mercoledì 8 aprile 2020

I GREKS PORTANO DONI 

Titolo originale: The Greks Bring Gifts 
Autore: Murray Leinster 
Anno: 1964
Lingua originale: Inglese
Paese: Stati Uniti d'America
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Epica spaziale, fantascienza hard, invasione
     aliena
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
1a ed. italiana: 1976 (Urania n. 695)
2a ed. italiana: 1985 (Millemondiestate n. 27)
Traduttore: Beata della Frattina 
Titoli tradotti: Non sono state trovate altre traduzioni
 
Sinossi (da Mondourania.com):
"Quando la gigantesca astronave dei Greks spunta da dietro la Luna, l'umanità è presa dal panico. Ma l'allarme, a quanto sembra, è ingiustificato, non c'è, a quanto pare, niente da temere. I Greks, socialmente e tecnologicamente avanzatissimi, sono come gli antichi Greci rispetto ai barbari: il loro scopo ultimo è di diffondere nei pianeti "sottosviluppati" la loro superiore forma di civiltà; la missione dell'astronave è di portare agli uomini degli spendidi regali energetici che trasformeranno la Terra in un paradiso. Per fortuna Jim Hacket, esperto in fisica moderna ma anche in storia antica, si ricorda dell'antico detto secondo cui bisognava "temere i Greci anche quando portano doni", e si chiede, tra l'altro, cos'abbiano messo i Greks nella profonda buca che dopo l'atterraggio hanno scavato di nascosto sotto l'astronave." 
 
Trama:
Il narratore ricostruisce i fatti recenti della storia del genere umano a beneficio dei lettori, presentando gli eventi portentosi di cui è stato testimone durante la sua gioventù. In questa ricostruzione ci sono molte sproporzioni temporali e incongruenze. In pratica le cose sono andate così: l'arrivo sulla Terra della grande astronave dei Greks ha prodotto una discontinuità traumatica nella storia del genere umano, ponendolo in gravissimo pericolo. Tuttavia, una volta sconfitto questo formidabile nemico col solo aiuto dell'ingegno di un uomo e dell'improbabile collaborazione delle autorità delle nazioni, ecco che il progresso dell'umanità accelera all'improvviso fino a portare all'instaurarsi di una civiltà a livello galattico. 
 
La reazione dell'umanità all'arrivo dei Greks e ai loro doni è stata paragonabile a quella indotta da una massiccia anestesia. Si è avuta la totale abolizione del senso critico e dello stesso concetto di razionalità. Abbagliati da un sistema che permette di captare e di trasmettere a qualsiasi distanza l'energia, come se fosse creata dal Nulla, i popoli della Terra hanno abbandonato in poco tempo le vecchie tecnologie, trovandosi così alla mercè degli alieni. C'è una sola persona su tutti il nostro pianeta a diffidare di questi politicanti scesi dagli abissi siderali: il dottor Jim Hackett, un fisico che cova un grande risentimento per non aver superato un esame sulle conoscenze scientifiche dei Greks. Con la sua assistente, la signorina Lucy Thale, l'accademico intraprende un defatigante viaggio in automobile verso il luogo in cui è atterrata l'astronave dei "benefattori" alieni. Nel corso del tragitto la coppia si imbatte in un aldariano che ha avuto un brutto incidente d'auto. Gli Aldariani sono alieni ipertricotici dal sembiante ferino, vagamente somiglianti a licantropi, che i Greks hanno condotto sull Terra come schiavi. Condotto l'aldariano ferito in un ospedale, Lucy scopre una verità fastidiosa. L'alieno peloso è sordo, i suoi padroni Greks gli hanno reciso i nervi acustici per impedirgli di percepire i suoni. Prima che le cose si mettano male, Hackett e la donna riescono a fuggire dall'ospedale e a far perdere le loro tracce - non prima che l'aldariano abbia consegnato a Lucy un misterioso congegno che aveva con sé. 

Giunti alla loro destinazione, dove le folle attendono nei pressi dell'astronave dei Greks, il dottor Hackett e la sua compagna iniziano a lavorare con alcuni uomini di Scienza che si occupano di scavi archeologici. Così concentrano la loro attenzione su una buca riempita dagli alieni con ogni sorta di rifiuti. La scavano e scoprono i corpi di numerosi aldariani uccisi, abbandonati nell'immondizia come se valessero meno degli escrementi. Da questo rinvenimento inizia la riscossa della Terra. Come per miracolo, tutti i governi del pianeta si convincono per incanto della pericolosità dei Greks e dei loro funesti doni. Si scopre così che i congegni per la captazione e la trasmissione dell'energia dal Nulla sono illusori, che sono soltanto giocattoli che ricevono ciò che i Greks trasmettono, che non funzionerebbero mai senza un simile input. Nel frattempo l'astronave dei Greks è decollata, diretta verso le vastità galattiche. Dall'analisi di questi meccanismi, il fisico ribelle riesce a produrre un'arma mortifera, in grado di annientare uno scafo alieno. L'intenzione è chiara: non appena i Greks faranno ritorno, su richiesta dei popoli tumultuanti, avrà inizio la rivincita. Proprio da questo atto audace avrà inizio l'Impero Terrestre!
 
Recensione:
Se devo essere sincero, i Puffi hanno più verosimiglianza di questo costrutto narrativo. La mia domanda non è poi così complessa. Se i governi della Terra non riescono a mettersi d'accordo nemmeno su un dettaglio insignificante, come si può credere che agiscano in concordia nei confronti di una grave minaccia esistenziale? A simile quesito c'è un'unica risposta. Non è possibile alcuna reazione organizzata e coerente. Molti troveranno che la mia risposta sia desolante, eppure le cose stanno così. Alle intelligenti premesse di Leinster non corrispondono conseguenze altrettanto plausibili. Sarebbe bastata una conoscenza elementare della termodinamica per rifiutare con sdegno le profferte dei Greks, ma è inutile sperare che questo possa avvenire dove imperversa un sistema scolastico ostile alla Logica, la cui essenza è quella di uno schifoso vivaio di bulli!    
 
Timeo Greks et dona ferentes 
 
Com'è risaputo, Virgilio fa pronunciare al troiano Laocoonte, gran sacerdote di Poseidone, alcune famose parole: Timeo Danaos et dona ferentis, ossia "Temo i Greci anche quando portano doni" (Eneide, Libro II, 49). La forma vergiliana ferentis, un interessante arcaismo (con -is in luogo di -es), è in genere emendata in ferentes quando si cita il verso, credo per evitare crisi a qualche insegnante isterica. Spesso ci si imbatte anche in Timeo Graecos et dona ferentes, in cui Danaos è stato opportunamente sostituito col più familiare Graecos. Proprio da questa versione ad usum Delpini ha tratto ispirazione Leinster. Sostituendo Graecos con Greks, ecco pronta l'idea portante del romanzo, che a giudicare dallo stile è stato scritto in fretta e furia, i modo quasi convulso. I celebri tagli di Urania hanno rimosse alcuni passaggi. La rivelazione che il fisico Hackett avrebbe dovuto fare alla bella Lucy è stata omessa. Era una cosa elementare: data l'assonanza di Greks con Graecos, i giganteschi extraterrestri grigiastri non potevano essere onesti!
 
