Saranno stati una decina. Tutti con la mascherina chirurgica e armati di spranghe. Sbucarono da Via Luciano Luberti e si avventarono contro il gruppo di anziani radunati davanti all’ufficio postale di Via Tasso. Fu un’azione fulminea, di una brutalità inaudita. Li vidi scagliarsi sui vecchi menando violentissimi colpi di spranga alla testa. Dal mio balcone, situato al quarto piano, potevo udire il suono prodotto dalle sbarre di ferro sulle scatole craniche dei pensionati. Nel giro di pochi minuti, sul marciapiede e sulla sede stradale giacevano una ventina di anziani con il cranio fracassato. Gli assalitori se ne andarono con la stessa velocità con cui erano venuti. Quando riuscii a mettermi in contatto con gli uffici della Questura, la strage si era già consumata. Scesi per strada e mi avvicinai al luogo della carneficina: lo spettacolo era terribile: sangue ovunque, materia cerebrale. Un vecchio rantolava in modo atroce, una schiuma rossastra gli usciva gorgogliando dalla bocca. Grida femminili assordanti rimbombavano dai palazzi limitrofi. Furono ben presto soverchiate dall’ululato delle sirene delle ambulanze e delle volanti che stavano sopraggiungendo a tutta velocità. Mi allontanai in tutta fretta, rifugiandomi sotto il portone, appena prima che l’area si saturasse di poliziotti e di infermieri. Appena varcata la soglia del palazzo, mi sentii chiamare per nome. Era l’inquilino dell’appartamento al pianoterra, un bevitore incallito:
“Ci ammazzano tutti! Lo ha detto la radio!”
“Detto cosa?”
“Che stanno ammazzando vecchi in tutta Italia!”.
Me ne tornai di sopra e accesi la televisione. Un’edizione speciale di Studio Aperto stava dando notizia di massacri di anziani in varie località del paese. Quindi si trattava di un piano preordinato, non di un’azione isolata.
Squillò il telefono. Era un funzionario della Questura.
“E’ lei che ha chiamato poco fa? Scenda, per cortesia, siamo sotto al suo palazzo. Porti con sé un documento di identità.”
Scesi maledicendo la sorte.
Davanti all’ingresso c’erano un paio di uomini in borghese.
“Ridolfi?”
“Sì, sono io.”
“Favorisca un documento.”
Il questurino esaminò la mia carta d’identità e la passò al collega.
“Adesso lei ci racconta tutto per filo e per segno. Dove si trovava quando si è svolto il fatto?”
“Sul balcone, stavo mettendo i rifiuti nel bidoncino che tengo lì.”
“Lei vive solo?”
“Sì.”
“E cosa ha visto, esattamente?”
“Ho dato un’occhiata giù e c’erano tutti ‘sti vecchietti davanti all’ufficio. Di solito succede quando pagano le pensioni.”
“E poi?”
“E poi ho visto una banda di tizi con le spranghe uscire di corsa da Via Luberti.”
“Me li descriva.”
“Avevano tutti le mascherine in faccia, quelle azzurre, dovevano essere giovani, data l’agilità e il colore dei capelli. Chiome grigie o bianche non ne ho viste.”
“Colore della pelle?”
“Con la pelle scura non ne ho visti.”
“Ne è sicuro?”
“Si è svolto tutto talmente in fretta che non posso dirlo con assoluta certezza ma credo proprio di sì.”
“Sono usciti da Via Luberti quindi”
“Sì, e si sono lanciati sui pensionati. Quelli sono venuti per uccidere.”
“E lei come fa a saperlo?”
“Cazzo, menavano sprangate tremende alla testa!”
“Eviti questo linguaggio e si attenga ai fatti.”
“I fatti sono davanti ai vostri occhi, distesi sul marciapiede davanti alle Poste, immobili.”
“E mentre questo avveniva lei cos’ha fatto?”
“Ho chiamato voi.”
“Non ha cercato di fermarli?”
“E come, con la fionda?”
“La diffido dal continuare su questo tono.”
“Scusi ma secondo lei cosa dovevo fare, gettarmi come Batman su quella banda di forsennati e sgominarli a mani nude?”
“Intendevo dire: non li ha invitati a desistere?”
Esterrefatto, guardai il questurino dritto negli occhi.
“Abito al quarto piano, e anche se mi fossi messo a urlare a squarciagola non mi avrebbero sentito: le grida dei pensionati presi a sprangate avrebbero coperto le mie. Ho ritenuto più utile chiamare la polizia, cioè voi.”
“Quanto è durata l’azione?”
“Cinque minuti, una cosa allucinante.”
“Perché allucinante?”
“Perché sono stati velocissimi, un’incursione micidiale.”
“E alla fine di questa ‘incursione’, come la chiama lei, cos’hanno fatto?”
“Si sono dileguati in Via Luberti. Dal mio balcone vedo solo la riga dello stop, quindi non so, poi, dove siano andati.”
“Lei è stato notato nei pressi dell’ufficio.”
“Sì, dopo che se ne sono andati sono sceso.”
“Per quale motivo?”
“Per vedere se ci fossero sopravvissuti.”
“Lei è forse un medico?”
“No.”
“E come contava di ‘vedere’, tastando il polso alle vittime?”
“No, semplicemente osservando coi miei occhi la situazione, da vicino.”
“Ha toccato qualcuno dei corpi?”
“No, nessuno.”
“Si è limitato a ‘osservare’, dunque.”
“Sì, ho osservato che c’erano corpi con la testa rotta e le cervella di fuori, e un poveraccio che rantolava. Per poco: poi ha smesso e gli occhi gli si sono rovesciati all’indietro. Quando ho sentito le sirene delle ambulanze, sono rientrato nel palazzo dove abito per evitare di creare intralcio ai soccorritori.”
“Può andare. La convocheremo per stilare la deposizione.”
Sacramentando in silenzio risalii al mio appartamento. “Mannaggia a me, potevo farmi i cazzi miei!”.
Quel giorno non combinai nulla di utile. Le immagini e i suoni della strage mi tornavano di continuo alla mente. L’edizione delle 13 di Rai News 24 esordì così: “Pogrom di anziani in tutta Italia: migliaia le vittime. Cordoglio unanime da tutte le più alte istituzioni. Ferma condanna da parte del Presidente della Repubblica: ‘Non consentiremo a una minoranza di violenti di trascinare il paese nella barbarie’.”
Si parlava di almeno trentamila morti. L’amara verità cominciava a farsi strada tra le nebbie dell’edulcorazione: i millennial stavano giustiziando gli odiatissimi veci. Su Internet circolavano le voci più disparate: i linciaggi e le esecuzioni sommarie non si contavano più. Mi imbattei in un proclama agghiacciante che così recitava:
“Voi ci avete fottuto il futuro e adesso noi fottiamo voi, vecchiacci di merda. Ci avete tolto la possibilità di avere un lavoro fisso e dignitosamente retribuito. Siete andati in pensione con quindici anni di anzianità. Avete drenato le risorse della nazione e ancora rompete il cazzo, vi lamentate e ci date dei fannulloni. Avete avuto tutto ciò che a noi viene negato: un lavoro fisso, un sistema di welfare. Vi restituiremo pan per focaccia. Quello di oggi è soltanto l’inizio, l’inizio delle pulizie di primavera!”.
Pietro Ferrari, marzo 2020