Tutti su questo pianeta conoscono la locuzione bunga bunga, con le sole eccezioni degli antropofagi dell'isola di Sentinel e forse di qualche tribù incontattata dell'Amazzonia. Forse. Infatti è possibile che anche tra le più isolate genti della foresta peruviana e brasiliana sia giunta qualche notizia sui festini orgiastici della villa di Hardcore, che tanto scalpore hanno suscitato tra le genti all'epoca del Governo Berlusconi IV. Una grande pubblicità per questo paese, non c'è che dire. Ricordo ancora il sorprendente caso di un connazionale che andò in Botswana, un paese remoto e ancora pagano dell'Africa: appena fece sapere la sua provenienza con un legnoso "Hello, I am from Italy", si sentì salutare così: "ITALIANO BUNGA BUNGA!". Persino in Afghanistan, i Talebani sapevano tutto e ne ridevano. Il colmo si ebbe quando in Argentina fu aperto un bordello intitolato Palacio Berlusconi, il cui proprietario intendeva replicare proprio il famoso rito, il bunga bunga! Quattro sillabe soltanto, che mimano il rumore prodotto dallo stantuffare di un fallo turgido nell'intestino retto, sono bastate a sconvolgere il mondo - anche se a quanto pare si trattava più che altro di lingue che scavavano a fondo negli orifizi femminili.
Primi tentativi di spiegazione
Sorge a questo punto una domanda. Quali sono le origini del bunga bunga? A quanto è possibile ricostruiere dalla testimonianza dei mass media, la grottesca locuzione cominciò a diffondersi nel 2010. Era a quei tempi opinione comune che Berlusconi avesse appreso il costume del bunga bunga da Muammar Gheddafi, che avrebbe chiamato in quel modo una sessione orgiastica fondata sul sesso anale con prostitute (il condizionale è d'obbligo). L'immaginario italiano trovò naturale far entrare il bunga bunga nel proprio vocabolario, dato che il suono africanoide evocava qualcosa di esotico, sfrenato e primitivo. Oggi queste vocalizzazioni sarebbero definite "razziste", ma soltanto pochi anni fa non ci badava nessuno. Quando venni a conoscenza di questa attribuzione a Gheddafi di una simile onomatopea, rimasi subito molto perplesso e dichiarai il mio scetticismo. Non può avere nulla di arabo, compresi all'istante. Già, perché non è una pretesa così assurda: dal momento che Gheddafi si esprimeva in arabo libico, ci saremmo aspettati un vocabolo tratto da tale lingua, magari adattato in modo grossolano all'italica fonotassi. Non ci pensai troppo a lungo, avendo ben altri problemi - tra l'altro Berlusconi profondeva un impegno indefesso nella causa della censura e dell'annientamento dei blog.
La beffa della Dreadnought
Indagando negli antri del Web, sono riuscito a risalire a una notizia davvero singolare. Nel 1910, esattamente un secolo prima dell'emergere del bunga bunga berlusconiano, un gruppo di rampolli della buona società inglese organizzò una tremenda bravata goliardica. L'ideatore della burla fu il poeta irlandese Horace de Vere Cole, conosciuto per il suo carattere burlone, non dissimile da quello del Marchese del Grillo. Accadde così che lui e cinque suoi amici si travestirono annerendosi il volto, mettendosi barbe posticce, indossando lunghi abiti bianchi e coprendosi il capo con voluminosi turbanti. L'identità di questi buontemponi non è un mistero. Ecco i nominativi: Virginia Stephen, che in seguito sarebbe diventata famosa come Virginia Woolf; suo fratello Adrian Stephen; lo scrittore e militare Anthony Buxton; l'avvocato dell'Alta Corte Cecil Guy Ridley e il pittore Duncan Grant. Cole intendeva spacciarsi per l'Imperatore dell'Abissinia e presentare gli altri come suoi dignitari, allo scopo di visitare la corazzata britannica Dreadnought (ossia "Intrepida", da to dread "temere" e nought "niente"). Così fu fatto e tutto andò alla perfezione. L'Imperatore fittizio d'Abissinia e i principi fasulli ispezionarono la nave da guerra mostrando grande interesse. Ogni volta che veniva loro mostrata qualche meraviglia della tecnologia dell'epoca, esprimevano un'immensa ammirazione esclamando: "BUNGA BUNGA!". Questi aristocratici