Amenità politiche 
 
A un certo punto ne ho avuto la certezza. I Greks appartengono al Club Bilderberg! Provate a immaginarveli! Altissimi e segaligni, dalla pelle grigia e zigrinata come quella di un palombo, ma con fattezze ben riconoscibili: ricordano quelle dei membri del Governo dei Tecnici che ci ha afflitto dopo la caduta del Satiro di Hardcore! 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web:
 
Credo che questo sia in assoluto uno dei romanzi di fantascienza meno conosciuti e con meno riscontri. Ho fatto una certa fatica a trovare pochi brevissimi commenti. Si trovano su Anobii.com e sono tra l'altro abbastanza datati. 

 
Mauro ha scritto:

"Forse si sono ispirati a questo romanzo per la serie TV "Visitors". Comunque l'idea dell'alieno apparentemente "buono", ma che in realtà ha brame di conquista è sviluppata in modo interessante e avvincente." 

VM71 ha scritto:

"Timeo danaos et dona ferentes
Quando i Greci recano doni, è buona regola tenere gli occhi aperti. :-)
Romanzo degli anni '50, un pò ingenuo ma piacevole da leggere, se vi piace la fantascienza classica."
 
Plutonio186 ha scritto:

"La storia è carina e originale , almeno non ho mai letto una storia simile , l'unica cosa è che essendo scritto quando è stato scritto , ho trovato difficile immedesimarmi in qualsiasi personaggio ." 

domenica 5 aprile 2020

 
IL DIVO 
 
Titolo originale: Il Divo - La spettacolare vita di
     Giulio Andreotti
Paese: Italia/Francia 
Anno: 2008 

Durata: 110 min
 
Colore: colore 
Rapporto: 2,35 : 1
Audio: sonoro

Genere: biografico, drammatico

Regia: Paolo Sorrentino 

Sceneggiatura: Paolo Sorrentino

Produttore: Francesca Cima, Fabio Conversi,
     Maurizio Coppolecchia,
Nicola Giuliano, Andrea
     Occhipinti

Casa di produzione: Indigo Film, Lucky Red, Parco
     Film, Babe Film
(Francia)  
Distribuzione (Italia): Lucky Red 
Interpreti e personaggi:  
     Toni Servillo: Giulio Andreotti 
     Anna Bonaiuto: Livia Danese (moglie di
         Andreotti)
     Fanny Ardant: Moglie dell'ambasciatore francese 
     Giulio Bosetti: Eugenio Scalfari 
     Flavio Bucci: Franco Evangelisti 
     Carlo Buccirosso: Paolo Cirino Pomicino 
     Paolo Graziosi: Aldo Moro 
     Giorgio Colangeli: Salvo Lima 
     Alberto Cracco: Don Mario Canciani 
     Lorenzo Gioielli: Carmine Pecorelli 
     Gianfelice Imparato: Vincenzo Scotti 
     Massimo Popolizio: Vittorio Sbardella
     Achille Brugnini: Fiorenzo Angelini (cardinale)
     Aldo Ralli: Giuseppe Ciarrapico 
     Giovanni Vettorazzo: Roberto Scarpinato
        (magistrato)
     Simone Carella: Rino Formica
     Michele Chiadò: Giovanni Pellegrino
     Bruno Di Luia: Carlo Alberto Dalla Chiesa
     Valentina Rossi Stuart: Emanuela Setti Carraro
     Piera Degli Esposti: Signora Enea

     Enzo Rai: Totò Riina
     Natale Russo: Leonardo Messina
     Antonello Puglisi:  Vito Ciancimino
     Cristina Serafini: Caterina Stagno
     Marie Biondini: Diletta Petronio
     Antonio Sarasso: Francesco Di Carlo
     Alvaro Piccardi: Raul Gardini
     Mario Prosperi: Salvatore Pappalardo (vescovo di
         Palermo)
     Lorenzo Rapazzini Regis: Gianadelio Maletti
     Angelo Zito: Gian Carlo Caselli
     Giuseppe Pappada: Arnaldo Forlani
     Giuseppe Perri: Tano Badalamenti
     Paolo De Giorgio: Stefano Bontate
     Renato Di Pietro: Stefano Rodotà
     Nicola Giraudo: Gioacchino Natoli
     Victor Goubanov: Mikhail Gorbachev
     Pietro Biondi: Francesco Cossiga
     Domenico Centamore: Balduccio Di Maggio
     Claudio Bonis: Pippo Calò
     Orazio Alba: Gaspare Mutolo
     Dezio Bettini: Licio Gelli
     Gaetano Balistreri: Tommaso Buscetta
     Domenico Gennaro: Francesco Marino Mannoia
     Orlando Gerace: Nino Salvo
     Fernando Altieri: Oscar Luigi Scalfaro
 
Fotografia: Luca Bigazzi 
Montaggio: Cristiano Travaglioli 
Musiche: Teho Teardo 
Scenografia: Lino Fiorito  
Costumi: Daniela Ciancio 
Trucco: Vittorio Sodano 
 
 
ANDREOTTI E L'USO DEL POTERE 
 
Propongo in questa sede la visione di un brano tratto dal film in questione. Fratello Kopelev così lo ha commentato in Facebook: La terribile giustificazione di Andreotti all'uso del potere "Bisogna amare così tanto Dio per capire come sia necessario il male". 
 
Sì, tutto questo è terribile. Al di là del suo tormento, non vedo però nel personaggio una reale incoerenza o segni di contraddizione logica: infatti egli parla del Dio del Male, che è Signore di questo mondo. Siccome il benessere e lo sviluppo terreno non vengono dal Vero Dio, è naturale che chi voglia perseguirli si debba rivolgere a Satana. Quando si capisce che il Dio di cui Andreotti parla nel filmato è proprio il Principio Maligno, ciò che egli dice è del tutto logico e immediatamente comprensibile. 
 
E ancora: "La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene". Un bene che è tale soltanto in apparenza, perché i frutti dell'albero malvagio non possono né potranno essere mai buoni. Ciò che viene garantito in questo modo, del Bene ha così soltanto il nome, perché le genti delle nazioni tale lo reputano. Ecco la chiave di lettura: "Bisogna amare così tanto il Dio <di questo secolo> per capire come sia necessario il Male". La conseguenza è chiara, visto che il mondo che è il suo prodotto è in tutto e per tutto il Male. Si vede quindi che coloro che intendono detenere il potere non possono che trarre i loro intendimenti dalla sua sorgente sempiterna e increata. Per questo si chiamano Malvagi. Tutto ciò è mostruoso, inconfessabile e contraddittorio agli occhi dei cattolici, proprio perché reca scandalo alla loro fede nell'esistenza di un unico Principio. 
 
Di fronte all'opera dei Demoni bisogna essere fermi. Un Credente dei Buoni Uomini non deve perseguire né il benessere né lo sviluppo materiale, ma soltanto l'impegno nell'unica risposta possibile alla mostruosità del potere: astenersi dall'imprigionare nuove vite in questo orrore e predicare l'estinzione della Specie. Una risposta giusta e mai violenta.  
 
