Così in Grandgent, Introduzione allo studio del latino volgare, a proposito della consonante aspirata (pagg. 139-140):
249. H nel latino fu debole ed incerto in tutti i tempi, essendo senza dubbio poco più o non più che un soffio respiratorio: S., 255-256. I grammatici dicono che h non è una lettera ma un segno di aspirazione: S., 262-263. Nelle lingue romanze non vie è traccia dell'h latino. Cfr. G. Paris in Rom., XI, 399.
250. Esso probabilmente scomparve prima in posizione mediana: S., 266. Quintiliano raccomanda la grafia deprendere: S., 266. Gellio dice che ahenum, vehemens, incohare sono arcaici; Terenziano Scauro chiama scorretti reprehensus e vehemens, e tanto lui quanto Velio Longo dichiarano che in prendo non vi è h: S., 266. Probo afferma che traho è pronunciato trao: Lindsay, 57. Cfr. App. Pr. «adhuc non aduc». Nelle iscrizioni troviamo forme come aduc, comprendit, cortis, mi, nil, vemens: S., 267-268.
251. H iniziale fu senza dubbio fievolissimo e spesso muto durante la repubblica. Al tempo di Cicerone e nei primi tempi dell'impero s'ebbe un tentativo di rimetterlo in uso nella società colta, che condusse a frequenti abusi tra gli indotti, proprio come accade oggi nel volgo londinese: per le sedicenti eleganze chommoda, hinsidias, ecc., di «Arrio», vedi S., 264.
Quintiliano dice che gli antichi usarono poco l'h e dà per esempio «ædos ircosque»: S., 263. Gellio cita P. Nigidio Figulo per provare che «rusticus fit sermo si aspires perperam»; ma parla delle passate generazioni - cioè contemporanee a Cicerone - come quelle che usavano moltissimo l'h, in parole come sepulchrum, honera: S., 263-264. Pompeo nota che h talvolta fa posizione, come in terga fatigamus hasta (Aen. IX, 610), talvolta no, come in quisquis honos tumuli (Aen., IX, 610): Keil, V, 117. I grammatici si trovarono costretti a discutere minutamente la grafia delle parole con o senza h: S., 264-265.
H manca in alcune iscrizioni verso la fine della repubblica: arrespex (per haruspex), ecc., S., 264. In Roma si sono trovati: E[REDES], C. I. L., I, 819. A Pompei l'h è liberamente omesso; e dopo il terzo secolo esso è dovunue, poco più poco meno, usato senza far differenza tra vocaboli: abeo, abitat, anc, eres, ic, oc, omo, ora, ecc, haram, hegit, hossa, ecc., S., 265-266. Cfr. ospitium, ymnus, ecc., heremum, hiens, hostium, ecc., Bechtel, 77-78; ortus, ecc., hodio, ecc., R., 462-463.
252. Dopo che h ebbe cessato di suonare, venne fuori una pronuncia scolastica dell'h mediano come k, che è perdurata nella pronunzia italiana del latino e ha intaccato alcune parole in altre lingue: michi, nichil, Bechtel, 78; R., 455 Cfr. E. S. Sheldon, Harvard Studies and Notes in Philology and Literature, I (1982), 82-87.
250. Esso probabilmente scomparve prima in posizione mediana: S., 266. Quintiliano raccomanda la grafia deprendere: S., 266. Gellio dice che ahenum, vehemens, incohare sono arcaici; Terenziano Scauro chiama scorretti reprehensus e vehemens, e tanto lui quanto Velio Longo dichiarano che in prendo non vi è h: S., 266. Probo afferma che traho è pronunciato trao: Lindsay, 57. Cfr. App. Pr. «adhuc non aduc». Nelle iscrizioni troviamo forme come aduc, comprendit, cortis, mi, nil, vemens: S., 267-268.
251. H iniziale fu senza dubbio fievolissimo e spesso muto durante la repubblica. Al tempo di Cicerone e nei primi tempi dell'impero s'ebbe un tentativo di rimetterlo in uso nella società colta, che condusse a frequenti abusi tra gli indotti, proprio come accade oggi nel volgo londinese: per le sedicenti eleganze chommoda, hinsidias, ecc., di «Arrio», vedi S., 264.
Quintiliano dice che gli antichi usarono poco l'h e dà per esempio «ædos ircosque»: S., 263. Gellio cita P. Nigidio Figulo per provare che «rusticus fit sermo si aspires perperam»; ma parla delle passate generazioni - cioè contemporanee a Cicerone - come quelle che usavano moltissimo l'h, in parole come sepulchrum, honera: S., 263-264. Pompeo nota che h talvolta fa posizione, come in terga fatigamus hasta (Aen. IX, 610), talvolta no, come in quisquis honos tumuli (Aen., IX, 610): Keil, V, 117. I grammatici si trovarono costretti a discutere minutamente la grafia delle parole con o senza h: S., 264-265.
H manca in alcune iscrizioni verso la fine della repubblica: arrespex (per haruspex), ecc., S., 264. In Roma si sono trovati: E[REDES], C. I. L., I, 819. A Pompei l'h è liberamente omesso; e dopo il terzo secolo esso è dovunue, poco più poco meno, usato senza far differenza tra vocaboli: abeo, abitat, anc, eres, ic, oc, omo, ora, ecc, haram, hegit, hossa, ecc., S., 265-266. Cfr. ospitium, ymnus, ecc., heremum, hiens, hostium, ecc., Bechtel, 77-78; ortus, ecc., hodio, ecc., R., 462-463.
