mercoledì 5 dicembre 2018



LA TOMBA DI LIGEIA 

Titolo originale: The Tomb of Ligeia
Paese di produzione: Gran Bretagna
Anno: 1964
Lingua: Inglese
Durata: 79 minuti
Genere: Orrore
Regia: Roger Corman
Soggetto: Edgar Allan Poe, dai racconti Ligeia e
      Il gatto nero
Sceneggiatura:
Robert Towne
Fotografia: Arthur Grant
Montaggio: Alfred Cox
Musiche: Kenneth V. Jones
Interpreti e personaggi  

    Vincent Price: Verden Fell
    Elizabeth Shepherd: Lady Rowena / Lady Ligeia
    John Westbrook: Christopher Gough
    Derek Francis: Lord Trevanion
    Oliver Johnston: Kenrick
    Richard Vernon: dottor Vivian
    Frank Thornton: Peperel
    Ronald Adam: pastore al funerale
    Densi Gilmore: ragazzo con il cesto
    Penelope Lee: cameriera di Lady Rowena
Doppiatori italiani  

    Renato Turi: Verden Fell
    Maria Pia Di Meo: Lady Rowena Trevanion /
          Lady Ligeia
    Cesare Barbetti: Christopher Gough
    Manlio Busoni: Lord Trevanion
    Gino Baghetti: Kenrick
    Nino Pavese: Dott. Vivian
    Manlio De Angelis: Peperel
    Arturo Dominici: pastore al funerale
    Roberto Chevalier: ragazzo con il cesto
    Miranda Bonansea: cameriera di Lady Rowena

Trama: 

Il nobile Verden Fell è distrutto dalla morte di sua moglie, Ligeia. Il pastore si rifiuta di celebrare il funerale, perché la defunta non era cristiana. La donna era nativa dell'Egitto e sembrava un masso erratico piovuto dall'epoca dei Faraoni, come se le migliaia di anni trascorsi dall'epoca della regina Nitokris fossero stati soltanto un sogno. Dotata di poteri magici, la sua presenza continua ad infestare come un fantasma le spettrali rovine dell'abbazia dove Verden Fell aveva vissuto con lei e abita tuttora. L'uomo vive nel lutto e nella macerazione, veste di nero come un becchino e porta occhiali neri di forma molto particolare, che gli conferiscono un aspetto lugubre. Un giorno una dama dai capelli rossi, Lady Rowena Trevanion de Tremaine, si sinistra un piede cadendo da cavallo e viene soccorsa da Verden, che la porta nella propria dimora. La cura e le mostra la sua collezione di reperti egizi, che consiste in un gran numero di busti e di teste di antichi sovrani della Terra Nera del Nilo. La giovane donna ne rimane impressionata. Affascinata dal nobiluomo, torna a visitarlo e presto prende corpo un progetto di matrimonio. Il suo precedente fidanzato, Christopher Gough, deve rassegnarsi alla determinazione dell'amata. Contro ogni buon senno, il conte-becchino e la rossa amazzone convolano a nozze, nonostante la differenza di età. Presto si addensano sinistre ombre sulla vita della sposa. Ligeia sembra una presenza concreta, solida e reale. I sonni di Lady Rowena sono funestati dalla presenza di un diabolico gatto dal pelo nero come la pece, i cui versi strazianti le fanno accapponare la pelle e raggelare il sangue. Verden non può dirsi un marito presente e affettuoso, in lui sembra abitare il gelo dell'Abisso e non ci sono evidenze che il matrimonio sia stato consumato. Durante le notti insonni, fredde e solitarie, la donna si rende conto che il marito cammina in stato di sonnambulismo e si reca nottetempo alla tomba di Ligeia. Gli eventi precipitano: si scopre un passaggio segreto che conduce a una stanza occulta in cui Verden Fell ha conservato il corpo incorrotto della sua moglie egiziana, avendo cura di mantenere un fuoco sacro che non si spegne mai, come il Fuoco di Vesta, offrendole sacrifici e tributandole adorazione. Il corpo sepolto nella tomba era soltanto un manichino di cera! Il film raggiunge il suo apice tragico quando lo spirito di Ligeia, nella forma del gatto nero che perseguita la moglie di Verden, si scaglia contro di lui e gli strazia gli occhi, accecandolo! Ne scaturisce un incendio che consuma l'abbazia, mentre Lady Rowena riesce ad allontanarsi, tratta in salvo dall'ex fidanzato Christopher, con cui ora è libera di cominciare una nuova vita.  


Recensione: 

Il film mostra una labile somiglianza con Ligeia, il famoso racconto di Edgar Allan Poe. A parer mio è avvenuta una profonda contaminazione con un altro racconto tra i più celebri dello stesso glorioso autore: Il gatto nero (The Black Cat). Anche se a livello di trama non sussistono significative analogie, gli elementi presi a prestito da questa opera inquietante sono tuttavia altamente significativi: il gatto furioso e l'incendio che divora la casa. Sulla Wikipedia in inglese sono riportate alcune informazioni interessanti sulla genesi del film di Corman. Towne, lo sceneggiatore, si rese presto conto che il racconto Ligeia era troppo breve e che sarebbe stato difficile trarne un film articolato. Per questo motivo lesse tutta l'opera di Poe per avere le idee più chiare. Decise così di espandere la trama di Ligeia innestandovi alcuni temi caratteristici della produzione dello scrittore di Boston: il mesmerismo e la necrofilia. Così fu concepita l'idea portante del film, il cui protagonista era stato mesmerizzato dalla sua prima moglie, e spinto dal comando ipnotico che era stato inserito nell'inconscio, conservava il corpo di lei e lo concupiva, congiungendosi alle sue carni estinte. Una nozione che per l'epoca era spaventosa e terrificante (attualmente, essendo la filosofia laveyana percolata ovunque, non sembra più una cosa così folle) - eppure del tutto consistente con il sentire di Poe. Certo, non possiamo aspettarci che nel film compaiano atti di necrofilia espliciti, la cosa è soltanto suggerita dalla perfetta conservazone del corpo di Ligeia, che non mostra segno di corruzione, nemmeno un livido, che evidentemente non è stato penetrato dal gelo della tomba e indurito dal rigor mortis. Siamo di fronte a un caso di edulcorazione della necrofilia. Il cadavere non esala lezzi, è fresco, quindi desiderabile come se fosse una creatura vivente. Tanto più che a un certo punto si anima: la morte è come se fosse finta. In modo abbastanza criptico e misterioso, Towne commentò: "Ho cercato di avere la mia torta e di mangiarmela pure." Secondo la vulgata, lo sceneggiatore alludeva al risultato ottenuto, ossia una storia in cui era possibile spiegare gli eventi sia in chiave naturale (con l'ipnotismo) che in chiave soprannaturale (con la possessione diabolica). Certo, la costruzione narrativa è geniale. Completamente zombificato, Verden Fell è controllato da questa persona morta, o meglio non-morta, non-spirata, un vero e proprio Nosferatu, che probabilmente era stata davvero viva su questa Terra fin dal tempo della costruzione delle Piramidi, che aveva bevuto vino alla corte di Cheope e poi di Ramesse il Grande, che aveva visto Mosè con i propri occhi, che aveva regnato sull'Egitto con i nomi di Hatshepsut e di Nitokris, senza mai invecchiare col trascorrere dei secoli. Di fronte a un simile potere, nessuno penserebbe di essere in grado di conservare la propria volontà, nessuno si illuderebbe di avere la capacità di gestire la propria esistenza. Alla fine della Ligeia di Poe resta ben poco: da donna coltissima e sensibile è stata trasformata in un demone, in una persecutrice.

Grottesche controversie 

La cosa che più mi sorprende è l'ostinazione con cui Roger Corman si oppose alla scelta dell'ottimo Vincent Price nel ruolo del protagonista. A quanto ci è tramandato, avrebbe preferito Richard Chamberlain. Proprio lui, il prete di Uccelli Divoro, pardon, Uccelli di Rovo. Non avrebbe potuto esserci al mondo scelta peggiore. Il film ne sarebbe uscito menomato. Le perplessità di Corman, a sua detta, riguardavano l'età di Price, troppo vecchio per interpretare un personaggio che avrebbe dovuto avere una trentina d'anni, che avrebbe potuto attrarre le attenzioni di una giovane donna. Tutti pretesti. Se al giorno d'oggi un amore tra un uomo maturo e una ragazza desta scandalo, un tempo era cosa del tutto normale, matrimoni di questo tipo non erano affatto rari. Towne se ne uscì in seguito con affermazioni alquanto singolari, che lasciano basiti: "Il film era un po' noioso. Penso che sarebbe stato meglio se fosse stato con un uomo che non sembrava un necrofilo, tanto per cominciare... Amo Vincent. È molto dolce. Ma, per proseguire, sospetti che Vincent possa scoparsi gatti, galline, ragazze, cani, tutto. Senti che la necrofilia potrebbe essere una delle sue cose basilari. Avevo sentito che il ruolo richiedeva un ragazzo quasi innaturalmente bello di cui la seconda moglie potesse facilmente innamorarsi. Ci dovrebbe anche essere un senso del tabù sul legame stretto che aveva con la sua prima moglie - come se fosse qualcosa di incestuoso, due metà della stessa persona." Non c'è che dire: un bel calderone di morbosità! Alla fine la questione fu risolta allo stesso modo in cui Alessandro il Grande sciolse il Nodo di Gordio: la casa di produzione cinematografica AIP impose tra le sue condizioni proprio di assegnare a Vincent Price il ruolo di Verden Fell, così Roger Corman fu ridotto al silenzio. 