Molta gente si chiede tuttora perché i Buoni Uomini sono stati perseguitati con tanta ferocia dalla Chiesa di Roma e dalle potenze temporali a lei asservite. Non bisogna stupirsi più di tanto, anche se la risposta più esplicita non si trova nel luogo più ovvio - quale potrebbe essere un libro di storia - ma proprio nel film di Sorrentino. Risuonano inquietanti le parole dell'uomo che più di tutti sa come si sta al mondo: "Noi non possiamo consentire la fine del mondo nel nome di una cosa giusta, abbiamo un mandato noi, un mandato divino"... Lo stesso Innocenzo III deve aver pronunciato qualcosa di molto simile quando ha emanato il suo infame Decreto di Sterminio. 
 
(Il Volto Oscuro della Storia, 9 gennaio 2010)  
 
Trama e recensione: 
Inizi anni '90, Giulio Andreotti presenta il suo settimo governo. Una serie di morti insanguina l'Italia, e le vittime sono tutte personalità in qualche modo a lui connesse: il politico Aldo Moro, il generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, il giornalista Mino Pecorelli, il magistrato Giovanni Falcone, i banchieri Roberto Calvi e Michele Sindona, l'avvocato Giorgio Ambrosoli. La narrazione prosegue con i caotici contrasti tra le correnti della Democrazia Cristiana: la fazione andreottiana briga per far eleggere il Divo alla presidenza della Repubblica. Questo piano ha tuttavia un esito fallimentare. Troppo pesanti i macigni che gravano sulla figura del callido leader politico, al punto da dimostrarsi inamovibili. Intanto prende corpo Tangentopoli, con la conseguente caduta della Prima Repubblica. Si arriva alla scottante questione dei rapporti tra Andreotti e Cosa Nostra, che lo porterà a subire un processo. L'esito, ancor più destabilizzante per la politica italiana è il seguente: i reati anteriori al 1980 sono accertati, ma estinti per prescrizione, mentre si ha assoluzione per i fatti successivi a tale anni. Assoluzione piena in un secondo processo, quello per l'omicidio di Pecorelli.   
 
Le battute al fulmicotone, annichilenti, mettono a nudo l'ontologia corrotta dell'Universo. Il regista ha trovato un modo geniale per far orientare lo spettatore nella vorticosa realtà politica, in mezzo a tutti quei malfattori: una didascalia in caratteri rossastri o di uno strano arancione, che illustra il nominativo e il ruolo di ogni personaggio alla sua prima comparsa in scena. Senza questo accorgimento, non sarebbe possibile capire quasi nulla della tumultuosa narrazione. La rappresentazione dei politici è realistica, ma al contempo presenta tratti grotteschi e satirici che rendono sopportabile la visione di una realtà tanto squallida. Se uno osserva bene la figura dell'Andreotti impersonato da Servillo, nota la stranezza delle orecchie, che presentano un angolo innaturale, a perpendicolo con le tempie, una caratteristica quasi vampiresca e certamente voluta. Ho trovato allucinante la figura di Cirino Pomicino che si esibisce in una danza scatenata, nel corso di una festa certamente poco consona all'ostentata morigeratezza dei dirigenti democristiani. L'attore che impersona Totà Riina è stato scelto davvero bene: gli occhi molto ravvicinati e la fisionomia massiccia del volto garantiscono una somiglianza quasi perfetta all'originale. Andreotti è mostrato senza infinigimenti come punciutu e omu d'unuri. Durante l'iniziazione mafiosa se ne esce con un poco virile "ahi!" quando l'ago gli penetra un polpastrello. Poi in una camminata rituale procede a fianco dei padrini imbracciando un fucile. Un elemento all'apparenza incongruo, innaturale, addirittura posticcio, ma che è in sostanza una visione apocalittica. 
 
Un breviario andreottiano 

"Livia, sono gli occhi tuoi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio andato al cimitero del Verano. Si passeggiava, io scelsi quel luogo singolare per chiederti in sposa – ti ricordi? Sì, lo so, ti ricordi. Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea. Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità. La responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984, e che hanno avuto per la precisione 236 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico: sì, confesso. Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il Paese, provocare terrore, per isolare le parti politiche estreme e rafforzare i partiti di Centro come la Democrazia Cristiana l'hanno definita "Strategia della Tensione" – sarebbe più corretto dire "Strategia della Sopravvivenza". Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa e lo so anch'io."  
(Giulio Andreotti) 
 
"Lei ha sei mesi di vita", mi disse l'ufficiale medico alla visita di leva. Anni dopo lo cercai, volevo fargli sapere che ero sopravvissuto, ma era morto lui. È andata sempre così: mi pronosticavano la fine, io sopravvivevo, sono morti loro. In compenso per tutta la vita ho combattuto contro atroci mal di testa. Ora sto provando questo rimedio cinese, ma ho provato di tutto. A suo tempo l'Optalidon non accese molte speranze. Ne spedii un flacone pure ad un giornalista, Mino Pecorelli. Anche lui è morto.
(Giulio Andreotti)

"Chi non vuol far sapere una cosa, in fondo non deve confessarla neanche a se stesso, perché non bisogna mai lasciare tracce."
(Giulio Andreotti) 

"Mi creda, io so cos'è la solitudine; non è una gran bella cosa. Per il mio ruolo, per la mia storia, avrò conosciuto nella mia vita approssimativamente 300.000 persone. Lei crede che questa folla oceanica mi abbia fatto sentire meno solo?"  
(Giulio Andreotti) 

"Guerre puniche a parte, mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia. Nel corso degli anni mi hanno onorato di numerosi soprannomi: il Divo Giulio, la Prima-lettera-dell'-alfabeto, il Gobbo, la Volpe, il Moloch, la Salamandra, il Papa Nero, l'Eternità, l'Uomo-delle-tenebre, Belzebù. Ma non ho mai sporto querela, per un semplice motivo: possiedo il senso dell'umorismo. Un'altra cosa possiedo: un grande archivio, visto che non ho molta fantasia, e ogni volta che parlo di questo archivio chi deve tacere, come d'incanto, inizia a tacere."
(Giulio Andreotti) 

Don Mario: "Montanelli diceva: «De Gasperi e Andreotti andavano insieme a messa e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete»."
Giulio Andreotti: "I preti votano, Dio no."  
 
Colonna sonora

Riporto la tracklist dell'album della colonna sonora (le tracce sono di Teho Teardo, quando non specificato):

1) Fissa lo sguardo
2) Sono ancora qui
3) I miei vecchi elettori
4) Toop Toop - dei Cassius
5) Che cosa ricordare di lei?
6) Un'altra battuta
7) Il cappotto che mi ha regalato Saddam
8) Notes for a New Religion
9) Gammelpop - di Barbara Morgenstern & Robert
     Lippok
10) Non ho vizi minori
11) Ho fatto un fioretto
12) Possiedo un grande archivio
13) Double Kiss
14) Nux Vomica - dei The Veils
15) Il prontuario dei farmaci
16) La corrente
17) 1. Allegro - da Il cardellino di Antonio Vivaldi
18) Pavane, Op.50 (1901) - di Gabriel Fauré
19) Da, da, da, ich lieb' Dich nicht, Du liebst mich
     nicht - dei Trio
20) E la chiamano estate - di Bruno Martino
21) Conceived (Michael Brauer Radio Mix) - di Beth
     Orton

Frammenti musicali incorporati nella colonna sonora: 

Pohjolan tytär (La figlia di Pohjola, op. 49) di Sibelius
Concerto per violino e orchestra (op. 47) di Sibelius
Sinfonia nº 2 (op. 43, detta "l'italiana") di Sibelius
Estratti dalla Danse macabre (op. 40) di Saint-Saëns.
I migliori anni della nostra vita di Renato Zero
La prima cosa bella (scritta da Mogol e Nicola Di Bari), cantata dai Ricchi e Poveri.
Un pezzo del proprio repertorio di batucada della scuola campana di samba G.R.E.S. Unidos do Batacoto. 

