Il paradosso di Fermi costituisce un problema che toglie il sonno a non poche persone, al punto che pur di risolverlo sono proposte a getto continuo nuove teorie che vanno al di là delle peggiori elucubrazioni complottiste. Mi sono persino imbattuto in questa spiegazione: l'Universo in cui viviamo sarebbe una simulazione computerizzata tipo Matrix, in cui siamo tenuti imprigionati da una specie aliena o da un'umanità futuribile. A causa della limitata potenza di calcolo delle sue macchine (riecco il solito risibile concetto kurzweiliano), solo la Terra sarebbe simulata in ogni dettaglio, mentre le regioni cosmiche ad essa vicine sarebbero simulate in modo semplificato, e le più lontane sarebbero soltanto sfondi senza spessore alcuno, in tutto simili ai villaggi Potëmkin. Non so quale teoria godrebbe di maggior plauso nell'Accademia di Lagado. L'Universo di Matrix o la farneticante idea cospirazionista della Terra Piatta?
In realtà le cose potrebbero essere ben più semplici di come le si immagina.
Le civiltà extraterrestri che non si autodistruggono prima di poter lasciare il proprio pianeta d'origine e iniziare a viaggiare nello spazio, utilizzano le comunicazioni tramite onde radio solo per un periodo molto limitato di tempo, prima di passare a forme di comunicazione più sofisticate e finora a noi non rilevabili. È ben possibile che in uno stesso tempo coesistano pochissime civiltà che usano onde radio, e talmente distanti tra loro da non essere rilevabili. I segnali radio infatti tendono a perdere coerenza a una certa distanza dalla sorgente che li emette, così con i mezzi a nostra disposizione potremmo rilevare soltanto civilltà che usano onde radio e che sono a noi sufficientemente vicine.
L'idea che una civiltà extraterrestre debba necessariamente inviare segnali nello spazio allo scopo di contattare altre forme di vita è dovuta a un ingenuo antropocentrismo. Soltanto il buonismo melenso che infesta l'Occidente dalla fine dell'ultima guerra mondiale ha potuto portare a una trovata tanto idiota come questa. Ha giocato molto quel ricettacolo di imbecillità che è il film di Spielberg, E.T., un film uterino, umorale e studiato per far secernere agli spettatori flussi di prolattina. Lo stesso Carl Sagan, già sconvolto dalle avances subite da un delfino maschio in una piscina, ne fu stregato. Detto questo, è tuttavia ben possibile che non ci siano in un raggio di molte migliaia di anni luce civiltà tanto idiote come quella americana.
Abbiamo tuttavia ragione di essere molto pessimisti sulla possibilità che una civiltà extraterrestre possa arrivare a liberare il potere dell'atomo e a governarlo tanto bene da poter lasciare il proprio pianeta ed espandersi nello spazio esterno. In altre parole, tutte le civiltà tecnologiche sarebbero effimere e arriverebbero al collasso nel giro di pochi secoli a causa delle immense criticità provocate dal loro stesso sviluppo. Le stime dell'equazione di Drake, che valutano la durata media di una civiltà tecnologica nell'ordine di 10.000 anni, sono completamente assurde. Anche se non disponiamo di dati sperimentali, possiamo comunque fare qualche considerazione e giungere a conclusioni che non lasciano un grande spazio a futili speranze. Nell'epoca del Positivismo era diffusa la credenza secondo cui l'etica debba per necessità andare di pari passo col progresso tecnologico, tanto che si pensava che una civiltà progredita non potesse compiere atti mostruosi. Basta dare un'occhiata alla storia del XX secolo e agli eventi dei nostri giorni per rendersi conto di come una simile idea sia di una stupidità davvero incredibile. Di certo mi sentirei più a mio agio su un pianeta abitato da tribù paleolitiche simili ai Tasmaniani o agli Alakaluf che in un regime teocratico capace di costruire centrali termonucleari.
Così come le leggi della fisica sono le stesse ovunque in questo universo, si può immaginare che la biologia, dovunque abbia la possibilità di allignare, si presenti con caratteristiche del tutto simili a quelle che ben conosciamo, essendo dovunque lo stesso il materiale su cui si fonda la replicazione di codici atti a contenere informazioni. In sostanza non esistono migliaia di alternative, ma una sola strada percorribile. Così possiamo immaginare che ovunque vi siano organismi pluricellulari, la riproduzione sia sessuata e fondata sull'accoppiamento. Ciò genera ovunque competizione e aggressività. Così il gene economo o un suo equivalente sarà pure presente ovunque, perché in ogni luogo la vita dovrà combattere contro mille avversità per garantirsi il sostentamento. Da questa istruzione nascono l'avidità, la bramosia, la smania di possedere risorse, la tenzenza all'espansione a detrimento di altri. Così si pongono le basi per la devastazione su scala planetaria. Qualsiasi forma di vita aliena sarà del tutto simile alle forme di vita terrestre: stesse pulsioni, stessi comportamenti. Di più, qualsiasi forma di vita aliena intelligente sarà ontologicamente affine al bipede implume e ovunque si comporterà nello stesso identico modo, esaurendo le risorse, riproducendosi a dismisura. Non appena si manifesta l'intelletto, là si manifestano schiavitù, guerra e distruzione su vasta scala. L'esito scontato di tutte le civiltà su tutti i mondi in cui sono comparse dall'alba dei tempi, sarà uno solo: l'annientamento.