Etimologia di Rowena

Il nome Rowena è di incerta origine. Potrebbe essere derivato dall'antico inglese Hrōðwina, con la variante Hrōðwyn. Il primo membro del composto è hrōð "fama", molto produttivo nell'onomastica germanica, mentre il secondo è wine "amica". Meno probabile è che il secondo membro possa essere wynn "gioia", come taluni sostengono. C'è chi, insoddisfatto da un'origine germanica dell'antroponimo, ha proposto un'etimologia dal celtico insulare: si tratterebbe di un composto delle parole gallesi rhon "giavellotto, lancia" e gwen "bianca" (< *winda:). In gallese medievale Ron era il nome della lancia di Artù. La parola significava anche "coda". L'origine ultima dovrebbe essere nella preposizione indoeuropea *pro- "in avanti", che compare anche nel latino pro:nus "chino in avanti". Abbiamo quindi Rhonwen (< *Rono-winda:) "Lancia Bianca", che a detta di alcuni sarebbe un reale nome di donna gallese. Meno plausibile la derivazione dal gallese rhawn "crine di cavallo" (< *ra:no-). La vocale finale della forma Rowena, priva di chiara giustificazione nell'ambito del celtico insulare, non è di ostacolo. Giova notare che Rowena compare per la prima volta nell'opera di Goffredo di Monmouth, Historia Regum Britanniae (XII secolo): è una donna sassone figlia del condottiero Hengist e moglie del capo britanno Vortigern. Un personaggio molto negativo, una traditrice: è improbabile che il suo nome sia divenuto popolare. Infatti sia Rowena che Rhonwen entrano nell'uso a partire dalla letteratura romantica. Tutto ciò insegna quanto sia grande il potere del tempo, che è Ignoranza: il futuro è offuscamento e il passato è perdita di informazioni. Eppure su scala storica è passato sultanto un attimo!    

Etimologia dei cognomi Trevanion e Tremaine 

I cognomi Trevanion e Tremaine hanno entrambi la loro origine nella lingua celtica della Cornovaglia. Trevanion è attestato con le varianti Trevannion e Trevanning. Si tratta di un composto, il cui primo membro è tref "villaggio; fattoria" (varianti trev, tre). Il secondo membro è stato mal riconosciuto da molti autori. Alcuni pensano che sia guag "cavità" (prestito dal latino vacuum "spazio vuoto"), ma questo è impossibile per ragioni fonetiche. Altri interpretano il cognome come "luogo tra due fiumi", ma nemmeno questo è possibile. In cornico la parola avon "fiume" ha le forme plurali avoniow e avenow, che non spiegano il cognome. Anche in gallese afon "fiume" ha un plurale inadatto, afonydd. Così si scopre che Trevanion è formato a partire dal nome del padrone dell'antica fattoria di origine, Anian, attestato anche nella forma latinizzata Anianus, portato da due vescovi e corrispondente al gallese medievale eniawn "giusto". Tremaine è attestato come cognome con numerose varianti: Tremain, Tremayne, Treamain, Treaman, Treamann, Traemann, Traeman, Tramain, Tramaine, Traimain, Treamayne, Tramayne, Traymaine, Terman, etc. La forma Tremain compare seppur raramente persino come nome di battesimo. Chiaramente anche questo è un composto formato a partire da tref "villaggio; fattoria". Il secondo membro è però diverso: si tratta con ogni probabilità del cornico mên "pietra" (gallese maen). Il significato quindi sarebbe "Fattoria sulla Pietra". Un altro cognome cornico formato in modo simile è Trevena, con la variante Trevenna, in cui il secondo membro è il cornico menydh "montagna" (gallese menydd): "Fattoria sulla Montagna". Certamente Poe formò il cognome nobiliare Trevanion of Tremain giocando sull'assonanza tra le due parti che lo compongono. 

Etimologia di Verden 

L'origine del nome del nobile interpretato da Vincent Price è il cognome baronale Verden, anticamente Verdon o Verdun, introdotto in Inghilterra con la conquista normanna. Deriva chiaramente dal nome della cittadina francese di Verdun, tristemente nota per le ecatombi che ebbero luogo nella Grande Guerra. Il toponimo Verdun risale al celtico *Wi:ro-du:non, trascritto in latino come Virodunum o Verodunum. Il significato è "Città Forte" (da *wi:ro- "vero", ossia "saldo, forte", corradicale del latino ve:rus). In antico alto tedesco il nome appare come Wirten, forma che non ha dato discendenti nel tedesco attuale. Non c'è relazione col nome della città tedesca di Verden, il luogo dove ci fu il massacro dei Sassoni che non volevano abbandonare i culti pagani (ha una fricativa sorda /f/ iniziale)


Amnesia e reminiscenza 

Il 30 novembre 2018 scrivevo su Facebook la seguente nota: 

Un caso davvero bizzarro. La scorsa notte ho visto il film "La tomba di Ligeia" di Roger Corman, con Vincent Price (1964). Mi sono accorto di averlo senza dubbio già visto da giovane. Il fatto singolare è questo: ho compreso all’improvviso di averne rimosso completamente il ricordo a causa del trauma che mi aveva provocato. Ho riconosciuto il film come causa diretta di molti incubi atroci che mi hanno perseguitato per anni e da cui in seguito ho tratto ispirazione per il racconto "L'artiglio del Nullifico". Tali incubi, pieni di gatti inferociti, contenevano spesso ambientazioni che ricordavano quelle del film. In uno di questi ero un nobile e mi ero appena sposato: nel cuore della notte un terribile gatto nero saltava in faccia alla sposa, dilaniandole il volto e accecandola. Quello che più mi ha sorpreso è constatare che sia io che la sposa avevamo le stesse sembianze dei protagonisti del film di Corman! Lei era fulva e magra, e indossava un abito bianco simile a quello indossato da Lady Rowena, sembrava proprio lei. Attraversando un corridoio pieno di specchi, mi sono visto in volto. Ero proprio il Verden Fell del film e portavo gli stessi strani occhiali neri! Solo (ri)vedendo il film ho compreso il perché di ogni dettaglio di quel sogno spaventoso e funesto, che ha impresso un marchio indelebile nella mia memoria. In un altro incubo i gatti mi costringevano a trovare rifugio in una bara posta in un loculo sotterraneo. Quando sento i versi notturni dei gatti in calore che litigano, ancora oggi mi si gela il sangue nelle vene.

venerdì 30 novembre 2018



IL TRIANGOLO DELLE BERMUDE

Titolo originale: El Triángulo diabólico de las Bermudas
Aka: The Bermuda Triangle; The Secrets of the Bermuda Triangle;
     Devil's Triangle of Bermuda
Paese di produzione: Italia, Messico
Anno: 1978
Durata: 115 min
Rapporto: 1.78 : 1
Genere: Avventura, drammatico, fantascienza
Regia: René Cardona Jr.
Soggetto: René Cardona Jr.
Sceneggiatura: Carlos Valdemar, René Cardona Jr.
Casa di produzione: Nucleo Intern - Conacine
Distribuzione (Italia): Nucleo Star
Fotografia: Leon Sanchez
Montaggio: Alfredo Rosas Priego
Effetti speciali: Federico Farfán
Musiche: Stelvio Cipriani
Interpreti e personaggi
    John Huston: Edward Marvin
    Gloria Guida: Michelle Marvin
    Marina Vlady: Kim Marvin
    Hugo Stiglitz: Mark Briggs
    Carlos East: Peter
    Claudine Auger: Sybill
    Al Coster: Dave Marvin
    Andrés García: Alan
 
    Andrés García Jr.: Billy 

    Miguel Fuentes Azpiroz: Gordon
    Gretha: Diana Marvin
    Mario Arévalo: Tony, un membro dell'equipaggio
    Adalberto Arvizu: un pilota dell'esercito
    Jorge Zamora: Simon, il cuoco
Doppiatori italiani
    Glauco Onorato: Mark Briggs
    Pino Colizzi: Alan 

Titoli tradotti: 
   Germania: SOS-SOS-SOS Bermuda Dreieck
   Francia: Le mystère du triangle des Bermudes
   Portogallo: O Triângulo Diabólico das Bermudas
   Russia: Тайна Бермудского треугольника
   Danimarca: Mysteriet i dybet