252. Dopo che h ebbe cessato di suonare, venne fuori una pronuncia scolastica dell'h mediano come k, che è perdurata nella pronunzia italiana del latino e ha intaccato alcune parole in altre lingue: michi, nichil, Bechtel, 78; R., 455 Cfr. E. S. Sheldon, Harvard Studies and Notes in Philology and Literature, I (1982), 82-87.
Così in Grandgent, a proposito dell'alternanza tra la consonante f e l'aspirata (pag. 176):
(I) I grammatici parlano di un'alternanza di h e f: fædus > hædus, fasena > harena, fircum > hircum, habam > fabam, ecc. S., 300. L'f e l'h appartennero senza dubbio, a differenti dialetti del latino arcaico; secondo Varrone, Ling. Lat. 5, § 97, l'f per h era sabino. Questo fenomeno non ha nulla a che fare col cambiamento di f iniziale in h nello spagnuolo e nel guascone.
Così in Lindsay, The Latin Language, sempre sullo stesso argomento (pag. 294-295):
121. Dialectal f for h. In Spanish, Latin f has become h, e.g. hablar, 'to speak' (Lat. fābulari, O. Lat. fabulare), and an interchange of h and f shows traces of itself in the dialects of Italy. We find the form fasena for hăsēna ascribed to the Sabine dialect by the grammarians (Vel. Long. 69. 8 K.), along with fircus (cf. the name of a citizen of Reate mentioned by Varro, Fircellius) and fedus.
Similar forms roughly classed by the grammarians as 'Old Latin' we may believe to have been dialectal, e. g. fordeum for hordeum, folus for hŏlus, fostis for hostis, fostia for hostia, &c., though some of them may be mere coinages to strengthen the argument for the spelling with h- (see Quint, i. 4. 14 ; Ter. Scaur. pp. II, 13 K.; Vel. Long. p. 81 K. ; Paul. Test. 59. 21 Th. &c.).
A Faliscan inscription has foied for hodie (Not. Scav. 1887, pp. 262, 307) : foied uino pipafo kra karefo 'hodie vinum bibam, eras carebo,' but a Sabine inscription has hiretum, apparently from the root ĝher- (?gher-) (Osc. heriiad, Gk. χαίρω, &c.), and Ter. Scaurus (13. 9 K.) quotes haba (Lat. faba, O. SI. bobu, I.-Eur. bh-) as Faliscan. (See von Planta, i. p. 442 ; Löwe, Prodr. p. 426 ; and on the interchange of f and h in Etruscan inscriptions, Pauli, Altitaliscke Forschungen, iii. p. 114). Lat. fel has been explained as a dialectal form for *hel (cf. Gk. χόλος) and fovea for *hovea (Gk. χειά) (cf. the gloss 'fuma' terra, C. G. L. v. 296. 50).
Similar forms roughly classed by the grammarians as 'Old Latin' we may believe to have been dialectal, e. g. fordeum for hordeum, folus for hŏlus, fostis for hostis, fostia for hostia, &c., though some of them may be mere coinages to strengthen the argument for the spelling with h- (see Quint, i. 4. 14 ; Ter. Scaur. pp. II, 13 K.; Vel. Long. p. 81 K. ; Paul. Test. 59. 21 Th. &c.).
A Faliscan inscription has foied for hodie (Not. Scav. 1887, pp. 262, 307) : foied uino pipafo kra karefo 'hodie vinum bibam, eras carebo,' but a Sabine inscription has hiretum, apparently from the root ĝher- (?gher-) (Osc. heriiad, Gk. χαίρω, &c.), and Ter. Scaurus (13. 9 K.) quotes haba (Lat. faba, O. SI. bobu, I.-Eur. bh-) as Faliscan. (See von Planta, i. p. 442 ; Löwe, Prodr. p. 426 ; and on the interchange of f and h in Etruscan inscriptions, Pauli, Altitaliscke Forschungen, iii. p. 114). Lat. fel has been explained as a dialectal form for *hel (cf. Gk. χόλος) and fovea for *hovea (Gk. χειά) (cf. the gloss 'fuma' terra, C. G. L. v. 296. 50).
Conclusioni
Appurato che in non pochi casi h- iniziale aveva una variante dialettale f-, che fosse sabina o meno, occorre giungere per necessità ad un'epoca sufficientemente antica in cui h- suonava pienamente come fricativa. Non ha così senso l'idea dei nostri avversari, che ritengono h- nelle parole latine come un mero vezzo grafico privo di corrispondenza fonetica ab aeterno. Allo stesso modo l'etimologia di radici inizianti per h- e dotate di origine indoeuropea prova che tale consonante discendeva da un suono più complesso, un'occlusiva velare aspirata *gh-. Nelle parole che hanno invece origine etrusca, si nota che l'alternanza tra h- e f- è presente anche in quella lingua, in cui l'aspirazione si pronunciava ed era un fonema, non un semplice vezzo arbitrario. Proprio come in latino troviamo attestato Ferclis per Hercules, così in etrusco abbiamo il gentilizio Ferclite per Herclite, che corrisponde in pieno al greco Ἡρακλείδης.