Premi e riconoscimenti 
 
Oscar - 2010
  Candidatura miglior trucco
Festival di Cannes - 2008
  Premio della Giuria
David di Donatello - 2009
  Premio miglior acconciatore
  Premio miglior colonna sonora a Teho Teardo
  Premio miglior truccatore
  Premio migliore attore protagonista a Toni Servillo
  Premio migliore attrice non protagonista a Piera
       Degli Esposti
  Premio migliore fotografia a Luca Bigazzi
  Premio migliori effetti speciali visivi
  Candidatura miglior costumista
  Candidatura miglior film
  Candidatura miglior fonico di presa diretta
  Candidatura miglior produttore a Andrea
       Occhipinti, Nicola Giuliano, Francesca Cima,
       Maurizio Coppolecchia
  Candidatura miglior regista a Paolo Sorrentino
  Candidatura miglior scenografo
  Candidatura migliore attore non protagonista a
       Carlo Buccirosso  
  Candidatura migliore montatore a Cristiano
      Travaglioli
  Candidatura migliore sceneggiatura a Paolo
      Sorrentino

giovedì 2 aprile 2020

 
THE UNIVERSE IS COMING APART 
(Antinatalist Nihilist Anthem) 
 
Autore: Kel'Thuz
    (varianti ortografiche: KeltHuz, Kethuz) 
    AKA: Harjatugon, Warraha, Saluth
    Nome di nascita: Tomasz Paweł Czapla
Paese: Polonia
Lingua: Polacco
Anno prima pubblicazione: 2013 
Album:  Czas Zaorać Socjalizm
   ("It's time to pulverize socialism")
Anno uscita album: 2017
Genere: Nihilist Suicide Pop
Ispirazione: Anticosmismo 
Encyclopedia Metallum:
Canale YouTube per l'incorporazione del video:
   Radio Żelaza 

Testo:
 
WSZECHŚWIAT SIĘ ROZPADA

Bóg umarł 

Nie mogąc znieść istnienia
Wielki Wybuch, przekleństwo stworzenia 

Z jego truchła Wszechświat zrodzon

Nadal gnije, ludzkość trwożąc

Tam nic nie ma, w tej ciemności

Tylko pustka i fetor wieczności

Każde życie jest przeklęte

A świadomość razi lękiem

Teraz to czujesz

Truchło martwego Boga opłakujesz

Pójdź za nami do światłości

Tam, gdzie nicość kolor ma najprostszy


REF:

Wszechświat się rozpada 

Na naszych oczach rozpada on się

Wszechświat się rozpada 

A żywot śmieszków zakończy się więc 

Wszechświat się rozpada 

Na naszych oczach rozpada on się 

Wszechświat się rozpada 

Na końcu zawsze czeka cieplna śmierć


II

Demiurg w opiece 

Ma ten świat

Cierpienie i udręka od niezliczonych lat
 
Jego imię to Aryman 
W każdym dziecku na nowo się skrywa

Teraz to czujesz

Królestwo demona celebrujesz

Gwiazdy milczą, dusza śpiewa

Ku światłości czas uderzać!


Traduzione in inglese (sottotitoli del video):


God died 

Couldn't bear his existence 
The Big Bang, the curse of creation 

From God's corpse Universe was born 

It's still rotting, keeping humanity in awe 

Nothing's out there, in that darkness

Only void and the stench of eternity

Every life is cursed

While consciousness dazzled with terror


Now you can feel it 
Carcass of the dead God you mourn

Follow us into the Light

Where the Nothingness is the basic color
 
 
CHORUS:

Universe is going apart 
On our very eyes it's going apart 
Universe is going apart

And Polyannas are going extinct

Universe is going apart

On our very eyes it's going apart

Universe is going apart

And in the end the heat death always awaits


II 
 
Demiurg has this world

in his custody

Suffering and torment since the time immemorial

His name is Ahriman

In every child he is concealed anew


Now you can feel it

The realm of the demon you celebrate

Silent remain the stars while a soul sings

Towards the Light it's time to go
 
Traduzione in italiano: 
 
L'UNIVERSO STA ANDANDO IN PEZZI
(Inno Antinatalista Nichilista)

 
Dio è morto
Non poteva sopportare la sua esistenza
Il Big Bang, la maledizione della creazione
Dal cadavere di Dio è nato l'Universo  
Sta ancora marcendo, tiene l'umanità nella paura 
Non c'è nulla là fuori, in quella tenebra 
Solo il vuoto e il puzzo di eternità
Ogni vita è maledetta
Mentre la coscienza è abbacinata dal terrore 

Ora la puoi sentire
La carcassa del Dio morto per cui piangi 
Seguici nella Luce
Dove la Nullità è il colore di base 
 
RITORNELLO: 
 
L'Universo sta andando in pezzi 
Sotto i nostri occhi sta andando in pezzi
L'Universo sta
andando in pezzi
E le Pollyanne si stanno estinguendo 
L'Universo sta andando in pezzi
Sotto i nostri occhi sta
andando in pezzi
L'Universo sta
andando in pezzi
E alla fine la Morte Termica sempre aspetta

II 

Il Demiurgo detiene questo mondo
Nella sua custodia
Sofferenza e tormento da tempo memorabile
Il suo nome è Ahriman
In ogni bambino egli è di nuovo nascosto 

Ora lo puoi sentire
Il regno del demonio che tu adori
Silenti rimangono le stelle mentre un'anima canta
Verso la Luce è tempo di andare
 
Recensione: 
Faccio i miei complimenti a Kel'Thuz, bassista proveniente dalla Polonia, per questo notevole testo anticosmico, un vero capolavoro del Manicheismo Moderno e della Ribellione contro la Creazione Malvagia. Ritrovare opere tanto fulgide che spiccano nello sconfinato e marasmico flusso della Rete è qualcosa che rinfranca lo Spirito, rinforzando la determinazione! Possa questa Conoscenza diffondersi e radicarsi dovunque, portando alla rovina l'edificio del Demiurgo: è tempo di andare verso la Luce!

