CIRRIPEDI A PERDITA D’OCCHIO
Una salsedine corrosiva offende all’improvviso le mie narici. Non è il solito vento che spira dal mare portando con sé particelle saline. Non solo è più intenso, ma ha anche qualcosa di cadaverico, un persistente sentore di smegma rancido e di feci grasse. È come se una massa immensa di materia in putrefazione pervadesse un intero oceano anossico. Non riesco a capire cosa possa essere successo, per tanto mi appare incredibile. Apro gli occhi e mi ritrovo in un mondo diverso dal mio. Per poco il cuore non si ferma nel mio petto: il cervello cerca di attivare un estremo meccanismo di protezione dal pericolo bloccando le funzioni vitali. Qualcosa di inspiegabile impedisce al mio muscolo cardiaco di estinguersi, e subito le pulsazioni riprendono all’impazzata acquistando lentamente un andamento regolare. L’orizzonte è talmente esteso che il mio sguardo vi si perde quasi fossi diventato miope come una talpa. La curvatura non euclidea mi genera vertigine come se stessi precipitando in un pozzo infinito, eppure vedo ogni cosa da una grande altezza, quasi mi fossi trasformato in un esile gigante. Una visuale si estende sotto vi me, uno spazio che potrebbe benissimo contenere un centinaio di pianeti come la Terra. In contrasto a ciò, riesco a distinguere gli oggetti al di sotto di me con incredibile precisione e a valutarne in modo micrometrico le proporzioni. Le mie gambe tremano come fuscelli. Le guardo e mi paiono semitrasparenti, fatte di gelatina. Non indosso alcun vestito, e questo fatto bizzarro di certo non mi è di aiuto a comprendere la situazione. Forse sono passato attraverso un portale dimensionale dopo quella festa al bar con gli amici, mentre mi stavo incamminando verso casa. Gli emissari del Governo ci avevano detto che dovevamo fingere di aver vinto un colossale jackpot e ci avevano passato 500 carichi per organizzare la baldoria davanti alle telecamere. Il popolo doveva continuare ad alimentare l’Erario Globale, e noi non dovevamo rivelare a nessuno l’imbroglio. Troppo rum puro, ricordo ancora il mal di testa lancinante e il dissolversi del mio campo visivo. Adesso mi succede questo. Tra le nebbie della mente turbata fa capolino un’intuizione. Come ho fatto a non pensarci prima? Certo che esiste una spiegazione più logica dell’ipotesi della singolarità spaziotemporale! Doveva esserci dell’acido nel liquore, non ci sono dubbi. Questo non è altro che un cattivo viaggio indotto da meta-LSD. Eppure, qualunque cosa possa escogitare per spiegare l’assurdo, io sono qui. Posso vedere attraverso le mie flaccide membra nude e poggio i piedi su una piattaforma simile a uno scoglio liscio e untuoso, con il rischio concreto di scivolare in queste acque pestilenziali. Mentre mi guardo attorno, mi sento rimpicciolire assieme a parte del macrocosmo. Alla fine mi attesto su una statura che valuto in una ventina di metri, fluttuando come un peduncolo. Sono stirato come l’uomo di gomma dei Fantastici 4, ma vedo le mie mani e le mie braccia delle proporzioni naturali. La materia di questo universo, o piuttosto la forma di questa allucinazione, è insolitamente densa e resiliente. In netto contrasto con la mia definizione evanescente, quasi olografica. Più in là c’è una serie di scogli frastagliati, quasi un arcipelago che si estende sulle acque fin dove giunge il potere risolutore dei miei cristallini. Ci sono incrostazioni che sembrano grossi molluschi, una lebbra rocciosa bagnata dalle onde grigie e dalla spuma venefica. Il tempo è come pietrificato, fluisce con una lentezza esasperante. Mi domando quando mi libererò dagli effetti di quella merda che mi hanno fatto prendere. Oppure finirò come Charles Freck, condannato a sentirsi accusare per l’eternità da un mostro occhiuto che gli recita senza requie una lista infinita