itterica e untuosa, i corpi gobbi, malaticci e smagriti. I Druidi sono addirittura abitatori nel sottosuolo, definiti con infinito disprezzo "talpe", che aborriscono la luce del sole come i ratti, i nottoloni e i vampiri. Non contenti di questo scempio, gli ideatori della stravagante pellicola hanno fatto propria la dottrina di Origene secondo cui ogni anima ha il corpo che si merita. Così i Romani giganteschi e fieri incarnano il detto "mens sana in corpore sano": oltre ad avere nel cuore soltanto nobili sentimenti, non soffrono di malattie di sorta, non sono afflitti da alcun disturbo metabolico, mangiano e digeriscono anche i sassi, cagano liscio come l'olio stronzi perfetti che non lasciano traccia di sporco sull'ano, tanto da non abbisognare di carta igienica per pulirselo. Per contro i poveri Celti concepiscono unicamente sentimenti avvelenati e sono mossi in ogni loro azione da perversa, insensata crudeltà. Complottano nelle tenebre di cunicoli e spelonche come larve e fantasmi. Sono così perfidi perché puzzano come cadaveri e nessuna donna vuole avere contatti con loro. Stoltamente si rifiutano di riconoscere la supremazia dei Romani, che non sono invasori, ma portatori di bellezza e di salute, di bontà e di altruismo: la loro missione è quella di inondare le Gallie di pensiero positivo e di gioia di vivere. I giganti di Roma sembra l'incarnazione dei più deleteri stereotipi propagandistici bellici, stranamente rivolti contro le genti del ceppo celtico. Se si considera il film come storico non si può arrivare a capire le motivazioni di questo feroce quanto gratuito razzismo. Tutto diventa chiaro se si ammette che Antonio Margheriti - conosciuto anche con lo pseudonimo americano di Anthony Dawson - intendesse trasportare nel contesto dell'antica Roma una trama tipica di film di guerra americani, come ad esempio I cannoni di Navarone, senza nessun intento ostile nei confronti di popoli che neanche conosceva: se così fosse i Galli si sarebbero trovati come capri espiatori, il loro nome ridotto a mera etichetta di tutto ciò che esiste di turpe. Resta ben chiaro l'impianto americano dell'opera, tutta infarcita di stilemi tipici di oltreoceano. Basta guardare qualche scena per capire molte verità scomode. I cosiddetti "Liberatori" si nutrivano di un sottobosco fatto di suprematismo e di razzismo che nulla aveva da invidiare alle dottrine della Germania di Hitler, e nel dopoguerra lo hanno liberamente irradiato nella loro produzione cinematografica. Mentre i vertici del Partito Nazionalsocialista venivano processati a Norimberga e condannati a morte, ecco che i vincitori potevano continuare imperterriti a propagare tramite i media idee non troppo diverse da quelle che avevano deciso di estirpare con il ferro e con il fuoco, con buona pace dei decerebrati rimbambiti dalla propaganda scolastica che non sanno nemmeno riconoscerle quando se le trovano di fronte.
martedì 8 luglio 2014
(Anno di uscita 2003)
Genere: Drammatico
Durata: 100 - Origine: Italia
CAST
Regia: Claudio Bondì
Attori: Elia Schilton (Claudio Rutilio Namaziano), Rodolfo Corsato (Minervio), Romuald Andrzej Klos (Socrate), Marco Beretta (Rufio), Caterina De Regibus (Sabina)
Soggetto: Claudius Rutilius Namatianus
Sceneggiatura: Alessandro Ricci, Claudio Bondi'
Fotografia: Marco Onorato
Distribuito da: Orango Film Distribuzione (2004)
Prodotto da: Alessandro Verdecchi per Misami Film
Note
- Film riconosciuto di interesse culturale.
Siccome la via Aurelia è impraticabile a causa delle devastazioni e insicura per la presenza di bande di briganti, Rutilio decide di partire per mare, tra autunno e inverno, nel periodo del cosiddetto mare clausum. A piccole tappe, e navigando di cabotaggio, risale lungo un'Italia che attraversa un difficile periodo di transizione, tra rovine, città abbandonate e nuovi stili di vita imposti dalle circostanze politiche (l'economia curtense) e religiose (il monachesimo), sostando presso amici o in locande, talvolta costretto a soste prolungate dal maltempo. Rutilio descrisse la cronaca di quel viaggio in una sorta di diario in versi che fu rinvenuto, incompleto, nel 1400 e chiamato De Reditu: Il Ritorno. Oggi è diventato un film che s'ispira liberamente a quel poemetto per assumere l'aspetto, più che del resoconto nostalgico di un viaggio di addio a un mondo felice, di una fuga dalle persecuzioni di un aristocratico incapace di accettare un mondo in piena trasformazione, un uomo in conflitto con la vitalità e l'arroganza di un potere che si fregia dei simboli della cristianità.