Trama: 
Nel 1945 un gruppo di quattro aerei Avenger decollati da Fort Lauderdale scompare misteriosamente durante la traversata dell'area denominata Triangolo delle Bermude. Gli strumenti impazziscono. Nell'ultimo contatto radio uno dei piloti afferma che il mare è molto alterato e che una luce accecante viene verso di lui.
Una trentina di anni dopo, nel 1978, l'archeologo Edward Marvin si trova con la sua numerosa famiglia a bordo dello yacht Black Whale III (notare il nome augurale e lieto), diretto verso il mare delle Bermude. Lo studioso è impegnato in una missione ambiziosa: spera di scoprire nientepopodimeno che i resti sommersi della civiltà scomparsa di Atlantide, in modo tale da concludere con onore la propria carriera lavorativa. Oltre al capitano Mark Briggs e all'equipaggio ci sono il dottor Peter, la cui vita è distrutta dai sensi di colpa derivanti da una diagnosi errata, e sua moglie Sybill, creatura fatua e volubile. Il viaggio procede, ma una volta arrivati a destinazione cominciano ad accadere fenomeni inspiegabili. Gli strumenti di bordo sono fuori controllo e viene scoperta una bambola d'epoca che galleggia tra le onde. Il simulacro viene pescato dall'equipaggio e Diana Marvin, la figlia più giovane dell'archeologo, se ne impadronisce. Presto risulta chiaro che la bambola è un manufatto diabolico in grado di prendere vita. Il suo volto è orribile e contratto in un ghigno spaventoso. Quando uno stormo erratico di pappagalli investe l'imbarcazione, il mostruoso giocattolo si anima e con un piccolo coltello fa a pezzi i volatili, uno per uno. Cominciano ad abbattersi disgrazie sulle persone presenti a bordo, che finiscono decimate dai più orrendi incidenti, evidentemente non occorsi per caso. Il cuoco finisce sgozzato da un coccio di bottiglione durante una caduta in cambusa, il macchinista viene tritato da un'elica, riattivatasi proprio durante la manutenzione. Durante un'immersione, Edward e i suoi scoprono imponenti colonnati, vestigia di una sconosciuta civiltà scomparsa, ma vengono sorpresi da un tremendo terremoto. La figlia maggiore dell'archeologo, Michelle, rimane gravemente ferita a una gamba e necessita di essere operata al più presto. Viene così caricata su un gommone da suo fratello Dave, che cerca di dirigersi verso il più vicino avamposto umano. Il mezzo di fortuna non arriverà mai alla meta: una globo di luce innaturale affiora dalle acque, facendo sparire Michelle e Dave. Lo yacht è ormai in stato di desolazione, rimane soltanto il capitano, che cerca aiuto tramite la radio. L'orrore lo pietrifica quando alla sua chiamata risponde la guardia costiera e viene quindi a sapere che la Black Whale III è scomparsa da dodici anni! La nebbia avvolge l'imbarcazione, che si dissolve nel Nulla.


Recensione:
Considerato un immondo polpettone-horror dalla critica, il film di Cardona Junior è invece secondo me abbastanza interessante. Non certo perché dotato di qualche parvenza di veridicità, sia ben chiaro. Resta però una storia inquietante e capace di trasmettere la consapevolezza della nullità dell'essere umano di fronte a forze terribili che si nascondono dietro il pelo della quotidianità, pronte a fare irruzione e a portare la Morte Ontologica. La pellicola è stata stigmatizzata da giornalisti incapaci di comprendere che il vero Orrore non è il grandguignolesco, l'ammasso di frattaglie estratte da un cadavere sventrato, la testa mozzata e virescente o simili amenità. Se questi recensori non comprendono il potere terrificante di un elemento incongruo come una sinistra bambola che sta dove non dovrebbe esserci, significa che forse farebbero meglio a impiegare il loro tempo a cantare le lodi dell'epopea dei Puffi! Forse un limite del film è l'incapacità di dare una spiegazione univoca degli eventi funesti che colpiscono le persone a bordo della Black Whale III, ma credo che tutto sommato sia un difetto di poco conto. Trovo esagerate le opinioni di chi accusa il regista di aver fatto un lavoro disastroso. Incantevole come sempre la bionda Gloria Guida, che qui interpreta la figlia dell'archeologo votata fin dall'inizio a un fato di atrocità inesprimibile.

Splendida la colonna sonora di Stelvio Cipriani, che comunica un'angoscia e un senso subliminale di contatto con l'Ignoto, in grado di insinuare brividi profondi nell'anima. Secondo me il miglior Cipriani è in assoluto quello giovanile. Sono rimasto basito quando ho appreso da amici che l'hanno visitato, che il celebre compositore riteneva di aver raggiunto il culmine della sua realizzazione con la Missa solemnis, considerando invece quasi irrilevanti i brani musicali composti in gioventù, a mio avviso così ispirati. 

Il mito memetico del Triangolo Diabolico 

Ormai non se ne parla praticamente più, nemmeno negli ambienti dei complottisti, ma ci fu un tempo in cui il Triangolo delle Bermude era sulla bocca di tutti. Circolavano le più mirabolanti narrazioni mitologiche. Si diceva che le compagne aeree rifiutassero di far sorvolare l'area maledetta ai loro piloti e che quando erano costrette a fare un'eccezione, i membri dell'equipaggio si facessero il segno della croce per tutti i morti che c'erano stati - e a quanto pare anche per le genti di Atlantide perite nello sprofondamento della loro terra. Si tratta certamente di invereconde fanfaluche, inventate da qualcuno e diffuse su vasta scala tramite contagio memetico. L'origine di questo interesse per le sparizioni di navi e di aerei nel mar dei Sargassi è facile individuarla: si tratta di un libro di Charles Berlitz, Bermuda, il triangolo maledetto (Bermuda Triangle), pubblicato per la prima volta nel 1974, soli quattro anni prima dell'uscita del film italo-messicano di Cardona Junior. L'opera di Berlitz ha conosciuto una diffusione straordinaria e un immenso successo, in un'epoca in cui la gente era ben disposta ad accogliere qualsiasi suggestione misteriologica senza alcun barlume di elementare senso critico. Charles Frambach Berlitz (1914-2003), scrittore statunitense, era il nipote di Maximilian Berlitz, fondatore della famosa scuola di lingue che tuttora porta il suo nome. Il suo apparato dottrinale era composto da una pastone di teorie pseudoscientifiche prese da Peter Kolosimo, prima tra tutte quella degli Antichi Astronauti - secondo cui la Terra sarebbe stata visitata nella preistoria da svariate civiltà extraterrestri, che avrebbero contribuito a fondare le culture e le tecnologie umane. Un altro caposaldo kolosimiano professato da Charles Berlitz consiste nella fede in una fitta rete di discontinuità spaziotemporali, composta da wormholes in grado di connettere alcuni luoghi del nostro pianeta a chissà quali dimensioni di altri universi. Le argomentazioni berlitziane sull'antico continente perduto di Altlantide sono volte a dimostrare, con mezzi scarsi e paralogici, l'origine delle civiltà precolombiane d'America da profughi giunti dalla terra ricoperta dalle acque. Così il termine nahuatl Aztlan, che significa "Luogo degli Aironi Nivei" - da cui deriva Aztecatl "persona di Aztlan" (da cui azteco) - viene attribuito ai Maya e trascritto come Aztlán o Atlán, la seconda variante essendo una fabbricazione per rendere il toponimo amerindiano più simile a quello riportato da Platone. Immagino che anche questa perla sia stata presa da Kolosimo. Le lingue dei Maya sono di ceppo diverso dal Nahuatl degli Aztechi e sono assai dissimili anche nella fonetica: le trame degli pseudoscienziati saltano subito all'occhio a chi abbia un minimo di conoscenza. 

Ontologia temporale

Il presupposto del film è un'ontologia temporale eternista non tensionale (B-eternista), caratterizzata da cunicoli (wormholes) in grado di connettere regioni dello spaziotempo con coordinate temporali molto diverse: accade così che dal suo cronotopo presente un navigatore possa venirsi a trovare nel lontano futuro, a distanza di anni, prendendo una sorta di scorciatoia. Allo stesso modo è possibile che un segnale dal lontano futuro percorra il cunicolo spaziotemporale venendo così captato nel presente, dando persino origine a dialoghi paradossali. In pratica sarebbe possibile la propagazione retrograda di un segnale subluminale senza coinvolgere un universo tachionico o superluminale. Il segnale radio che parte dalla guardia costiera, in una regione spaziotemporale a dodici anni di distanza dal cronotopo del capitano Briggs, procede senz'altro in modo assurdo. Questo perché  va dal presente della guardia costiera verso il futuro, non presuppone un'inversione del nesso causa-effetto, eppure questo futuro verso cui tende... è nel passato! Tutto ciò, oltre a provocare orripilazione, non sarebbe possibile in un'ontologia temporale presentista, e penso che presenterebbe qualche difficoltà anche  in un'ontologia eternista tensionale (A-eternista). 

La famigerata lista dei veicoli scomparsi

La pellicola si chiude con un lungo elenco di aerei e di imbarcazioni scomparse nel Triangolo del Diavolo, preso dal libro di Charles Berlitz. In realtà, come fa notare lo stesso CICAP, che si è occupato della questione, nel numero di queste sparizioni non c'è di per sé nulla di anomalo, dato che l'area in cui sono avvenute è caratterizzata da un intenso traffico aereo e marittimo. Pur non avendo alcuna simpatia per gli Angela e per le loro opere, debbo ammettere che c'è della coerenza logica nelle confutazioni pubblicate dal CICAP: per fare un ragionamento lapalissiani, se nel fatidico Triangolo nessuno avesse voluto recarsi per paura della maledizione di Atlantide o degli alieni, non si capirebbe nemmeno come possano esserci state sparizioni. A detta di Berlitz il nostro pianeta sarebbe come una groviera tutta piena di buchi: nella sua opera ha persino dato notizia di altre anomalie simili al Triangolo delle Bermude, come ad esempio il Mare del Diavolo al largo del Giappone, anch'esso caratterizzato da un elevato numero di disgrazie - cercando di attribuirle a cause soprannaturali. La gente si è bevuta tante di quelle stronzate negli anni, che adesso ci sono molti allergici che chiedono le fonti anche per affermazioni come "la formula chimica dell'acqua è H2O". Magari un po' di senso critico nei passati decenni avrebbe aiutato. 