In sintesi:
1) Non tutti i pianeti terrestri sviluppano la vita
2) Non tutti i pianeti terrestri che sviluppano la vita arrivano a organismi pluricellulari
3) Non tutti i pianeti terrestri che sviluppano organismi pluricellulari arrivano a produrre vita animale
4) Non tutti i pianeti terrestri che sviluppano vita animale arrivano a produrre intelligenza
5) Non tutti i pianeti terrestri che producono intelligenza arrivano a produrre una civiltà tecnologica
6) La vita delle civiltà tecnologiche è incredibilmente breve.
2) Non tutti i pianeti terrestri che sviluppano la vita arrivano a organismi pluricellulari
3) Non tutti i pianeti terrestri che sviluppano organismi pluricellulari arrivano a produrre vita animale
4) Non tutti i pianeti terrestri che sviluppano vita animale arrivano a produrre intelligenza
5) Non tutti i pianeti terrestri che producono intelligenza arrivano a produrre una civiltà tecnologica
6) La vita delle civiltà tecnologiche è incredibilmente breve.
Quanti pianeti terrestri sviluppano davvero la vita? Non è certo incoraggiante un recente studio di Erik Zackrisson di Uppsala pubblicato su The Astrophysical Journal, che basandosi su un modello è arrivato a una conclusione che ha dell'incredibile: su 700 milioni di trilioni di pianeti di tipo terrestre che si stimano presenti nell'Universo conosciuto, non ce ne sarebbe nessuno davvero simile alla Terra.
Questi sono i link a due articoli divulgativi sull'argomenti, che invito tutti a leggere:
Questo è il link che permette la consultazione e lo scaricamento in formato .pdf del documento originale di Zackrisson, completo di formulazione matematica:
L'articolo si presta a non poche critiche. Innanzitutto quanto dedotto non viola in alcun modo il Principio Copernicano: se la Via Lattea è una galassia abbastanza anomala, dal punto di vista geografico continua a non esserci nulla di speciale nel nostro sistema solare all'interno di tale struttura cosmica. Certo, è una galassia relativamente tranquilla e priva di un nucleo attivo, di spaventosi flussi di raggi cosmici in grado di sterilizzare milioni di mondi, tuttavia è soltanto pulviscolo nel pulviscolo. Già qualche gonzo grida al miracolismo e cerca di riproporre la favola dell'Uomo metro e misura di tutte le cose, del Principio Antropico come fine ultimo dell'Esistenza. Non ci potrebbero essere sentenze più stolte. Se le conclusioni dello studio venissero confermate, salterebbe subito all'occhio la stridente irrilevanza della vita sulla Terra, la nullità sostanziale di questo fenomeno assolutamente microscopico, con ogni probabilità accidentale, che non può in nessun modo essere ritenuto lo scopo di un Universo sterile e di una vastità atroce. Max Tegmark del Massachusets sostiene che la supposta violazione del Principio Copernicano sarebbe dovuta più che altro alla giovane età della Terra. A suo dire, il nostro pianeta sarebbe tra i primi mondi abitabili nell'Universo. La sua teoria mi lascia perplesso. Se i sistemi plantetari più antichi si sono formati in un'epoca in cui gli unici elementi abbondanti erano l'idrogeno e l'elio, col passare del tempo si è giunti a mondi ricchi di elementi più pesanti, tra cui quelli indispensabili alla vita. Immagino che col passar dei miliardi di anni, questa abbondanza di elementi pesanti crescerà ancora, finché avremo pianeti molto diversi da quelli che si sono formati finora. Come sarebbero pianeti sovrabbondanti di elementi pesanti, ricchissimi di metalli e poveri di materiali leggeri? Siamo proprio sicuri che potrebbero essere una valida culla per la biologia? Se noi abbiamo ragione di credere che si stia esaurendo l'età dell'oro della produzione di mondi atti a ospitare la vita, vediamo la sua conseguenza più ovvia: siamo tra le ultime civiltà a perdurare in un cosmo sempre più simile a un immenso cimitero, a un luogo benedetto dove finalmente regnerà la Pace Eterna.
Esiste tuttavia un'altra possibilità. Il nostro sistema solare: una collezione di oggetti del tutto incongrua nell'Universo. Un po' come un orologio in un immenso deserto. La conclusione possibile è una sola: si tratta di un sistema planetario artificiale. Un'altra civiltà deve esistere, ma deve aver avuto origine in una qualche orrenda superterra e ha ottimi motivi per non comunicare con le proprie creature, non diverse da cavie in un laboratorio di vivisezione. In altre parole non è Matrix il film che meglio descrive la realtà delle cose, ma Prometheus.