Infatti, lo sceneggiatore Alessandro Ricci e il regista Claudio Bondì, documentarista già assistente di Rossellini, trascurano la parte più bella e poetica dell'opera, quella comunemente conosciuta come l'Inno a Roma, per privilegiare la dimensione epocale della vicenda, disegnando sì la nutrita galleria di persone, luoghi e ricordi mitologici, ma allo stesso tempo puntando maggiormente su temi come l'intolleranza religiosa e la paura della diversità, la confusione dei linguaggi e la difficoltà della comunicazione da essa generata. Il V secolo rappresenta per l'impero romano l'apice di quella parabola discendente che doveva portarlo alla dissoluzione: questo interessa al regista, il quale affida all'emblematica figura di Protadio (l'intenso Herlitzka), una specie di landlord alla Cincinnato, il compito d'interpretare il crollo delle illusioni. Albino, invece, il generoso ospite di Vada Volterrana, cerca di frenare l'impulso di Rutilio a combattere per "l'utopia di Roma", invitandolo, più realisticamente, all'attesa degli eventi, alla sicurezza di un'agricoltura chiusa e protetta da una milizia privata, preludio vero e proprio alla realtà socio-economica alto medievale.
Non scarseggiano in De Reditu le concessioni allo spettacolo tipiche del peplum, come la scena del suicidio di Protadio, il combattimento dei gladiatori, praticato in clandestinità, o la sequenza finale dei cavalieri sulla spiaggia; né mancano le sentenze da scolpire sulla pietra, come quella suggestiva, ma anticristiana: "Un solo Dio per la ragione, molti dei per l'immaginazione", alla quale preferiamo di certo i versi di Namaziano (Libro I, vv. 63-67), omaggio a Roma e al valore universale della tolleranza:"Hai fatto di genti diverse una sola patria / la tua conquista ha giovato a chi viveva senza leggi: / offrendo ai vinti l'unione nel tuo diritto / hai reso l'orbe diviso unica Urbe."
domenica 29 giugno 2014
UNA GLOSSA CIMBRICA DI ORIGINE CELTICA
sabato 28 giugno 2014
TOPONOMASTICA DEL TERRITORIO DEI SETTE COMUNI: CONFUSIONE E FALSE ETIMOLOGIE
Il ricordo di altre divinità menzionate nell'Edda islandese è rimasto anche sull'Altipiano: Balder (ricordato dal folletto od orco Baldrich); Höðr (a cui è dedicata la collinetta ai cui piedi si trova l'ex stazione ferroviaria di Asiago e che una volta era detta Hodegart, ossia orto di Höðr); Synia (ricordata dal monte Sunio). L'Edda, fra le altre divinità, nomina anche una certa Skada, figlia del gigante Thiasse: questa dea è ricordata dal nome del paese di Treschè Conca di Roana, che un tempo in cimbro era chiamato appunto Skada."
Cfr. Antonio Domenico Sartori. Storia della Federazione dei Sette Comuni vicentini, ed. L. Zola, Vicenza, 1956: "L'antichità delle origini religiose sull'altopiano dei Sette Comuni"
Il nome di Freya, in norreno Freyja (pron. /frøyja/) non è un antenato plausibile dei toponimi citati dal Sartori. L'origine ultima risiede nella radice proto-germanica *frauja(n)-, che significa "signore": gotico frauja /frɔ:ja/ "signore", *fraujo /frɔ:j:o:/ "signora". L'equivalente tedesco di Freya è proprio la ben nota parola Frau: come si vede nulla che possa aver dato origine a Freyentaal. Mi azzarderei a ritenere Freyentaal una formazione recente e romantica, come tante altre sorte nell'ambito dei nazionalismi ottocenteschi, ma la scarsità delle informazioni in proposito mi suggerisce prudenza. Alcuni riportano le forme Frea-sele e Frea-taal in lingua cimbra (da non confondersi con la lingua degli antichi Cimbri), che sembrano più genuine. Non si tratterebbe quindi di un luogo dedicato alla dea Freya, ma alla dea Frigg, il cui nome longobardo era Frea (< proto-germanico *Frijjo:). Ferac e Ferozzo non hanno alcuna possibilità di derivare dalla radice di Freya o di Frigg per ragioni fonetiche. La formazione fantasiosa *Frea-ac riportata da Sartori non ha il minimo riscontro.