Premonizioni abissali! 

La bambola vivente galleggiante nel Mare Maledetto e l'attivista svedese Greta Thunberg: due gocce d'acqua! Forse il regista e sceneggiatore messicano è stato visitato da un raccapricciante spettro notturno che gli ha recato un'immagine dell'arcigna e fanatica sostenitrice dello sviluppo sostenibile, facendogli tremare le membra dal terrore! Purtroppo non lo si può facilmente appurare; se fosse vero, dovrei cominciare a rivedere le mie posizioni sull'ontologia temporale presentista.
P.S.
Nessun buonista osi reagire alle mie parole dicendo che la svedese è malata, perché soffro della medesima malattia, posto che così la si possa definire: sono io stesso un Asperger e quando vado in burnout le mie bestemmie le sentono fino in Argentina! 


Il filone cinematografico del Triangolo 

Il film di Cardona Jr. è stato il capostipite di una serie di altre opere sullo stesso argomento. Potremmo quasi dire che ne è nato un sottogenere dell'horror. Già nel 1978 si segnala Bermude: la fossa maledetta, di Tonino Ricci alias Anthony Richmond. Vi sono significativi tratti in comune con Il Triangolo delle Bermude: la bambola diabolica e gli alieni aberranti, oltre a elementi del cast come l'attore Andrés García. L'anno successivo è uscito un altra opera di Ricci-Richmond: Incontri con gli umanoidi (aka Uragano sulle Bermude), una volta di più con Andrés García. Infine abbiamo, sempre nel 1979, Bermuda now... il film (aka The Bermuda Triangle), di Richard Friedenberg. In realtà si tratta più che altro di un documentario, in cui il commentatore Brad Crandall esplora fatti, leggende e folklore a partire dal libro di Berlitz. A un certo punto la febbre del Triangolo Maledetto ha cominciato a scemare, per poi presentare qualche nuovo picco agli inizi del XXI secolo. In questa pagina di Imdb.com si trovano testimonianze di altri lavori sull'argomento, alcuni abbastanza recenti:


Altre recensioni e reazioni nel Web: 


Tutt'altro che tenera la recensione su Mymovies.it, di cui riporto un estratto:

"Maldestro tentativo di abbozzare un'inchiesta documentaristica sui misteri del "Triangolo maledetto" sotto forma di un racconto drammatico di avventure sul mare. L'intento didattico è soffocato dallo spettacolo, ma lo spettacolo è, a sua volta, banalizzato e frammentato nella rappresentazione orrorifica delle morti che tolgono di mezzo, l'uno dopo l'altro, tutti i personaggi del film. Lungi dall'informare correttamente sulle inspiegabili tragedie registrate nella zona compresa tra Bermuda, Porto Rico e le Bahamas, la sceneggiatura sfiora i temi del filone catastrofico (un gruppo di uomini variamente afflitti da pene personali e riuniti in una situazione di pericolo) senza, peraltro, suscitare emozioni." 

Una delle rare recensioni positive trovate nel Web è quella dell'utente Zombi, trovata su Filmtv.it. Questo è il suo commovente finale:

"una ghost story in piena regola quindi? la nave sparisce nel nulla e ritroviamo la bamboletta diabolica galleggiare nel blu profondo fino a quando un'altra nave non la ripesca e non si ritrova catapultata in uno spazio temporale che non le appartiene. palma del migliore all'attore che interpreta peter martin il marito della auger... bello, bello, bello! belle e avvolgenti, tendenti in alcuni momenti al sacro le musiche del maestro stelvio cipriani."

mercoledì 28 novembre 2018


STATI DI ALLUCINAZIONE 

Titolo originale: Altered States
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1980
Lingua: Inglese, spagnolo
Durata: 102 min
Genere: Drammatico, fantascienza, orrore
Regia: Ken Russell
Soggetto: Sidney Aaron
Produttore: Howard Gottfried
Fotografia: Jordan Cronenweth
Montaggio: Eric Jenkins
Musiche: John Corigliano
Trucco: Dick Smith
Interpreti e personaggi    

    William Hurt: Eddie Jessup
    Blair Brown: Emily Jessup
    Charles Haid: Mason Parrish
    Bob Balaban: Arthur Rosenberg
    Drew Barrymore: Margaret Jessup
    Megan Jeffers: Grace Jessup
    Thaao Penghlis: Eduardo Echeverria
    Dori Brenner: Sylvia Rosenberg
    Peter Brandon: Alan Hobart
    George Gaynes: Dr. Wissenschaft
    Jack Murdock: Hector Orteco
Titoli tradotti:    
    Spagna: Un viaje alucinante al fondo de la mente
    Messico e Argentina: Estados alterados
    Portogallo e Brasile: Viagens Alucinantes
    Francia: Au-delà du réel
    Germania: Der Höllentrip
    Belgio (fiammingo): Tocht door de geest
    Russia: Drugne ipostasi
    Slovenia: Korenine prividov
    Polonia: Odmienne stany swiadomosci
    Danimarca e Norvegia: Eksperimentet
    Svezia: Experimentet
    Finlandia: Muutostiloja
    Ungheria: Változó állapotok
    Romania: Experiment periculos
    Grecia: Anexélegktes katastaseis
    Turchia: Gerçegin Ötesinde

Trama: 

Siamo negli anni '70. Eddie Jessup è uno psicopatologo, professore di medicina e ricercatore anticonformista, i cui studi, condotti in prima persona, si fondano sull'immersione di volontari in una vasca di deprivazione sensoriale, in grado di ridurre al minimo i contatti con l'ambiente esterno. In pratica si tratta di un contenitore simile a un grosso boiler e pieno d'acqua, in cui il protagonista fluttua, chiuso in una tuta. Lo studioso, che fa da cavia, prende nota delle allucinazioni che sperimenta durante queste immersioni: hanno un chiaro sfondo mistico. Ad aiutarlo sono due ricercatori che condividono le sue idee, Parrish e Rosenberg. Durante una festa, Jessup incontra la bellissima e fulva Emily. I due si incontrano e senza perdere troppo tempo fanno sesso sul divano. Lui la penetra nella vagina, ma fa molta fatica a venire: proprio mentre lo sperma spinge nella sua uretra cercando di uscire, lui si trova preda di una visione mistica in cui Dio gli parla. Non si capisce neanche se riesce a uscire qualche getto di sborra, forse la divinità abramitica ha agito da tappo, congestionando dispettosamente i genitali dell'uomo. Lei ha qualche perplessità sul compagno i cui orgasmi sono rovinati dal soprannaturale, ma essendo infatuata sopporta queste stranezze. In quel contesto il sesso orale non lo fa nessuna, così un uomo può contare soltanto sulla spinta pelvica nel canale procreativo: fallita quella non gli resta che rinfoderare l'arma. Dopo sette anni la coppia, che nel frattempo ha avuto due bambine, è in crisi. Troppe eiaculazioni perturbate: il divorzio è imminente. Lo studioso si dedica anima e corpo al lavoro. Gli giunge una notizia di sommo interesse: nel Messico centrale vivono gli Hinchi, una tribù isolata la cui religione si basa su esperienze allucinatorie condivise, secondo le fonti utilizzando un fungo, a quanto pare una varietà di amanita muscaria. Così Jessup si reca presso queste indiani assieme a Eduardo Echeverria dell'Università del Messico. I due raggiungono gli Hinchi e ne studiano i costumi. La popolazione per la verità sembra piuttosto ispanizzata, tanto che non si sente pronunciare nemmeno una parola in una lingua indigena: Echeverria col suo spagnolo ha risorse sufficienti per comunicare alla perfezione con i capi. Ciò che accade durante una cerimonia ha un effetto devastante sullo studioso americano. Gli indiani passano di mano in mano un beverone ottenuto macerando in acqua calda Banisteriopsis caapi, sangue ed altri ingredienti, bevendone qualche sorso ciascuno. Quando tocca a Jessup, la sua mente esplode. Quando ritorna in patria, ha con sé una scorta di estratto alcolico ottenuto dalla pianta magica ed è determinato a portare avanti i suoi esperimenti. Combina il consumo dell'allucinogeno con la vasca di deprivazione sensoriale, ottenendone risultati devastanti, al di là di ogni immaginazione. Ad essere alterata non è infatti soltanto la sua percezione della realtà, ma anche l'aspetto fisico: egli passa dallo sperimentare la regressione alla condizione preistorica di ominide all'assumere davvero la forma di una creatura subumana con caratteri scimmieschi. Milioni di anni sono cancellati di colpo. L'uomo-scimmia perde lo stesso dono del linguaggio simbolico e articolato, fugge dal laboratorio e sparge il terrore! 