di peccati? Già che c’erano potevano anche piantarmi una pallottola nella schiena quei maiali del Governo, almeno sarebbero stati sicuri del mio silenzio. Il ricorso ai killer di Stato non è poi così raro di questi tempi, non capisco perché non abbiano adottato questa pratica soluzione. Comincio davvero a pensare che rimarrò in questo stato di psicosi permanente, con il cervello fulminato. Non rivedrò mai più gli amici e nemmeno la mia donna, quella pazza cocainomane dalle mille perversioni sessuali. Tutto è finito, le catene della percezione alterata mi avvincono. Mentre rumino paranoie, macinando miriadi di scenari alternativi, ecco che qualcosa trema. Come milioni di martelli pneumatici in sincro. Mi guardo intorno, ma il rumore viene da dentro. È una vibrazione innaturale, che coinvolge l’essenza stessa delle cose. Il livello degli scogli si sta alzando, e anche le onde diventano violente. Lontano scorgo dei cavalloni. Ho il terrore che lo tsunami all’orizzonte mi travolgerà presto, invece ecco che si dissolve. Non riesco ad abituarmi a queste prospettive, né a farmi un senso della profondità. Man mano che gli scogli si alzano, comincio a comprendere che non sono fatti di roccia né di una qualche specie di asfalto. Mi trovo come San Brendano, sul dorso di un mostro marino, una qualche forma di cetaceo. Ma esistono animali così grandi? No, neppure nelle mie più sfrenate fantasie. Per spiegarsi questa aberrazione, bisognerebbe immaginarsi un essere vivente più grande di tutte le terre emerse della Terra messe insieme! Eppure eccolo che si alza, che traspira attraverso la cute coriacea. Le verruche si espandono, come se fiorissero tutte insieme. Diventano più grandi, vanno in erezione come falli giganteschi. L’asta che esce allo scoperto dilatandosi e inturgidendosi è screziata di bianco e di rosso, segmentata in strutture anulari che mi ricordano dei cockring sgargianti. Il glande è costituito da due valve di cozza da cui sporgono lunghi tentacoli da polpo, di un fetore infernale. Queste strutture si gonfiano ancora e sibilano oscenamente, spruzzando liquido seminale tutt’intorno. Mi destano nausea e angoscia. Osservando quella giungla fiorire mi sento un bambino sperduto in un bosco buio popolato da fiere soprannaturali. Di nuovo quella vibrazione. Questa volta è più lunga e più intensa di prima. Guardo i miei piedi e vedo che si sono fusi alla superficie sottostante. Sto diventando una specie di vegetale, un semplice parassita di questa fottuta balena! Lo sento, mi trasformerò anch’io in un leproma, in un foruncolo destinato a vegetare per l’eternità sul dorso della balena di San Brendano! In lontananza uno sbuffo si fa sentire. Un geyser, una colonna di vapore che sale fino a penetrare nel cielo incurvato. Sparisce salendo su fino alle stelle, ammesso che ci siano stelle incastonate nella volta celeste di questo inferno! Il respiro del mostro. Il suo sfiatatoio. Sulla nostra Terra, la sola onda d’urto avrebbe potuto travolgere l’intera Europa e spazzarla via. Centinaia di milioni di persone sarebbero finite nella corrente, granelli di polline che confluiscono in un gorgo fino in fondo a un tombino. Qui l’effetto non è tanto micidiale. L’acqua nebulizzata dopo la violenta ascensione si piega in un diverticolo e tutto ritorna come prima. Sono in balia di quanto mi accade intorno. Quell’eiezione di acqua ad altissima pressione può significare solo una cosa, che presto questo Leviatano si inabisserà e mi porterà con sé. Una nuova vibrazione, solo che questa volta ha qualcosa di diverso. Tutto fibrilla, i contorni stessi delle cose per qualche attimo perdono ogni definizione. Colgo l’interazione tra rumore e senso della vista: le onde sonore non possono essere pienamente distinte dal campo che conserva le forme percepibili con gli occhi. Lo