2) I complessi meccanismi del copyright, che permettono la libera consultazione online di libri superati, in alcuni casi risalenti persino al XIX secolo, mentre rendono difficile il pieno accesso a materiale aggiornato.
domenica 22 giugno 2014
UN'AMARA SCOPERTA
Perché il Connettivismo non è considerato a sufficienza per i suoi meriti letterari? Nessun connettivista lo sa dire? Nessuno lo ha ancora capito? Bene, dato che ho appena scoperto la ragione di tutto ciò, la esporrò senz'altro in questa sede. Il Connettivismo è avversato ferocemente dallo zoccolo duro dei lettori di fantascienza di vecchio stampo perché si presenta come Avanguardia e si ispira tra le altre cose al Futurismo (noi specifichiamo "sia di Marinetti che di Majakovskij", ma quelli Majakovskij non l'hanno mai sentito nominare). Per questo i detrattori del Connettivismo lo ritengono intrinsecamente fascista, etichettabile come estrema destra. Tutto viene fatto passare attraverso le lenti distorcenti di una sordida politica fatta di crassi slogan da scuola occupata. Che clima mortifero, che aria irrespirabile, funestata dai tanfi dell'Ignoranza! E poi qualcuno ancora si meraviglia se la fantascienza è in agonia!
sabato 21 giugno 2014
UNA PERDUTA LINGUA NEOLATINA D'AFRICA
Caput sextum.
Capitolo sesto.
(Varvaro, 2000)
e breve (ĕ); e lunga (ē) => e
i breve (ĭ); i lunga (ī) => i
o breve (ŏ); o lunga (ō) => o
u breve (ŭ); u lunga (ū) => u
aka, acqua
asnu, asino
aurikla, orecchio
auru, oro
bakka, vacca
bobe, bue
boke, voce
deke, dieci
dekembre, dicembre
Deu, Dio
diket, dice
dìkere, dire
domna, signora
domnu, signore
faket, fa
fàkere, fare
ghenuklu, ginocchio
ghenus, genere
kartu, quarto
kastru, castello
kàttoro, quattro
kella, cella
kelu, cielo
kentu, cento
kinke, cinque
kintu, quinto
kista, cesta
koket, cuoce
kòkere, cuocere
kruke, croce
linnu, legno
luke, luce
mannu, grande
nabe, nave
nibe, neve
nuke, noce
oklu, occhio
okto, otto
oktombre, ottobre
òmines, uomini
omo, uomo
pake, pace
pike, pece
piske, pesce
plumbu, piombo
porku, maiale
pullu, pollo
ribu, fiume
tauru, toro
turre, torre
issos òmines bibunt issu binu, gli uomini bevono il vino.
Faccio infine notare che nello scritto di Pompilio i parlanti neolatini sono denominati pagani, parola che nel latino classico vale "villici, paesani", senza alcuna connotazione religiosa. Ho usato questa traduzione, perché appare la più semplice e credibile. Tuttavia sussiste una certa ambiguità, avendo Pompilio scritto in epoca cristiana ed essendo la parola passibile di indicare qualcosa di diverso dagli abitanti di un villaggio. Cosa intendeva davvero l'umanista? All'epoca nella Cristianità la religione islamica era chiamata "pagana", anche se tale etichetta è una pura e semplice assurdità. L'umanista voleva forse dire che tali popolazioni, seppur di lingua neolatina, professavano l'Islam? Se la risposta fosse affermativa, quelle genti sarebbero state in origine cristiane e la loro religione ancestrale sarebbe andata perduta, a differenza della lingua. Appare troppo remota la possibilità che i parlanti neolatini non fossero mai stati islamici né cristiani, ma avessero una religione discendente in qualche modo dal paganesimo dell'antichità. A distanza di tanto tempo, è arduo capire cosa passasse per la mente dell'autore.