Recensione: 

Senza dubbio siamo di fronte a un interessante film psichedelico, accettabile finché lo prendiamo per quello che è e non approfondiamo troppo le sue implicazioni filosofiche. Il cardine della narrazione è lo scienziato emulo di Faust, che mette a rischio la propria vita e quella dei suoi cari seguendo con fervore totale la sua missione di risalire alle cause prime dell'Esistenza. Si vuole che la pellicola abbia avuto un profondo e durevole impatto sul cinema, soprattutto di fantascienza, influenzando tra gli altri anche Cronenberg. Ne sono consapevole, si tratta di una cosa di una banalità sconcertante, ma non posso fare a meno di segnalare una giovanissima Drew Barrymore nel ruolo della figlia del protagonista.

Pur valicando i confini della fantascienza, il film diretto da Ken Russell si sviluppa intorno a un vaghissimo nocciolo di realtà, derivato dalla biografia dello psichiatra e neuroscienziato statunitense John Lilly (1915-2001), che condusse ricerhe pionieristiche sugli stati alterati di coscienza. In particolare, Lilly inventò la vasca di deprivazione sensoriale, detta anche vasca di galleggiamento, uno strumento particolarmente idoneo per lo studio del funzionamento del cervello in assenza degli stimoli dei sensi. Altri cardini dell'attività scientifica dello stravagante studioso furono l'uso di droghe psichedeliche (LSD, mescalina, ketamina, etc.) e il tentativo di comprendere il linguaggio dei delfini. Il dogma fondante a cui si ispirava Lilly affermava che i nostri stati di coscienza alterati sono reali esattamente come il normale stato di veglia. Per farsi un'idea completa di tutto ciò occorre conoscere il variegato e delirante mondo della controcultura californiana, un milieu pullulante di pseudoscienziati misticoidi e di santoni, da cui scaturirono anche i famigerati Timothy Leary e Ram Dass (al secolo Richard Alpert). Furono proprio gli studi spregiudicati di questi pericolosi impostori a rendere l'LSD una droga di massa. Fin qui è storia antica, la cui conoscenza alla portata di tutti. Quello su cui ci si sofferma di rado sono le conseguenze di questa propalazione di sostanze capaci di lesionare il cervello e di indurre pazzia.

Il soggetto è del drammaturgo e scrittore Sidney Aaron "Paddy" Chayefsky, che però ebbe continui contrasti con il regista, arrivando persino a disconoscere il film e rifiutando con pervicacia di apporre la propria firma alla sceneggiatura. A dire il vero compare menzionato come Sidney Aaron, nominativo che nella vulgata corrente sarebbe uno pseudonimo inventato di sana pianta, mentre in realtà deriva dal suo vero nome, essendo Paddy soltanto un soprannome.


Il mito della droga capace di alterare la fisica 

Il primo passo è stato quello di attribuire agli allucinogeni poteri particolari, come la capacità di far accedere il loro consumatore a una conoscenza occulta della natura dell'Universo, che in genere coincide con la sperimentazione dell'unità oscura e intima di tutte le cose esistenti. In particolare sono assai numerose le testimonianze della credenza nella precognizione e nella telepatia provocate dall'assunzione di queste sostanze alteranti. Il passo successivo è stato quello di attribuire alle allucinazioni prodotte dalla droga il potere di diventare reali. Se un uomo, masticato il peyote, vede un pollo gigantesco in un contesto allucinatorio in cui si manifestano percezioni sinestetiche, tanto da avere l'impressione di annusare la musica, di gustare i colori e di vedere gli odori, ecco che diventa facile per lui convincersi che l'abnorme gallinaceo possa essere una creatura reale, in qualche modo materializzata. Così si passa dalla visione di un essere vivente abnorme alla sua immissione nell'inventario ontologico. In altre parole, il pugnale della mente che guidò Macbeth e lo fece entrare nella stanza dove dormiva il Re Duncan per assassinarlo, sarebbe diventato ferro reale e tagliente, passando da illusione febbrile ad oggetto composto di atomi metallici. Tra i sostenitori di questa ontogenesi drogastica possiamo annoverare senz'altro il celeberrimo Philip K. Dick, che nel romanzo Scorrete lacrime, disse il poliziotto concepisce un'improbabile sostanza stupefacente che addirittura conferisce a chi la assume il potere di alterare il tempo, annullando il cambiamento o facendo deragliare le sue vittime su corsi storici paralleli. Nessuno sembra porsi il problema, ma in pratica quello che si afferma in queste fabbricazioni creative è che una sostanza chimica abbia la capacità di interferire con qualcosa di molto più profondo di qualsiasi configurazione molecolare, penetrando nella stessa essenza dello spaziotempo. Basta una minima conoscenza della fisica per capire che questo è non soltanto impossibile, ma anche concettualmente assurdo. Eppure la cieca fede nella materializzazione si è diffusa capillarmente dal suo epicentro psicoattivo, la California orgiastica, avvolgendo l'intero Occidente fino a far perdere a moltissime persone il confine tra realtà e fantasia.  

Il mito della mente capace di alterare la fisica

A partire dalle prime formulazioni dell'idea di una creazione indotta dalle sostanze psicotrope, è infine divenuto popolare un enunciato molto più generale, secondo cui, essendo la mente energia ed essendo tutto ciò che esiste energia, il pensiero sarebbe in grado di materializzarsi e di inverare qualunque visione. Si potrebbe addirittura tentare di descrivere un sistema concettuale articolato in cui l'allucinogeno svolge funzioni di mediazione nel processo creativo, il cui input iniziale appartiene alla divinità stessa della psicoanalisi: l'Inconscio. Oppure si potrebbe descrivere questo input generatore di visioni tradotte in realtà ricorrendo a un altro sistema, tramite il paradigma junghiano dell'Archetipo e della memoria collettiva del genere umano, come in effetti sembra fare Kenn Russell. Nonostante l'assurdità intrinseca di simili credenze, essa è stata ritenuta reale anche da persone insospettabili. La stretta necessità del vettore drogastico è venuta meno col tempo: si sono aperti scenari impensabili per le loro funeste conseguenze nella vita di tutti i giorni. Infatti il trucchetto della mente-energia in grado di plasmare l'Universo-energia ha un piccolo particolare tutt'altro che irrilevante: non funziona. La realtà fisica, comunque la si voglia definire, oppone una resistenza infinita ad ogni tentativo umano di plasmarla. La sua natura non è duttile, non è malleabile, non è in alcun modo plastica. Eppure l'inapplicabilità dell'energismo non scoraggia i suoi adepti, che recitano tuttora come ipnotizzati l'ossessivo mantra del tutto-energia.


Negazionismo genetico 

Di fronte alla strabiliante e terribile metamorfosi di Jessup in un uomo-scimmia, il suo collaboratore avanza l'ipotesi di una trasformazione genetica, di un prodigioso meccanismo che avrebbe portato il DNA a regredire ripercorrendo al contrario la storia evolutiva. In altre parole, saremmo di fronte a qualcosa che ha innescato una parabola involutiva del corpo di un Homo sapiens sapiens  fino a fissarlo nello stadio di Homo erectus o addirittura di Australopithecus afarensis. Questa interpretazione è confermata dall'analisi ai raggi X, che conferma la presenza di alcune caratteristiche anatomiche del gorilla. Quello che sorprende è la reazione dello studioso che ha subìto il cambiamento sulla propria pelle. Quasi sdegnato, come se avesse udito una spaventosa empietà, sbotta: "La genetica non c'entra nulla". Affermazione come minimo sorprendente in quello che dovrebbe essere un uomo di Scienza. Di fatto egli ha rinnegato la propria conoscenza per affermare con fanatismo sacerdotale ciò che gli viene suggerito da un veleno. Secondo lo psicopatologo faustiano non sarebbero gli acidi ribonucleici a determinare la natura e le proprietà di un corpo vivente, ma il suo stato di coscienza. Infatti nel suo esperimento finale egli va oltre lo stesso stato di australopiteco per degenerare in una forma più primitiva di materia, con la concreta possibilità di risalire fino al Big Bang, perdendo così la propria individualità per disperdersi negli elementi caotici dei primordi. Si potrebbe a buon diritto parlare di completo abbandono alla demenza. Quello che il film è incapace anche solo di abbozzare è una spiegazione plausibile degli eventi mostrati. Per quanto inverosimile, persino la spiegazione della regressione genetica a una forma di ominide anteriore all'Uomo moderno sarebbe stata meglio di futili balbettamenti New Age. Inutile sperare tanto, a mio avviso non c'è traccia alcuna di coerenza interna nella pellicola.