sfasamento dei contorni acquista un che di musicale. La balena sta cantando! I molluschi repellenti emanano lezzi intollerabili. Mi sembra che siano state scoperchiate bare dovunque e che i cadaveri in disfacimento siano ora esposti all’olfatto dei malcapitati. I colori di quelle strutture falliche si spengono, e le masse di tentacoli che sporgono dalle valve delle conchiglie lentamente fuoriescono. Qualcosa si stacca e prende forma. Vedo che quei rigurgiti sono piccoli uccelli avvolti in una specie di saniosa placenta. Uccelli neri e deformi. Cadono tra i flutti maleodoranti, si nutrono dei resti degli organismi ormai agonizzanti che hanno dato loro la vita. Crescono a vista d’occhio. Sembrano paperi scuri coperti di morchia oleosa. Presto sono abbastanza nutriti da essere autosufficienti e si levano in volo. Il cielo stesso ne è oscurato. Mentre sciamano tra zaffate di molluschi morti, fanno precipitare una pioggia di guano dappertutto. Con mia grande sorpresa, lo sterco non mi tocca: mi passa attraverso. Ne percepisco la consistenza e il puzzo nauseabondo, ma non riesco ad interagire. Mentre medito su questa stranezza, uno stronzo mi cade sul cranio, e anziché spiaccicarsi tra i miei capelli mi attraversa il cervello, mi passa per il ventre e precipita ai miei piedi. Solo sullo scoglio si sparge seguendo una dinamica familiare. Con orrore vedo che da tutta quella merda una nuova generazione di cirripedi ancora più grandi sta fiorendo di secondo in secondo. Sono robusti e minacciosi, tanto che quelli di prima al confronto mi appaiono adesso esili e rachitici. Sulle aste martellanti di linfa crescono altre strutture ramificate, quasi frattali. Una selva prende forma, virulenta. Sento che ogni mio incubo si sta frattalizzando e che alla fine ne sarò soffocato. Devo trovare a tutti i costi una via di uscita. So per certo che quando avverrà l’immersione, per me sarà l’inizio di un inferno di gran lunga peggiore. La fuga non può in ogni caso avvenire tramite un semplice canale fisico: essendo l’intero universo che sono costretto a subire un prodotto della mia mente in preda all’allucinogeno, devo soltanto facendo leva su qualche meccanismo psicologico per farlo dissolvere e ritornare alla normale realtà di veglia. Probabilmente quando mi sveglierò avrò un gran mal di testa e non potrò recarmi al lavoro. Una disdetta, visto che ho già non poche ore di arretrato da recuperare. Maledetto Palazzo Blu! I miei superiori e le mie colleghe dovrebbero trovarsi dove sono io in questo momento, accidenti a loro! Quanto è ingiusta la Sorte, io sono costretto a lottare contro questa situazione assurda e loro neanche si accorgono che le loro esistenze sono insignificanti e meritevoli di dissoluzione. Eppure non è così facile, che io sia dannato! Questo schifo intorno a me non se ne va, per quanto io mi sforzi di riacquistare il controllo! Ecco che le carnosità priapiche sono diventate alberi grandi come piccole querce, e continuano a gettare rami che si distendono in sempre nuove infiorescenze. Non si fermano. Li vedo dappertutto, formano una fitta e delirante foresta di tentacoli che poggia sul mare in burrasca. Il vento aumenta di intensità, ed è talmente gelido da sembrarmi ben al di sotto lo zero. Mi entra nelle braccia, nel torace, nel ventre, come se io non esistessi, ma nonostante questo è in grado di ferirmi. Comincia a spazzare il paesaggio, piegando quell’obbrobrio e spezzando alcuni fusti tra i più grossi. Il rumore è violento, l’aria sembra fatta di vetriolo. Se fossi qui con una definizione del tutto simile a quella ho nello stato di veglia, di me non sarebbe rimasta neppure una manciata di atomi dispersi. Se non fosse per la sagoma spettrale che mi caratterizza, non potrei mai competere con l’atroce furia di questi elementi. Un suono mi