lunedì 30 marzo 2020

PULIZIE DI PRIMAVERA  

Saranno stati una decina. Tutti con la mascherina chirurgica e armati di spranghe. Sbucarono da Via Luciano Luberti e si avventarono contro il gruppo di anziani radunati davanti all’ufficio postale di Via Tasso. Fu un’azione fulminea, di una brutalità inaudita. Li vidi scagliarsi sui vecchi menando violentissimi colpi di spranga alla testa. Dal mio balcone, situato al quarto piano, potevo udire il suono prodotto dalle sbarre di ferro sulle scatole craniche dei pensionati. Nel giro di pochi minuti, sul marciapiede e sulla sede stradale giacevano una ventina di anziani con il cranio fracassato. Gli assalitori se ne andarono con la stessa velocità con cui erano venuti. Quando riuscii a mettermi in contatto con gli uffici della Questura, la strage si era già consumata. Scesi per strada e mi avvicinai al luogo della carneficina: lo spettacolo era terribile: sangue ovunque, materia cerebrale. Un vecchio rantolava in modo atroce, una schiuma rossastra gli usciva gorgogliando dalla bocca. Grida femminili assordanti rimbombavano dai palazzi limitrofi. Furono ben presto soverchiate dall’ululato delle sirene delle ambulanze e delle volanti che stavano sopraggiungendo a tutta velocità. Mi allontanai in tutta fretta, rifugiandomi sotto il portone, appena prima che l’area si saturasse di poliziotti e di infermieri. Appena varcata la soglia del palazzo, mi sentii chiamare per nome. Era l’inquilino dell’appartamento al pianoterra, un bevitore incallito:
“Ci ammazzano tutti! Lo ha detto la radio!”
“Detto cosa?”
“Che stanno ammazzando vecchi in tutta Italia!”.
Me ne tornai di sopra e accesi la televisione. Un’edizione speciale di Studio Aperto stava dando notizia di massacri di anziani in varie località del paese. Quindi si trattava di un piano preordinato, non di un’azione isolata.
Squillò il telefono. Era un funzionario della Questura.
“E’ lei che ha chiamato poco fa? Scenda, per cortesia, siamo sotto al suo palazzo. Porti con sé un documento di identità.”
Scesi maledicendo la sorte.
Davanti all’ingresso c’erano un paio di uomini in borghese.
“Ridolfi?”
“Sì, sono io.”
“Favorisca un documento.”
Il questurino esaminò la mia carta d’identità e la passò al collega.
“Adesso lei ci racconta tutto per filo e per segno. Dove si trovava quando si è svolto il fatto?”
“Sul balcone, stavo mettendo i rifiuti nel bidoncino che tengo lì.”
“Lei vive solo?”
“Sì.”
“E cosa ha visto, esattamente?”
“Ho dato un’occhiata giù e c’erano tutti ‘sti vecchietti davanti all’ufficio. Di solito succede quando pagano le pensioni.”
“E poi?”
“E poi ho visto una banda di tizi con le spranghe uscire di corsa da Via Luberti.”
“Me li descriva.”
“Avevano tutti le mascherine in faccia, quelle azzurre, dovevano essere giovani, data l’agilità e il colore dei capelli. Chiome grigie o bianche non ne ho viste.”
“Colore della pelle?”
“Con la pelle scura non ne ho visti.”
“Ne è sicuro?”
“Si è svolto tutto talmente in fretta che non posso dirlo con assoluta certezza ma credo proprio di sì.”
“Sono usciti da Via Luberti quindi”
“Sì, e si sono lanciati sui pensionati. Quelli sono venuti per uccidere.”
“E lei come fa a saperlo?”
“Cazzo, menavano sprangate tremende alla testa!”
“Eviti questo linguaggio e si attenga ai fatti.”
“I fatti sono davanti ai vostri occhi, distesi sul marciapiede davanti alle Poste, immobili.”
“E mentre questo avveniva lei cos’ha fatto?”
“Ho chiamato voi.”
“Non ha cercato di fermarli?”
“E come, con la fionda?”
“La diffido dal continuare su questo tono.”
“Scusi ma secondo lei cosa dovevo fare, gettarmi come Batman su quella banda di forsennati e sgominarli a mani nude?”
“Intendevo dire: non li ha invitati a desistere?”
Esterrefatto, guardai il questurino dritto negli occhi.
“Abito al quarto piano, e anche se mi fossi messo a urlare a squarciagola non mi avrebbero sentito: le grida dei pensionati presi a sprangate avrebbero coperto le mie. Ho ritenuto più utile chiamare la polizia, cioè voi.”
“Quanto è durata l’azione?”
“Cinque minuti, una cosa allucinante.”
“Perché allucinante?”
“Perché sono stati velocissimi, un’incursione micidiale.”
“E alla fine di questa ‘incursione’, come la chiama lei, cos’hanno fatto?”
“Si sono dileguati in Via Luberti. Dal mio balcone vedo solo la riga dello stop, quindi non so, poi, dove siano andati.”
“Lei è stato notato nei pressi dell’ufficio.”
“Sì, dopo che se ne sono andati sono sceso.”
“Per quale motivo?”
“Per vedere se ci fossero sopravvissuti.”
“Lei è forse un medico?”
“No.”
“E come contava di ‘vedere’, tastando il polso alle vittime?”
“No, semplicemente osservando coi miei occhi la situazione, da vicino.”
“Ha toccato qualcuno dei corpi?”
“No, nessuno.”
“Si è limitato a ‘osservare’, dunque.”
“Sì, ho osservato che c’erano corpi con la testa rotta e le cervella di fuori, e un poveraccio che rantolava. Per poco: poi ha smesso e gli occhi gli si sono rovesciati all’indietro. Quando ho sentito le sirene delle ambulanze, sono rientrato nel palazzo dove abito per evitare di creare intralcio ai soccorritori.”
“Può andare. La convocheremo per stilare la deposizione.”
Sacramentando in silenzio risalii al mio appartamento. “Mannaggia a me, potevo farmi i cazzi miei!”.
Quel giorno non combinai nulla di utile. Le immagini e i suoni della strage mi tornavano di continuo alla mente. L’edizione delle 13 di Rai News 24 esordì così: “Pogrom di anziani in tutta Italia: migliaia le vittime. Cordoglio unanime da tutte le più alte istituzioni. Ferma condanna da parte del Presidente della Repubblica: ‘Non consentiremo a una minoranza di violenti di trascinare il paese nella barbarie’.”
Si parlava di almeno trentamila morti. L’amara verità cominciava a farsi strada tra le nebbie dell’edulcorazione: i millennial stavano giustiziando gli odiatissimi veci. Su Internet circolavano le voci più disparate: i linciaggi e le esecuzioni sommarie non si contavano più. Mi imbattei in un proclama agghiacciante che così recitava:
“Voi ci avete fottuto il futuro e adesso noi fottiamo voi, vecchiacci di merda. Ci avete tolto la possibilità di avere un lavoro fisso e dignitosamente retribuito. Siete andati in pensione con quindici anni di anzianità. Avete drenato le risorse della nazione e ancora rompete il cazzo, vi lamentate e ci date dei fannulloni. Avete avuto tutto ciò che a noi viene negato: un lavoro fisso, un sistema di welfare. Vi restituiremo pan per focaccia. Quello di oggi è soltanto l’inizio, l’inizio delle pulizie di primavera!”.

Pietro Ferrari, marzo 2020

sabato 28 marzo 2020

LA NUBE 
 
All’alba del 30 settembre 2020 fui svegliato da un fortissimo tanfo di feci. La prima cosa che mi venne in mente fu che fosse esploso il cesso. Andai a controllare: era tutto in ordine. Non restava che una spiegazione: uno spandimento massiccio di fanghi nei campi. Doveva trattarsi di qualcosa di proporzioni inaudite, vista l’intensità dell’odore.
Accesi la televisione: l’edizione delle 6 e 45 del Tg5 si aprì con questo annuncio: “La comunità scientifica avverte: una nube di gas proveniente dallo spazio ha raggiunto il nostro pianeta. Il gas – prosegue il comunicato dell’Agenzia spaziale – benché maleodorante non rappresenta un pericolo per la salute.”