Quantistica macroscopica 

In genere si crede che la divulgazione scientifica sia qualcosa di meritorio. Dovrebbe essere così, in linea di massima, ma purtroppo non è sempre vero. Una divulgazione fatta male può produrre risultati catastrofici e fraintendimenti profondi. Il problema si ha quando persone prive di logica e di metodo scientifico tentano di metabolizzare concetti di un'estrema complessità, come ad esempio quelli su cui si fonda la fisica quantistica. A quanto pare pochi sospettano che dietro le idee improvvide di materializzazione allucinatoria e di mente che plasma la realtà ci sia proprio un'errata e distorta comprensione della fisica quantistica. Eppure è proprio così. Si parte dal principio di indeterminazione di Heisenberg, che afferma l'impossibilità ontologica di conoscere con eguale precisione certe coppie di propretà fisiche delle particelle, note come variabili coniugate, ad esempio la posizione e la quantità di moto. Più si determinerà con precisione tramite la misura quale sia la posizione di un elettrone, meno sarà conoscibile la sua quantità di moto e viceversa. Questo non avviene a causa di limiti tecnici dello strumento di misura, ma per proprietà intrinseca delle stesse particelle. In termini matematici, l'indeterminazione si esprime con la seguente equazione: 

Δx ∙ Δpx ≥ ħ/2   

dove Δx è l'incertezza sulla posizione, Δpx è l'incertezza sulla quantità di moto e ħ è la costante di Planck ridotta. Conseguenza: non è possible misurare un sistema fisico senza influenzarlo. Una delle conseguenze dell'enunciato di Heisenberg è l'inesistenza del Dio dei monoteisti, onnipotente e onnisciente, ma la cosa non è stata capita e di tale entità si continua a parlare. Le masse acefale non hanno invece capito una cosa fondamentale: la fisica quantistica descrive il mondo microscopico delle particelle atomiche e subatomiche, mentre i suoi effetti sono trascurabili nel mondo macroscopico, che almeno nella nostra realtà quotidiana è sufficientemente ben descritto dalla meccanica classica. Così si è formato il mito della quantistica macroscopica, con tutte le sue conseguenze: non esiste nulla di determinabile, non esistono contenuti che possano essere etichettati come "verità" o "falsità", la mente cambia la realtà e via discorrendo. Poi nessuno mi sa spiegare come mai se un seguace del tutto-energia si concentra su un lingotto di piombo non gli riusce in nessun caso di trasformarlo in oro! 


Tempo, causalità e realtà 

Il principale compito dell'adepto psichedelico è scardinare la realtà in cui è costretto a vivere. Non potendolo fare con la propria volontà (se sbatte la testa contro il muro se la rompe), non avrà altro modo che cercare di offuscare la propria consapevolezza di veglia, facendola sprofondare nelle nebbie della percezione distorta e dell'allucinazione, credendo così di assumerne il controllo. Il punto è questo: non si può negare che i sogni e le percezioni alterate siano forma di realtà, ma la loro natura non equivale affatto a quella della realtà con cui dobbiamo fare i conti quando siamo vigili. Quello che non possiamo fare è pensare di porre tutti gli stati di coscienza sullo stesso piano. In altre parole, se riuscissimo ad attribuire a un dato stato di coscienza un'etichetta chiamata densità o grado di realtà, misurabile con un numero reale positivo, vedremmo che la nostra esperienza quotidiana avrebbe un valore di questo parametro molto più alto di quello che potremmo associare a un sogno. Ovviamente non siamo in grado di costruire uno strumento di misura e una scala di valori scientificamente attendibile, ma è comunque un interessante esperimento concettuale. Strettamente collegato alla realtà è il tempo e di conseguenza il nesso causa-effetto. Queste sono realtà la cui stessa esistenza è negata dagli psichedelici e dagli energisti. Anche in questo caso alla base di tutto c'è un fraintendimento, un terribile equivoco. A non esistere, come prova la teoria della relatività di Einstein, è il tempo di Newton, visto come un contenitore assoluto e indipendente dallo spazio. Si dimostra che ogni osservatore ha un suo tempo in funzione del sistema di riferimento con cui si rapporta all'Universo. Si scoprono cose molto utili, come il fatto che la presenza di una massa influenza lo scorrere del tempo, e via discorrendo. Tuttavia da questo non si può in nessun modo dedurre l'inesistenza del mutamento. Il mutamento esiste, inutile rifugiarsi in un moderno zenonismo. Eppure il mondo della psichedelia ha interpretato malamente il superamento del tempo newtoniano, deducendone l'inesistenza del mutamento in quanto tale. Ancora una volta, una teoria fisica deformata fino all'aberrazione è servita a razionalizzare le alterazioni della percezione del tempo in consumatori di LSD e di mescalina. 

I tentacoli della Noosfera

Quando scrissi il racconto La danza degli spettri quantistici, nel 2010, pubblicato dalla casa editrice Kipple Officina Libraria nella collana Capsule, non avevo mai visto il film di Ken Russel. Tuttavia si capisce subito che l'idea portante di Altered States, la deprivazione sensoriale, è proprio il cardine del racconto. Certo, con alcune differenze sostanziali: nel mio racconto gli incubi che si materializzano sono prodotti da demoni che abitano nel sottosuolo. Il protagonista è l'Ignoto, non la droga o l'inconscio da essa mediato. Per quanto riguarda le dinamiche dell'ispirazione che fluisce come un fiume carsico che in qualche modo lambisce tutti, riporterò un altro caso significativo. Grande è stato il mio stupore quando mi sono accorto di essere un narratore ballardiano, e questo soltanto quando ho cominciato a leggere l'opera di James Graham Ballard, di cui avevo assorbito in profondità gli stilemi dagli altri Connettivisti e dallo stesso Manifesto del Movimento. 

Reazioni nel Web: 

Come accade per molti film, anche questo raccoglie folte schiere di ammiratori entusiasti. C'è però da segnalare che le voci dell'esaltazione non riescono del tutto a spegnere le critiche, anche da parte di estimatori della stessa subcultura psichedelica. Riportiamo alcuni interessanti giudizi non proprio eulogistici, tratti dal forum Filmup.leonardo.it.

Andrea scrive:
 

"Con tutti i film visionari che esistono nella storia del cinema proprio con questa pellicola dovete esaltarvi? Un essere umano che sotto l'effetto di funghi regredisce e si trasforma in scimmia??? La sceneggiastura e i dialoghi sono scarsi e la caratterizzazione dei personaggi è quasi inesistente. Fa sorridere il largo uso di simboli e stereotipi religiosi chiaramente inseriti per impressionare il pubblico. Reputo questo film un offesa alla cultura psichedelica e al buon cinema. Sono rimasto sbalordito nel vedere quanto il regista ha osato... Vi prego non voglio essere bacchettone ma ditemi per favore cosa vi è piaciuto tanto di questo film perchè io veramente non mi ci raccapezzo. Il finale poi... Tre perchè esiste di peggio (e poi la fotografia non era male) Boh ?!?!? P.s. Da vedere in botta perchè?"   

In genere queste voci dissidenti non riescono a farsi sentire, tale è l'esaltazione degli adoratori del film russelliano. C'è poi addirittura chi urla al complotto, affermando che il film non si trova in dvd e non viene mai proposto sui canali televisivi perché evidentemente dà fastidio a qualcuno. 

lunedì 26 novembre 2018



POSSESSION

Titolo originale: Possession
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Francia, Germania Ovest
Anno: 1981
Durata: 123 min
Genere: Grottesco, drammatico, orrore
Regia:
Andrzej Żuławski
Sceneggiatura: Andrzej Żuławski,
     Frederic Tuten
Produttore: Marie-Laure Reyre
Casa di produzione: Gaumont
Fotografia: Bruno Nuytten
Montaggio: Marie-Sophie Dubus,
     Suzanne Lang-Willar
Musiche: Andrzej Korzyński
Scenografia: Holger Gross
Costumi: Ingrid Zoré
Interpreti e personaggi
    Isabelle Adjani: Anna / Helen
    Sam Neill: Mark
    Margit Carstensen: Margit Gluckmeister
    Heinz Bennent: Heinrich
    Johanna Hofer: madre di Heinrich
    Carl Duering: investigatore
    Shaun Lawton: Zimmermann
    Michael Hogben: Bob
    Maximilian Rüthlein: l'uomo dai calzini rosa
    Leslie Malton: Sara
    Gerd Neubert: ubriaco nella metropolitana
    Harry Riebauer: uomo alla conferenza
    Dragomir Stanojevic: taxista
Doppiatori italiani
Doppiaggio originale 1982
    Ada Maria Serra Zanetti: Anna/Helen
    Luigi La Monica: Mark
    Dante Biagioni: Heinrich
Ridoppiaggio VHS Mondadori 1991
    Lucia Valenti: Anna/Helen
Ridoppiaggio 2000
    Roberta Greganti: Anna/Helen
    Luigi La Monica: Mark
    Romano Malaspina: Heinrich
Premi
1) Festival di Cannes 1981: miglior interpretazione femminile
    (Isabelle Adjani)
2) Premi César 1982: miglior attrice
    (Isabelle Adjani)
3) Fantasporto 1983: miglior attrice
    (Isabelle Adjani)

Trama: 