lacera. Non lo capto con i miei nervi acustici per mezzo dei timpani, viene piuttosto da dentro. Mi accorgo di aver acquisito un senso nuovo che mi permette di convertire in onde sonore le vibrazioni che scuotono il mio labirinto. Di nuovo un sussulto, inspiegabile. Alzo gli occhi al cielo, e vedo qualcosa in coincidenza con un rumore che mi stride nel liquido cefalorachidiano. Una sagoma argentea, fatta come di mercurio, una malefica goccia cristallizzata tra le nuvole. Non ho la benché minima idea di cosa possa essere, so soltanto che mi urla qualcosa, caricandomi di alienità. La fisso, cercando di carpirne i segreti. Mi concentro sul suo nucleo, perché mi pare che non sia composto dalla stessa sostanza che ne forma le regioni periferiche. A dispetto dell’omogeneità cromatica di quello strale celeste, la regione centrale ha un luccicore le cui proprietà non posso descrivere a parole. Da quel singolo punto irradiano sensazioni che mi ricordano qualcosa che devo aver vissuto, tanto è presente in me, ma che al contempo so non essere possibile aver mai sperimentato. Una stella marina fatta di niente si staglia invisibile sul pelo della mia anima e accarezza il mio Es con i cernecchi gelatinosi di tentacoli che non possono esistere. Lo sfregio nel cielo è ancora al suo posto. Tremendo. Apertura che lascia tracimare non-cose in quello che già è un non-universo! Per una frazione di nanosecondo un sogno dimenticato mi sfiora. L’ho come preso attraverso la cruna di un ago psichico. Lo reggo, ne sono certo. Ma nel perverso gioco di questa stringa temporale, ecco che già mi è sfuggito. Appartiene al substrato, è cementato in eterno nell’Oblio, quando avrebbe potuto scorrere come una sensuale cordicella oliata fino al limite della mia autocoscienza piena di piaghe. Pur essendo fermo in questo Spazio delle Fasi, il dardo procede a velocità superiore a quella della luce, quasi infinita: è evidente che la mia percezione è difettosa. Forse è questa l’origine del suo misterioso baluginare. Ha un fare ipnotico, mi irretisce. Non riesco assolutamente a staccare gli occhi, neanche per un attimo. Tutto è una girandola, un gorgo che ruota con impressionante lentezza, inesorabile fagocitatore di istanti mal definiti. Un soave oblio mi ha preso come un pesce all’amo, impedendomi di pensare anche per un solo istante. Dimentico ogni cosa dell’oceano alieno e delle sue raccapriccianti creature, sensazione dopo sensazione, un quanto concettuale dopo l’altro, finché non mi beo del mio vuoto cerebrale. Quasi ci riesco, sto per riprendere la mia vita passata. Lo so per certo, è come se mi rendessi conto che ritornerò presto in me. Abbandonerò le curvature ipergeometriche e questo orizzonte infinito per ricevere la benedizione di una terribile emicrania causata dalla sbornia. Qualcosa di inatteso mi distoglie, un tocco impercettibile che io interpreto come un lieve spostamento d’aria. Una cosa da nulla, all’apparenza, ma sufficiente a farmi perdere la consapevolezza cristallina che mi ha sfiorato in modo tanto effimero. Ritorno di colpo a quella che è la sola realtà. Abbasso gli occhi e vedo brulicare ovunque quelle abominazioni. Adesso sono scarlatte, come coperte di sangue immortale incapace di coagularsi. Mio Dio, hanno riempito ogni spazio vuoto! Le loro valve enormi si sono dischiuse e dalle loro viscere salgono rumori raggelanti. La loro crescita non si arresta. Qualcosa mi graffia una gamba. Abbasso ancora di più lo sguardo e vedo che un rostro mi ha colpito un polpaccio. Uno di quegli stramaledetti invertebrati mi ha arpionato. Anche se non sono fatto della stessa loro sostanza, la mia ferita li nutre tutti. Tremo e avverto l’inizio della Morte Eterna. Quel liquame rosso è il mio sangue!
Marco "Antares666" Moretti
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