rentiers, che non lavoravano o lo facevano per hobby, simulavano conversazioni abissine alterando versi dell'Eneide, appresi nel corso dei loro studi nelle più esclusive università. Virginia Stephen, che in seguito avrebbe incantato le lesbiche di mezzo mondo, si presentò addirittura come Principe Mendex, parola chiaramente derivata dal latino mendax "bugiardo, menzognero". Sembra evidente che l'educazione dei militari britannici non includesse grandi nozioni di lingue classiche, visto che all'Impero servivano soldati con le palle di granito fumante e non filologi classici. Così il comandante della nave, Sir William May, non ebbe la possibilità di accorgersi che lo stavano tirando per il culo. Tutto si concluse per il meglio, nonostante piccoli incidenti (uno scroscio di pioggia minacciò di sciogliere il trucco degli impostori). Invitati a pranzare a bordo della Dreadnought, i finti abissini rifiutarono con una scusa speciosa: non era loro possibile accettare l'invito per via delle complesse norme alimentari a cui erano soggetti i membri della casa imperiale. La beffa non rimase senza conseguenze: lo stesso Cole fece in modo che divenisse di pubblico dominio. In breve, su tutti i principali quotidiani comparve una foto del gruppo assieme al resoconto dell'impresa. La Royal Navy, coperta di ridicolo e oggetto di satira, chiese subito l'arresto dei burloni. Dato l'immenso potere massonico delle università, il gruppo non conobbe il processo e la prigionia. La punzione fu soltanto simbolica. Ai soli uomini fu assestata una bastonata rituale sulle natiche, che aveva più che altro l'effetto di sottoporre i colpevoli a un'umiliazione. Alla pena scampò Virginia Stephen, il cui delicato deretano fu ritenuto degno di rimanere inviolato. Cinque anni dopo, nel 1915, quando la Dreadnought affondò un sommergibile tedesco, un telegramma di congratulazioni riportava soltanto due parole: "BUNGA BUNGA!". Anche il CICAP ha sentito la necessità di occuparsi dell'argomento, per quanto non veda in esso neppure una traccia di paranormale.
La questione della pronuncia
Sul Western Daily Mercury comparve a caratteri cubitali il titolo "Bunga Bungle!", ossia "il pasticcio del bunga (bunga)", che giocava sull'assonanza. Questo pone un problema. Dal momento che la pronuncia di bungle è /ˈbʌŋɡl/, sorge il dubbio che bunga bunga potesse suonare /ˈbʌŋɡǝ ˈbʌŋɡǝ/ anziché /ˈbʊŋɡǝ ˈbʊŋɡǝ/, come sarebbe invece naturale. Questo anche perché la colorita espressione si è diffusa soprattutto a mezzo stampa, potendo dar quindi origine a pronunce ortografiche. Gli anglofoni posseggono un sistema molto ingegnoso quanto molesto per scrivere correttamente le parole e i nomi propri che sentono pronunciare: ne domandano lo spelling, ossia la ripetizione rituale e salmodiante dei nomi delle lettere dell'alfabeto che compongono la forma scritta. Così il Signor Beauchamp, il cui cognome suona /'bi:tʃǝm/, intonerà una cantilena irritante scandendo con cura maniacale: "bee, ee, a, u, cee, haitch, a, em, pee". Peccato che non sia mai stato elaborato il procedimento inverso, in grado di permettere di ricostruire la corretta pronuncia dalla forma scritta di una parola senza poterla ascoltare direttamente. Senza un simile espediente, un lettore si troverà incapace di articolare correttamente un nome sconosciuto e inventerà pronunce ortografiche. Aleister Crowley inventò un rimedio rudimentale, ma non riuscì a renderlo generale. Aveva composto alcuni versi inequivocabili per spiegare il giusto suono del suo cognome: The name is Crowley, it rhymes with holy. It isn't Crowley that rhymes with fouly. Con Noam Chomsky la cosa non ha funzionato: il cognome è pronunciato dai più con il suono iniziale di cheese, mentre la pronuncia corretta inizia con il suono aspirato di loch. La controversia sulla pronuncia anglofona di bunga bunga è presto risolta facendo un giro in Youtube: è sicuramente /ˈbʌŋɡǝ ˈbʌŋɡǝ/. Avrei dovuto arrivarci subito, data l'assonanza con bum "chiappe" e bumhole "buco del culo", a loro volta di origine onomatopeica.