Mark e Anna sono una giovane coppia di sposi berlinesi, che vivono nel loro appartamento con il figlio piccolo, Bob. Presto qualcosa si incrina nella loro vita coniugale: Mark scopre che la moglie, interpretata dalla bellissima Isabelle Adjani, gli fa le corna. Prima sospetta qualcosa dal rifiuto di lei a fare l'amore, poi gli viene detto senza mezzi termini che c'è un altro, che lui le dà più piacere e che l'unica soluzione possibile è il divorzio. Da questa situazione insostenibile scaturiscono continui e violenti litigi. Mark è mortificato da Anna, non riesce ad accettare il suo tradimento. Vuole sapere ogni dettaglio, ma lei è reticente, non gli confida nulla. Per questo motivo l'uomo, quando riceve una telefonata da Heinrich, l'amante della moglie, si reca a fargli visita. Ne nasce una colluttazione col rivale, che tra l'altro pratica le arti marziali. Tornato a casa malconcio, Mark attacca Anna e gliele dà di santa ragione, al che lei fugge in strada. Da questo momento la salute mentale della donna viene meno e subentra la pazzia furiosa. Un investigatore privato riceve l'incarico di pedinare l'adultera e scopre che possiede un secondo appartamento in un edificio fatiscente. A un certo punto, prima di raggiungere un risultato decisivo, il detective sparisce nel nulla. Le cose si complicano quando il compagno dell'investigatore, che praticava le vie di Sodoma, scompare a sua volta. Il cornuto Mark è costretto quindi a compiere le indagini di persona. Nel frattempo Heinrich giunge a sua volta all'appartamento decadente, scoprendo qualcosa di agghiacciante: Anna ha un secondo amante, che non è affatto un essere umano, bensì uno spaventoso mostro alieno tentacolato e bavoso. L'investigatore e il suo compagno sono stati uccisi e dissanguati. Terrorizzato dalla scoperta, Heinrich fa accorrere Mark e lo incontra in un bar vicino allo stabile, ma è un errore fatale. In bagno il marito tradito gli tende un agguato, lo colpisce al cranio con la lastra dello sciacquone, quindi lo soffoca nella tazza del cesso, in mezzo alla merda e al vomito. Fatto questo, dà fuoco all'appartamento in cui la moglie lo cornificava. Tornato a casa, continuano le crisi diaboliche, roba che nemmeno Padre Amorth ha mai visto. In una scena memorabile quanto disturbante, direi il culmine della narrazione, il protagonista entra nella camera da letto e vede la creatura abominevole mentre possiede la giovane donna: sta sopra di lei e la ara tra le gambe con la sua poderosa coda, che funge anche da organo sessuale. L'uomo, impazzito dallo shock e dal dolore, diventa un terrorista incendiario in precipitosa fuga, fino al tragico epilogo. Si schianta con la moto e con le ultime forze, sanguinante, sale le scale del palazzo dove abita. La moglie lo raggiunge coon un uomo a lui identico: è il suo Doppelgänger, che lei ha generato dal seme dell'amante mostruoso. Il moribondo fa fuoco con la pistola e uccide la giovane, mentre la polizia si mette a sparare all'impazzata. Il Doppelgänger non viene colpito e assieme a un doppione della morta entra nell'appartamento. Il bambino, Bob, rendendosi conto della natura demoniaca della coppia, si affoga nella vasca da bagno. 


Recensione: 
Il capolavoro di Andrzej Żuławski (1940-2016) è stato giustamente considerato una pietra miliare del cinema: "uno dei film più disturbanti e allucinanti di ogni tempo" (cit.). Dovendo definire Possession, prenderò a prestito una poetica espressione da Emil M. Cioran: "apoteosi convulsiva in cui il fiele corona gli elementi". È come certi piatti di interiora, che si possono soltanto amare o odiare senza limiti. Per molti la sua visione è un pugno nello stomaco. Per quanto mi riguarda, ho uno stomaco molto duro, al punto che posso mangiare cioccolato mentre guardo un video di scat porn senza provare l'ombra di un moto di nausea, quindi i dettagli truculenti della pellicola del polacco non mi traumatizzano di certo. Ciò che mi dà un immenso fastidio sono le continue urla isteriche dell'odiosa coppietta, le scene di possessione e le liti infinite, con tanti decibel di emissioni acustiche da spaccare i timpani anche a un sordo. Capirete che per chi soffre di acufeni non è l'ideale. La tensione è esasperata, è come assistere a una proiezione irritante mentre un boia ti colpisce nel plesso solare con un tirapugni, senza fermarsi mai. 

Persecuzione e censura

Per via dell'argomento scabroso e delle sequenze assai crude, sul film di Żuławski si è subito abbattuto il maglio della persecuzione. Innumerevoli sono stato gli episodi di censura. Nella pur sodomitica e pagana Spagna, tutta dedita alle orge e calata nella droga, la pellicola destò grande scandalo e fu vietata ai minori di 18 anni. Stesso divieto anche nella buonista Svezia, nella Nuova Zelanda del darwinismo sociale e nel paese di Jimmy Savile, la perfida Albione. Sembra che l'opera zulawskiana abbia provocato conati anche al pubblico della Corea del Sud, ormai un feudo della Chiesa Evangelica dove l'originario Buddhismo è quasi estinto. Solo in Francia il film è stato distribuito integro: altrove ha subìto scempi di ogni genere, tanto che ne esistono versioni censurate di 118, 97 o addirittura 80 minuti. In particolare la versione di soli 80 minuti, circolante negli States e in Italia, è stata completamente rimusicata e alcuni dialoghi sono stati cambiati allo scopo di preservare la coerenza della storia. La versione originale di 123 minuti è stata infine pubblicata in Blue Ray e diffusa nella terra di Savile nel 2013. 


Esegesi 

La chiave di lettura di quest'opera, stando allo stesso regista, è di natura tipicamente psicologica: il mostro tentacolato sarebbe stato materializzato dall'inconscio della protagonista. Le tensioni interne della donna, simboli del conflitto sempiterno tra Bene e Male, avrebbero preso magicamente corpo e si sarebbero incarnate nella creatura aberrante che sarebbe poi diventata l'amante della sua creatrice. Il punto è che il conflitto tra Bene e Male è visto come una rappresentazione simbolica dell'opposizione tra Yin e Yang, ossia in ultima istanza tra maschile e femminile. La storia sarebbe quindi una narrazione surreale, grottesca e simbolica di un normale rapporto di coppia destinato allo sfacelo, documentato dalla sua formazione alla sua nemesi finale. Se devo essere sincero, trovo questa esegesi eccessivamente cervellotica e insoddisfacente. Non si può prendere una storia di mostri e di demoni, facendone una metafora intellettualoide in un contesto di pseudocultura derridiana, in cui persino una sprangata sul cranio viene letta in chiave psicologica e negata nella sua natura traumatica.   

Reductio ad Phantascientiam  

Cos'è fantascienza e cosa non è fantascienza? Questa domanda viene posta con ossessiva insistenza negli ambienti dei fantascientisti, non portando da nessuna parte, come è ovvio che sia. Eppure sfugge una cosa molto semplice, quasi lapalissiana. Posso dimostrare che è possibile interpretare il film di Żuławski come pertinente al genere fantascientifico, con buona pace di tutti i suoi esegeti psico-derridiani, facendo un'assunzione di cui sarebbe capace anche un bambino di cinque anni. Basterebbe infatti immaginare che il mostro tentacolato che possiede carnalmente la protagonista non sia affatto un prodotto materializzato chissà come da un improbabile inconscio, bensì un semplice alieno giunto sulla Terra dalle profondità siderali. Non è un'operazione concettuale ardua, come si potrebbe credere in prima battuta. Qualsiasi uomo di Scienza sa per certo che le probabilità che giunga sulla Terra una creatura extraterrestre, dotata di un corpo che obbedisce alle leggi della biologia, per quanto basse, sono infinitamente più alte della possibilità che anche soltanto un atomo si formi dal nulla per generazione dall'Es o da qualche altra fantomatica entità freudiana. Certo,  sarebbe proprio una bella beffa poter applicare questa trovata e trasformare in un istante un thriller psicologico in un thriller fantascientifico!


Il mostro di Rambaldi  

La creatura tentacolata che fa la sua traumatica irruzione nella vita della coppia berlinese è stata creata dal geniale Carlo Rambaldi (1925-2012), colui che ha realizzato lo splendido xenomorfo di H.R. Giger, oltre all'odioso quanto inetto E.T. spielberghiano. Un mostro di una potenza incredibile: pur comparendo soltanto per pochi istanti, continua a far parlare di sé. Di certo è una di quelle apparizioni traumatizzanti in grado di impressionare lo spettatore, restando stampata a fuoco nella memoria anche a distanza di anni. A quanto ho letto nel Web, il regista polacco non si è dimostrato particolarmente entusiasta dell'opera di Rambaldi, al punto da richiedergli modifiche all'ultimo minuto. Quel regista doveva essere un generatore di stress non da ridere, il che potrebbe spiegare come mai abbia dato vita a una pellicola che contiene in sé le sofferenze di mille esorcismi. 

Il problema del genoma mostruoso

La biologia insegna che nessun essere vivente su questo pianeta può sussistere senza un corredo genetico. Non è così peregrino estendere questa caratteristica delle forme di vita all'intero universo. Spesso si parla, quasi con timore, di "vita come noi la conosciamo", come se ci si aspettasse di trovare forme di vita liquide, gassose, composte di pura energia, danzanti nel magma dei vulcani, prosperanti nel vuoto siderale o nella cromosfera delle stelle più remote. Non pochi autori di fantascienza hanno immaginato enigmatiche forme di vita aliena del tutto prive di genoma, percepibili soltanto a livello mentale, consistenti in poco più di pacchetti di percezioni distorte. Solo per fare un esempio, Ray Bradbury in Cronache marziane descrive singolari alieni descrivibili come spiriti senza alcuna limitazione fisica. Resta il fatto che la fantasia umana può esprimersi nelle creazioni più svariate, mentre la fisica, la chimica e la biologia, pur contemplando possibilità incredibili, sono molto più rigide e limitanti. Se vedo un mostro tentacolato, fatto di carne e coperto di bava, posso assumere con sicurezza che ogni singolo aspetto della sua esistenza fisica sia codificato da qualche tipo di acido nucleico in grado di rendere conto della sua complessità. Se l'origine di questo genoma non può essere trovata su questa Terra, sarà naturale pensare a quale luogo extraterrestre può esserne stato la culla. Un acido nucleico è un codice, un modo usato dall'Artefice per scrivere un figlio della biologia. Un simile cifrario non scaturisce dalla non-esistenza, né può acquisire la sostanza della realtà fisica a partire dagli isterismi di una persona profondamente disturbata. Si capirà che non si può davvero ritenere ben costruita una storia che sostiene la nascita della carne dal pensiero umano - se si insiste col voler mettere le cose in questi termini: tale genesi deve essere riconducibile a una spiegazione che ha almeno l'apparenza della plausibilità, se vuole incuneare nello spettatore la paura ontologica, sola forza in grado di far irrompere nella nostra vita la potenza dell'Ignoto. Ebbene sì, anche Cthulhu e tutti i Grandi Antichi devono avere un genoma e una storia evolutiva! 