Una nube di gas cosmici puzzolenti. Ci mancava solo quello.

E mi toccava pure andava al lavoro. Appena messo piede in cortile, fui investito da un zaffata di fetore escrementizio che superava tutto ciò  che avevo sperimentato nei decenni di vita trascorsi in quella zona densa di porcilaie. Durante il viaggio verso Pavia l’assedio olfattivo aumentò ulteriormente. In ufficio l’aria era pressoché irrespirabile: la sensazione nettissima era di essere immersi in una vasca piena di stronzi fumanti. Una collega diede di stomaco in corridoio.
 
Su Internet circolavano notizie raggelanti: la nube maleodorante non se ne sarebbe andata in fretta. 
Alle 17:00, un messaggio a reti unificate del presidente del Consiglio sancì  il lockdown generale. 
Ci muravano vivi un’altra volta! Mi domandai quale potesse essere l’efficacia del provvedimento: l’odore di merda entrava dappertutto, abitazioni private incluse! 
Quel giorno non riuscii a pranzare: qualsiasi cosa ingerissi, avevo l’impressione di mangiare merda. 
Il tragitto a piedi dall’ufficio alla macchina fu un calvario: avanzavo a fatica in una spessa bolla fecale. Sul marciapiede di Viale Lungo Ticino Visconti vidi accasciarsi una passante, una donna procace, sulla quarantina. 
Tentai di soccorrerla ma si mise a strillare: “Aiuto, mi sta palpando!”. 
“Signora, non dica scemenze!” 
La adagiai su una panchina.
“In altre circostanze le direi di prendere un bel respiro ma oggi non mi sembra il caso.”

Per un istante parve riacquistare una certa lucidità.

“Mi scusi, non so cosa mi ha preso, dev’essere questo fetore, mi stordisce.”

“Ce la fa ad andare a casa?”

“Mi sta socratizzando!”

Me ne andai immediatamente. Ci mancava solo una matta!

L’abitacolo dell’automobile puzzava tale e quale alla latrina intasata di una stazione ferroviaria. Non c’era scampo, la nube fecale era penetrata ovunque.

Accesi la radio. Risuonò la voce tristemente nota di padre Fabrizio: “Il dodicesimo segreto recita a chiare lettere: se non vi convertirete vi manderò un segno che l’umanità intera non potrà ignorare. Quel segno è arrivato!”.

Come facesse quel prete delirante a scorgere in una nube di merda un segno divino era cosa che andava oltre le mie possibilità di comprensione.

Cambiai canale: Radio JD trasmetteva un’intervista a un “esperto”, tale Aurelio Fubini Trulli, autore del libro: “Le piramidi, la Maddalena e il segreto del Graal”. Questo Trulli era certissimo di avere la spiegazione in tasca: “Si tratta di un’arma chimica. Il cloud seeding è sfuggito loro di mano. Sono gli effetti collaterali dei programmi di controllo meteorologico e geoingegneria climatica. I governi ne sono ben informati ma tacciono”.

Misi in moto e partii. Incredibilmente, la strada era deserta. Dove erano finiti tutti quanti? All’altezza di Porta Damiani dovetti frenare di colpo: la donna di prima era nel bel mezzo della carreggiata e si sbracciava gridando a squarciagola.

“Aiuto! E’ violenza di gruppo! Mi faccia salire!”

“Si sposti per favore.”

“Non può abbandonarmi in queste condizioni! Lei è un mostro!”

“La prego, si faccia da parte.”

“Guardi, non le piacciono le mie autoreggenti?”

“Si tolga dalla strada!”

“Mi faccia salire altrimenti chiamo aiuto!”

“Ma se non sta facendo altro da venti minuti!”

“E allora mi faccia salire!”

“Per andare dove? Mi lasci in pace!”

“Aiuto!”

“Salga, perdiana, salga!”

“Che odore c’è su questa macchina?”

“Lo stesso che c’è fuori, porca puttana!”

“Mi sta dando della porca e della puttana! Lei è un bruto!”

“La smetta con questa storia o la scaravento giù dalla macchina!”

“Non può: ho già messo la cintura.”

“Dove la devo portare, dove abita?”

“Via Lutezio”

“Mai sentita nominare!”

“Liutprando.”

“Dio santo, non si ricorda nemmeno dove vive?”

“Luftanzio, mi pare.”

“Non esiste nessuna via Luftanzio.”

“E invece sì.”

Accostai.

“Adesso le dimostro che non esiste.”

Impostai il navigatore.

“Vede? Non c’è nessuna via Luftanzio.”

“Non ha aggiornato lo stradario.”

“Mi dia un punto di riferimento.”

“Piazza Giovanni Aquarone.”

“E dove cazzo sarebbe?”

“A Torre Beretti.”

“Torre Beretti? Ma scusi lei non è di Pavia?”

“No.”

“E non poteva dirmelo prima?”

“Lei non me l’ha chiesto.”

“Senta, io la porto in stazione e la faccenda si chiude qui.”

“Le piacciono le mie autoreggenti?”

“La faccia finita, per carità!”

“Lei non lo dice ma lo pensa. Ho visto il modo in cui mi guardava prima: come una bestia!”

“Sono stato una bestia a farla salire!”

Nel piazzale della stazione si era radunata una folla di pendolari con le mascherine chirurgiche. Posteggiai vicino alla pensilina dell’autobus.

In quel mentre una donna anziana veniva issata sulle braccia da un gruppo di energumeni, come si usava fare con le statue del Cristo, nei paesi di provincia, durante le processioni del Venerdì santo.

“Qui stanno dando tutti di matto.”

“Vado a vedere se c’è il treno, lei però rimanga qui per favore. Se è tutto ok le faccio segno dall’ingresso.”

“Perché dovrei?”

“Per favore.”

Non chiedetemi il motivo ma le diedi retta e rimasi ad aspettare. La vidi scomparire tra la folla. Riapparve dopo un quarto d’ora: quando aprì la portiera fui raggiunto da una zaffata di tanfo escrementizio che avrebbe abbattuto un facocero.

“Hanno soppresso le corse!”

“E’ sicura? Ha controllato bene?”

“Tutto soppresso, non parte nulla! Ci sono i treni fermi sui binari.”
“Non è possibile.”
“Le giuro che sto dicendo il vero. Quest’odore di merda è insopportabile, non ce la faccio più. Partiamo, la supplico.”

“E dove vuole che vada?”

“Via Simeone Salos.”

“Non esiste! Sicuramente non a Torre Beretti!”

“E’ una traversa di Viale Maria Egiziaca.”

“Lei non sta bene.”

“Controlli lo stradario.”

Pur di levarmela dai piedi ero pronto a tutto. Controllai lo stradario: a Torre Beretti risultava un viale intitolata a Maria Egiziaca!

“Strano, non l’avrei mai detto.”