Ulteriori evoluzioni
In seguito alla beffa della Dreadought, la locuzione bunga bunga finì pian piano con l'acquisire un nuovo significato. A un certo punto cominciò a circolare una storiella con tre esploratori come protagonisti. La riporto in estrema sintesi. Questi esploratori si addentrano in una terra impervia e selvaggia dell'Africa profonda, finendo catturati dai nativi. Il capo del villaggio impone ai prigionieri di scegliere due alternative: o la morte o il bunga bunga. Il primo a cui viene chiesto di scegliere opta per il bunga bunga. Viene sodomizzato brutalmente da tutta la tribù e poi bruciato vivo. Il secondo progioniero, temendo che il capo del villaggio abbia capito male la risposta, sceglie anche lui il bunga bunga. Fa la stessa misera fine dell'altro. Il terzo, visti gli orrori a cui i suo compagni sono stati sottoposti, chiede la morte. Il capo allora gli dice: "Hai chiesto la morte e l'avrai, ma prima divertiamoci con un po' di bunga bunga!". La scelta non era un aut aut, ma un et et. La barzelletta giunse in Italia, a quanto pare negli anni '80. Oltre a bunga bunga, si produce la variante bumba bumba. Alcuni pensano erroneamente che la forma bumba bumba sia quella originale, perché l'avrebbe usata Paolo Rossi nel 2001. A quanto pare costoro ignorano gli antefatti, così la loro tesi è da rifiutarsi. Quello che è certo è che Silvio Berlusconi ha riciclato proprio questo materiale, rilanciando la barzelletta. Secondo alcuni lo avrebbe fatto nell'aprile del 2009, un anno prima della diffusione pandemica di questo splendido ritrovato dell'ingegno umano. Associato allo scandalo Ruby e a voci insistenti su festini degni di Jabba the Hutt, il bunga bunga divenne la cifra di un'epoca.
Sabina Began e una falsa etimogia
I media si sono lasciati incantare da una fola meritevole di scherno. Sabina "Ape Regina" Began, nata Sabina Beganović, attrice tedesca di stirpe bosniaca, affermò in un'occasione che il termine bunga bunga sarebbe stato in realtà un suo soprannome. Sabina "Bunga Bunga" Began. Stando alle sue parole, che risalgono al 2011, la rudimentale onomatopea africanoide sarebbe derivata proprio dalla distorsione del suo cognome abbreviato. Un mai attestato Began Began, ripetuto in modo confuso, avrebbe portato proprio al famigerato bunga bunga. Si tratta chiaramente di un depistaggio. Tra l'altro, le affermazioni della Began non rendono in alcun modo conto dei fatti della corazzata Dreadnought e delle attestazioni inequivocabili della barzelletta dei tre esploratori ben prima del 2010.
Falsi amici
Nel 1852 l'editore scozzese James Hogg aveva citato in una sua opera un toponimo australiano Bunga Bunga, senza peraltro riportare a questo proposito alcunché di eclatante. A parer mio non è stato questo il punto di partenza del bunga bunga di cui stiamo trattando, la cui origine onomatopeica e i cui connotati sessuali sono fuori discussione. La mentalità che ha portato alla beffa della Dreadnought era impregnata di darwinismo e di positivismo: intendeva ridicolizzare i suoni prodotti dalle genti africane, tutte confuse in un gran calderone, attribuendo loro caratteristiche "scimmiesche". A muovere Horace de Vere Cole, la futura Virginia Woolf e gli altri non fu certo un nome di luogo trovato in uno scritto di Hogg. Resta però una domanda. Qual è l'origine del Bunga Bunga australiano? In malese e in molte lingue indonesiane correlate, bunga significa "fiore". Il plurale è bunga-bunga "fiori", ottenuto regolarmente per reduplicazione. Nel XVIII secolo giunsero in Australia genti dall'Indonesia, prima del capitano James Cook. Questi navigatori ebbero contatti con gli aborigeni - in particolare con gli Yolngu - dando loro in prestito alcuni vocaboli. Un affascinante argomento che purtroppo non può essere sviluppato qui, ma prometto che sarà trattato in un'altra occasione.