Partenogenesi  allegorica?

Qualcuno ha proposto una spiegazione della nascita del mostro tentacolato zulawskiano a partire da un noto fenomeno naturale: la partenogenesi. Chi ha escogitato questo escamotage non ha molte conoscenze di biologia. La riproduzione per partenogenesi si trova in un certo numero di vegetali e di animali, ad esempio in certe specie di lucertole. Si tratta di una forma di riproduzione asessuata, in quanto non richiede la fecondazione, pur implicando la formazione di gameti. Per fissare le idee, si ha partenogenesi se un embrione si origina da un ovulo senza bisogno di spermatozoi. Proprio per questo, si produrrà un individuo con lo stesso corredo genetico d'origine o comunque da esso derivato, non un alieno. Cosa sorprendente, esistono più tipi di questa bizzarra modalità riproduttiva. La partenogenesi può essere telitoca (produce solo femmine), arrenotoca (produce solo maschi), deuterotoca (produce sia maschi che femmine); tuttavia non si trova mai in una stessa specie più di una di queste alternative. Senza entrare in complessi dettagli, la partenogenesi può altresì classificarsi come rudimentale, accidentale, facoltativa, obbligatoria, occasionale o artificiale. Quella che non è contemplata è la partenogenesi isterica in ninfomani ossessionate dalla "cultura", dalla "differenza" e da ogni genere di masturbazioni psico-sociologiche! 


Nascita dei Doppelgänger 

A un certo punto, in una scena che alcuni critici reputano il culmine del film, la protagonista si trova in una chiesa al cospetto di un immenso crocefisso. La donna rivolge il suo sguardo dolente al simulacro ligneo dal capo coronato di spine, come se si aspettasse da Dio una risposta alla propria tragedia interiore. Come gli antichi idoli pagani, il crocefisso è di un mutismo assoluto. Difficile non pensare al tema del Silenzio di Dio, nell'ambito della dottrina della Kenosis. Eppure, sappiamo che Żuławski era un fiero oppositore del Cristianesimo in ogni sua forma. Difficile sostenere una spiegazione delle sequenze in termini di metafora del mondo occidentale che non riesce a udire la voce di Dio perché ha smarrito i valori fondanti della propria civiltà. Infatti, vediamo che la statua di Cristo non può recare alcun sollievo ad Anna, che si dirige alla metropolitana in preda a un'innaturale euforia, per poi essere sconvolta da un crollo neuronico, da una nuova crisi di possessione diabolica. In uno squallidissimo corridoio ctonio, cade come se fesse vittima di terribili colpi all'addome da parte di un'entità invisibile, quindi vomita sangue misto a muco biancastro. Qualcosa si rompe nel suo utero, ne escono fiotti di liquido schiumoso. Sembra che abbia un aborto spontaneo. Solo alla fine del film si comprende che questa non era in realtà l'interruzione di uno stato di gravidanza, bensì la genesi dei Doppelgänger di Mark e di Anna, evidente progenie del seme del mostro tentacolato che ha impregnato l'infelicissima protagonista. Vediamo che nemmeno l'embriogenesi dei demoniaci doppioni della coppia può essere definita in termini di partenogenesi: essenziale alla loro formazione è infatti lo sperma uscito dalla coda fallica del mostro tentacolato. Il fenotipo dei nuovi nati è soltanto una maschera, una parvenza, un guscio preso dall'ospite. La natura aliena delle loro sequenze è nascosta alla vista degli umani, ma emerge inquietante dal particolare colore verde degli occhi della femmina. 

Il Bene è assenza di Male

Senza dubbio dobbiamo annoverare il regista polacco tra i più significativi dissidenti religiosi della nostra epoca. Egli ha avuto il coraggio di affermare la Verità, che è l'esatto contrario delle dottrine di Agostino d'Ippona: il Male ha sostanza ontologica propria e indipendente, mentre il Bene può essere definito soltanto come sua assenza. La Scienza dà ragione al Neomanicheismo: vediamo tutti che Agostino errava ritenendo la salute un fluido magico dotato di esistenza positiva e definendo la malattia come "assenza di salute". L'Ipponate non conosceva la natura dei patogeni, che sono definiti dal codice genetico, scritto appositamente per danneggiare i viventi. La salute non ha alcuna definizione possibile al di fuori di una mera "assenza di patologie". Il Male impera in questo universo perché è forza attiva della Creazione Malvagia. Il Bene può sussistere soltanto nel vuoto dove non esiste alcunché, dove il potere del Sole Maligno non può arrivare.

Una Berlino spettrale e quasi deserta 

Si capisce subito che c'è qualcosa di profondamento stonato nell'ambientazione: la capitale tedesca sembra abbandonata, di certo più simile a una Tebaide edificata che a un immenso centro abitato brulicante di vita. Forse si tratta soltanto di una normale pausa estiva, in cui l'esodo dei vacanzieri ha svuotato il formicaio? Oppure c'è una spiegazione diversa? La popolazione tedesca, o addirittura europea, è stata forse decimata da un'epidemia silenziosa che ha ucciso milioni di persone? I sostenitori dell'interpretazione psicologica diranno che porto all'estremo le mie facoltà razionali, cercando affannosamente spiegazioni causali per quella che è soltanto una metafora dei tumulti della psiche umana. Resta il fatto che ogni fenomeno deve avere una causa, anche se si tratta di una storia fabbricata da artefici umani, e questa causa deve essere comprensibile all'intelletto umano. E se esistesse una connessione tra l'arrivo del mostro tentacolato e questo drastico decremento della popolazione? Non è poi una cosa così assurda: non dimentichiamoci che gli Incas cominciavano a morire di vaiolo ancor prima che Pizarro e i suoi predoni facessero la loro comparsa. Non dimentichiamoci un dettaglio cruciale: la narrazione si svolge all'epoca in cui Berlino era divisa dal Muro. In una sequenza iniziale vediamo una scritta su una parete fatiscente: "Die Mauer muß weg!" (Il Muro deve andarsene!), con l'ultima parola a malapena leggibile per la rapidità delle riprese. Cosa curiosa, il progetto iniziale prevedeva una fuga del protagonista a Berlino Est, in una terra pericolosa e sconosciuta. Per fortuna il regista ha rinunciato a questo finale, o ci avrebbero sommersi con un mare di fanfaluche  metaforiche da strizzacervelli.


Altre recensioni e reazioni nel Web: 

Questo è il commento sul Dizionario Morandini: 

"Marc si accorge di alcune stranezze nella moglie Anna che gli è infedele. Sembra che si faccia possedere, alla lettera, da un essere mostruosamente polipesco che, forse, lei stessa ha generato con un processo orripilante di partenogenesi. Orchestratore sapiente di un'impotenza espressiva, Zulawski sfiora la caricatura del suo universo immaginario e delle sue ossessioni con un racconto e dei personaggi all'insegna di un gratuito grand-guignol di visionario isterismo. Consigliabile soltanto a chi ama il cinema dell'eccesso, della ridondanza rischiosa." 

Per il Dizionario Mereghetti, il film del polacco sarebbe invece un "saggio di patologia vagamente misogino, che si tramuta (...) in un horror perverso (...) Non per tutti i gusti."  

Nel Web si trovano alcune recensioni molto interessanti e ricche di spunti di riflessione. Ne riporto in questa sede gli indirizzi url. 

Questa è la recensione su Filmscoop.it


Questa è la recensione su Ondacinema.it


Questa è la recensione su Doppiozero.com:


Questa è la recensone di Davide Roveda, entusiasta esegeta di Żuławski, della cui opera pensa di aver trovato la chiave di lettura definitiva:


Alla fine, dirò quello che penso, anche se sommamente scomodo. Non conta molto quello che un autore vuol dire creando un'opera: questa è infatti dotata di una vita indipendente. Un autore non crea in nome di un'architettura mentale preconfezionata. Si limita ad evocare qualcosa di preesistente, credendo di avergli dato vita. Come una radio, capta una trasmissione e la registra, la rende fruibile al genere umano. Un eccesso di platonismo? L'Iperuranio? No, semplicemente la decrittazione di qualcosa di incomprensibile, di sfocato, che acquista una struttura definita come in un processo di misura quantistica. Come una voce degli spettri e dell'Incubo, il cui senso non dipende dall'evocatore. La stessa identica cosa che accade quando sperimentiamo il sogno: entriamo in contatto con un mondo diverso da quello in cui viviamo. Più ci penso, meno riesco a sopportare le costruzioni cerebrali in cui mi imbatto nel Web.