“Mi accompagnerebbe a casa? Sia buono con me e io sarò buona con lei. Le piacciono le mie autoreggenti?”

“Basta con queste autoreggenti! Senta, la accompagno a casa e non parliamone più.”

“Lei è una persona dolce, anche se dall’aspetto animalesco.”

“Grazie, davvero molto gentile!”

Partii e dopo neanche cento metri mi fermai di nuovo: c’era un uomo disteso sull’asfalto in Viale Vittorio Emanuele II.

“Dobbiamo spostarlo.”

“Non può passargli sopra?”

“E’ impazzita? Scenda piuttosto, e mi aiuti a spostarlo.”

Scendemmo dalla macchina e quando fui accanto al corpo riconobbi Fernando, uno degli ubriaconi più noti di tutta Pavia.

“Lo prenda per i polsi, stringa forte e sollevi.”

Rimuovemmo il cadavere e lo posammo vicino a un portone. L’odore di merda era indescrivibile.

Risalimmo in macchina e la donna cominciò a ridere in modo convulso.

“Cosa le prende adesso?”

“Non ci siamo neanche presentati. Io mi chiamo Domitilla.”

“Piacere, Erminio.”

“Davvero? Mio nonno si chiamava così. Forse.”

“Come forse?”

“Credo di essermi pisciata addosso.”

“Sta scherzando?”

“No no, dico sul serio.”

Mi aveva pisciato per davvero sul sedile. Non reagii, non dissi nulla. L’odore di merda era talmente intenso da esercitare una sorta di effetto narcotizzante.

In Viale della Libertà ardeva una vettura della polizia municipale: i corpi degli agenti giacevano sul ciglio della strada, circondati da pozze di sangue. Le cose stavano prendendo una bruttissima piega.

“Via Simeone Salos.” 

“Ho capito.”

“Torre Beretti.”

“Siamo diretti lì.”

“Potrebbe fermarsi al Mood Moda? Mi servono delle scarpe invernali.”

“No, non posso.”

“Vorrei sedermi dietro, il sedile bagnato mi dà fastidio.

“Se solo avesse avuto la bontà di non pisciarmi in macchina!”

“La prego.”

Accostai. Una volta scesa, si tolse gonna e mutande come nulla fosse e posò gli indumenti sul tappetino del sedile passeggero.

“Non ha una coperta in macchina?”
 
“E’ nel bagagliaio, la prenda.”
“Non si apre.”

“Sì che si apre, prema il pulsante!”

“Ok”

Prese la coperta, se l’avvolse intorno ai fianchi e si sedette sul sedile posteriore.

“Se le scappa di nuovo per favore mi avverta!”

“Certamente.”

“Voglio sperare!”

Sul rettilineo in uscita da Pavia, all’altezza della rotonda degli Ottagoni, giaceva un groviglio di vetture accartocciate le une sulle altre. Svoltai a sinistra ed entrai in San Martino: in paese non incontrai ostacoli. Non si vedeva in giro un’anima.

“Mood Moda, voglio i tronchetti.”

“E’ chiuso.”

“Fa orario continuato.”

“La smetta.”

“Con le micro borchie.”

“Sarà per un’altra volta.”

“Mi faccia telefonare al punto vendita.”

La ignorai. Armeggiò a lungo con lo smartphone.

“Non risponde nessuno.”

“Che strano eh?”

“Se crede di ferirmi con il suo sarcasmo, si sbaglia.”

Nei pressi del Bennet dovetti rallentare e fermarmi di nuovo: un gregge di pecore occupava entrambe le corsie. Non se ne vedeva la fine.

“Perché ci siamo fermati?”

“Secondo lei?”

Prima che potessi aggiungere una sola parola, Domitilla scese dall’auto e si mise a gridare: “Pastore, pastore!”.

Poi, rivolta verso di me:

“Deve esserci per forza un pastore. Dove c’è un gregge, c’è anche un pastore.”

E riprese a gridare. D’un tratto, dal gregge emerse una figura umana: era un uomo piccolissimo, arrivava al garrese delle pecore, sarà stata alto al massimo 90 cm. Per questo non l’avevamo visto.

“Ha bisogno signora?”

“Ci fa passare? Dobbiamo andare a Torre Beretti.”

“A Torre Beretti? Ma non lo ha visto il fumo?”

“Che fumo?”

“Di là, guardi bene.”

Scesi dall’auto e solo in quel momento mi resi conto che, in direzione Sannazzaro, si ergeva un’enorme colonna di fumo nero.

“Che è successo?”

“Hanno bombardato la Raffineria.”

“E chi l’avrebbe bombardata?”, domandai al pastore-nano.

“Non ne ho idea. So solo che ho visto sfrecciare degli aerei e poi, dopo un po’, ho sentito i boati.”

Tornai in macchina. Domitilla tornò a sedersi sul sedile posteriore, con un’espressione affranta.

“Senta”, dissi, “non so cosa stia succedendo, ho l’impressione che tutto stia andando alla malora. Per stanotte, se vuole, può dormire da me. La casa è grande, per quanto fatiscente. Sempre che si riesca a passare. A questo punto, non so cosa ci aspetta dopo Santa Croce.”

“E’ la fine, la fine.”

Sentii bussare alla portiera.

Era il pastore-nano che mi porgeva una bottiglia di grappa.

“La tenga pure, ne ho altre, le ho prese al supermercato, è tutto gratis.”

“Come gratis?”

“Non c’è nessuno alla casse, a parte i morti.”

Domitilla mi strappò la bottiglia di mano e bevve una lunga sorsata a garganella.


Pietro Ferrari, marzo 2020

giovedì 26 marzo 2020

UN THREAD SUL TENTATIVO DI IDENTIFICARE UNA LINGUA IGNOTA DA ME UDITA IN SEREGNO  
 
Riporto nel seguito l'interessante conversazione avvenuta su Facebook, dopo che mi sono imbattuto in una donna parlante una lingua senza rispondenza alcuna con quanto da me conosciuto.  


Giovanni Agnoloni:
estone?

Marco Moretti:
Poteva sembrare una soluzione allettante, ma temo che sia molto implausibile. Per scrupolo ho ascoltato diversi video. Una prosodia completamente dissimile, una diversa fonotattica. Quello che poi colpisce dell'estone è l'alta frequenza delle sibilanti, molto rare invece nella lingua sconosciuta che ho udito.

Marco Moretti:
Ho provato di tutto, inutilmente. Sono giunto alla conclusione che l'esistenza stessa di quella lingua è qualcosa di incongruo, che su questo pianeta non dovrebbe sussistere. Si tenga conto che non ci sono infinite possibilità compatibili con il somatismo della locutrice. Detto ciò, non sono riuscito a trovare una soluzione al problema, che mi assilla, anche perché non è affatto il primo caso di questo genere che mi capita. Da dove vengono queste persone? Chi le ha messe qui? 

Giovanni Agnoloni:
Sarà un dialetto

Fabiana Cilotti:
ho pensato al finlandese o a qualche lingua ugrofinnica, quindi anche ungherese e l'estone, ma certamente tu sei molto più esperto di me. Ma ciò che ti ha colpito è stata solo la lingua, o l'incongruenza tra la lingua e la fisionomia?

