domenica 24 aprile 2022

I GRILLI GIALLASTRI

La casa stava cadendo a pezzi. Nella cucina illuminata da una dura luce al neon ogni cosa mi sembrava rassicurante, ma fuori si estendeva la Notte. La latrina era squallidissima, in completo sfacelo. In pratica era un loculo scavato in una massa di pietrisco friabile che minacciava ad ogni istante di crollare sugli sciagurati ospiti di quella dimora, costretti a una qualche impellenza biologica dalle insindacabili neccessità della Natura matrigna. I muri scrostati e lebbrosi, la tazza sudicia di anonimi escrementi, tutto contribuiva a darmi l’idea dell’estrema dissoluzione dell’Essere, della Mors Ontologica. A causa del diabete da cui ero tormentato fin da giovane, sono stato costretto a recarmi in quel loculo ogni ora, spinto da un’incoercibile impulso ad evacuare la mia dolorante vescica. Era ormai sera, quando ho notato per la prima volta qualcosa di decisamente inusuale. Ho visto le sagome di due grilli pallidi, di un colore malaticcio che mi ricordava quello della diarrea. Fissi sulle pareti, sembravano attendere l’Eterno in prossimità di uno squarcio aperto nell’intonaco cedevole. Quegli insetti mi osservavano tra i calcinacci e l’umidità, trasmettendomi un vivo senso di inquietudine. Le macchie brune che punteggiavano la loro insana corazza, le lunghissime antenne che vibravano sinuose seguendo i ritmi di quasar estinti, tutto contribuiva a ricordarmi l’assoluta nullità della vita umana. La nostra condizione spettrale tra le ombre di questa prigione cosmica chiamata “esistenza”, altro non è che l’effimero zampettare di quegli insetti nella desolazione. Non avrei mai potuto sottrarmi a una tale assenza di significato. A un certo punto, l’emissione del getto di orina si è fatta più penosa del solito. L’uretra infiammata, ristretta in più punti, mi rendeva sempre più difficile evacuare quel rovente distillato di miseria che le cellule del mio corpo si ostinavano a produrre, goccia dopo goccia, in ogni istante della mia dannata sopravvivenza. Qualcosa di nuovo si è prodotto in me nel corso di un battito di cuore, come per un ribaltamento di prospettive. Ricordo ancora quell’istante in cui ho avvertito una fortissima fitta di dolore in un luogo da cui mai mi sarei aspettata una simile sensibilità – essendo estraneo al mio corpo… La pugnalata mi ha lacerato proprio nell’addome di un grillo! Ecco il mio essere disorganizzarsi, disperdersi nell’ambiente a me circostante… Ho sentito i grilli come parte di me, ho avvertito la loro masticazione della polvere e della sozzura! Tutto a un tratto una parte della mia anima si è trovata nel loro addome, proprio nell’apparato digerente, in mezzo alle loro feci in formazione. Viaggiavo nel loro sistema nervoso periferico, ridotto a una serie di scosse elettriche che attraversavano quelle sinapsi residuali! Ed ecco tutta la mia concentrazione rivolgersi a una minuscola nicchia posta proprio sopra le figure pingui dei due grilli. Il ragno nerastro polverulento, abitante di quell’anfratto, non era un semplice artropode, ma la stessa Morte Essenziale che mi attirava a se, trasmettendomi dal suo pozzo di Nero Assoluto echi di galassie moribonde, di buchi neri in evaporazione. Come se fossi stato immerso in una vasca piena di azoto liquido, è avvenuta la mia transizione all’Abisso. Fuori da me stesso, nel gelo compatto, ho colto la Morte stessa come un simbolo, come uno stilema artistico sussurrato durante il sonno dalla voce di un ectoplasma. Si potrebbe dire che dallo Spazio Interiore sono passato allo Spazio Profondo, anche se di certo sono il primo a trovare inadeguato e limitante un simile modo di esprimermi. Ogni altra cosa aveva già perso qualsiasi importanza. Forse qualcuno avrà trovato il mio cadavere, crollato col volto riverso nell’acqua stagnante della tazza, ma la mia Ombra ormai si trova altrove: si estendeva oltre le apparenze allucinatorie che noi siamo soliti considerare tutto ciò che esiste. In un tempo situato nella gabbia della biologia, sarei stato rapito dalla più profonda angoscia per coloro che ho lasciato dietro di me. Adesso quelle figure sono per me del tutto irrilevanti, e non me ne preoccupo più di quanto un uomo si curi della sfuggente silhouette proiettata dal suo corpo su un muro. Le mie parole stanno giungendo a voi che ascoltate, codificate e tradotte in qualche modo, attraversando proprio il Vuoto che sta oltre l’Estinzione Termodinamica. Di certo esse appariranno semplice tremolio di delirio a tutti coloro che hanno una mente razionale, ma di certo lasceranno un segno in grado di dissolvere ogni convenzione dei sensi. Ogni perturbazione così prodotta nel cedevole tessuto della realtà finirà col lacerarlo. Parole. Fantasmi di parole. Strali solipsistici, ideogrammi mortiferi che rappresentano l’unico mezzo per esprimere il Vento Nero che sono.

Marco "Antares666" Moretti

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