Marco Moretti:
Entrambe le cose. Forse se avessi visto un unicorno mi sarei stupito meno.

Marco Moretti:
Ho provato persino a visionare un video nella lingua degli Udmurti, di ceppo ugrofinnico. Si tratta di un popolo che vive in una remota zona della Russia e che è ancora pagano. Non c'è corrispondenza alcuna nella struttura delle parole. Direi proprio che il ceppo uralico nel suo complesso non c'entra nulla.

Fabiana Cilotti:
Lappone-sami?

Marco Moretti:
Mi sento di escluderlo. Ho condotto alcuni studi su parole di sostrato presenti in quella lingua, che è dello stesso ceppo del finlandese, anche se è molto diversa e ha una fonetica particolare.

Marco Moretti:

Fabiana Cilotti:
forse Papi non era il nome del figlio ma significava "vieni qui"

Marco Moretti: 
E' possibile. Del resto, in assenza di qualsiasi parola identificabile, si può dire ben poco. Non c'era nemmeno un prestito da una lingua nota. A volte, quando si sente qualcuno parlare in arabo o in una lingua slava, si notano parole italiane incorporate nel discorso. Una volta, sul treno, ho udito una donna parlare al telefono in una lingua sconosciuta, con una rotica molto vibrante, ma sono riuscito a riconoscere diverse parole prese a prestito dal russo.

Fabiana Cilotti: 
il problema sono i dialetti, che a volte sono difficilmente riconducibili alla lingua originaria, specialmente in una conversazione captata a frammenti, pensa al bergamasco con l'italiano!
E poi ci sono parole o frammenti di esse che sono comuni in molte lingue anche se hanno significato diverso, tipo "mir", in russo mondo, in albanese "bene", e miliardi di altre.
Da come la descrivi sembrerebbe più una lingua uralo altaica ma credo sia difficile riuscire a risolvere questo enigma... dovevi chiederglielo :)

Marco Moretti:
Innanzitutto bisogna definire cos'è un dialetto. Chiamo "dialetti" le varietà galloitaliche come quelle lombarde perché manca una lingua codificata: molti insorgerebbero se si volesse rendere il milanese del Porta la lingua di tutta la Lombardia. Detto questo, il caso del bergamasco aspirato è decisamente anomalo. Non ci sono infinite possibilità, dopotutto. Per quanto riguarda i "falsi amici", va detto che "mir" in russo significa "pace", non "mondo". Credo che sia molto difficile che parole come "svaboda" e "narodny" possano essere "falsi amici" o frutto di inganno. Se ho udito una lingua uralica, allora possiamo dire che un idioma bantu fa parte dei vernacoli toscani.

Fabiana Cilotti:
tu solo sai quanto hai ascoltato di quel discorso e quante parole se pur incomprensibili ti sono arrivate e quante ne hai perse, cioè, in pratica quanto ciò che hai percepito fosse frammentario o meno. Mi pare che la tua osservazione si basi prevalentemente sul suono e sulla fonotassi, ma fortemente condizionata dall'aspetto della donna. Forse se tu l'avessi sentita registrata e non avessi visto chi parlava ti saresti orientato altrove, su altri gruppi linguistici che, in bocca ad una bionda pallida, magari appaiono assurdi

Marco Moretti:
Se avessi sentito una registrazione senza vedere la persona, non avrei avuto la benché minima idea del gruppo linguistico su cui orientarmi. Blackout totale.

Giovanni Agnoloni:
Basco?

Marco Moretti:
Impossibile. Ho studiato quella lingua in numerose sue varianti e la riconosco all'istante. Si tratta di un superstite non indoeuropeo, che proprio per questo è di estremo interesse. Per anni ho analizzato numerosissimi vocaboli, classificandoli a seconda della loro natura. Sono a conoscenza dei lavori di molti accademici. Infatti, essendo il basco una lingua isolata, ci sono stati innumerevoli tentativi di trovare una parentela. Anni fa il professor Bengtson ha mandato un suo servo per cercare di carpire alcuni miei lavori, che tra l'altro erano consultabili in un gruppo di Yahoo, dai cui iscritti cercavo suggerimenti e critiche. Poi ho constatato che lo stesso Bengtson si è avvalso di qualche mia etimologia, senza nominarmi, come è tradizione nel mondo accademico.

Marco Moretti:
C'è una sola cosa in comune tra il basco e la lingua sconosciuta da me udita: entrambe hanno una distribuzione molto squilibrata dei suoni (anche se in modo del tutto diverso).

Francesco Grieco:
ma scusa Marco, i tratti somatici della donna riconducevano ad etnie slave?

Giovanni Agnoloni:
Macedone?

Marco Moretti:
Non era una lingua slava, o avrei riconosciuto molte parole. Il fatto che, come rilevato, mancavano del tutto suoni palatali è molto significativo. No, i tratti somatici non erano simili a quelli di una slava.

Marco Moretti:
Marco Moretti Se dovessi rivederla, a questo punto la fermerei di certo.

Lukha B. Kremo:
Una lingua romani?

Marco Moretti: 
In tal caso sarebbe stata un'albina. Resto comunque abbastanza scettico. Ho udito diverse varietà di romani in svariate occasioni: non di rado mi imbatto in persone di tribù ferroviarie. La sonorità è spesso abbastanza sfuggente e la fonetica è singolare. Una volta c'era sul treno una comitiva di rom valacchi e sono riuscito a distinguere alcune di parole nei loro discorsi. Avevo isolato la parola "manushka" nel discorso di una donna, facendo un'analisi di tale voce, formata da "manush", che significa "uomo" e da un suffisso "-ka" che funge da relativo.

Marco Moretti:
Forse la soluzione è particolarmente contorta e legata a casi sommamente improbabili.

domenica 22 marzo 2020

UNA LINGUA NON IDENTIFICABILE

Tornando a casa, per le vie di Seregno mi sono imbattuto in una donna che parlava senza sosta al cellulare in una lingua sconosciuta e del tutto impenetrabile. Era una persona di piccola statura e aveva i capelli biondissimi, direi che dall'aspetto sembrava proprio una giovane inglese. Un bambino procedeva davanti a lei in bicicletta, indossava un berretto rosa e aveva una faccia scialba. Più ascoltavo le parole della donna, più mi sembravano strane. Il punto è che quella non era affatto una lingua europea. Più in generale, direi che non si trattava una lingua ascrivibile ad alcun ceppo noto. La sonorità era bizzarra, a volte sembrava quasi di udire qualcosa a metà strada tra il francese e lo slavo, ma non sembrava che avesse suoni palatali. A quanto pare non aveva nemmeno una rotica. Ho distinto in modo nitido soltanto poche sillabe: la parola “bokùf” e un'uscita con un improbabile gruppo di consonanti, “-imdzki”. Tra l'altro quella sembrava essere l'unica occorrenza di una terminazione in “-ki”. A un certo punto la donna ha richiamato il figlio, che era andato troppo lontano con la bicicletta. Con mia grande sorpresa lo ha chiamato "Papi". Da dove diamine veniva quella strana bionda? Ho sentito in me un forte senso di disorientamento. Ero tentato di fermarla e di chiederle che lingua stava parlando, ma ho provato disagio e non l’ho fatto. 
 
Marco "Antares666" Moretti, marzo 2018