venerdì 20 maggio 2016


THANATOMORPHOSE

Titolo orginale: Thanatomorphose
Regia: Éric Falardeau
Anno: 2012
Soggetto: Éric Falardeau
Montaggio: Benoît Lemire
Fotografia: Benoît Lemire
Produzione: ThanatoFilms, Black Flag Pictures
Distribuzione: Bounty Films
Durata: 100 min
Paese: Canada
Lingua: Inglese
Genere: Horror, Gore
Personaggi e interpreti:
    Kayden Rose: Laura
    David Tousignant: Antoine
    Émile Beaudry: Julian
    Karine Picardas: Anne
    Roch-Denis Gagnon: Stephan
    Eryka Cantieri: Marie
    Pat Lemaire
    Simon Laperrière
Premi: 
 Best Movie Award, XXX Festival de Cine de Terror de Molins de Rei (2012)
 Best Special Effects Award, A Night of Horror International Film Festival (2012)
 Best Film, Best Director, Best Actress, Most Repulsive Flick Awards, Housecore Horror Film Festival (2013)
 Best Horror Film, The Phillip K. Dick Film Festival (2013)
 Best Special Effects Award, Horrorant Film Festival 'FRIGHT NIGHTS' (2014)

Trama:
Laura vive una vita squallida e vuota, imprigionata in una relazione con un energumeno che la sottopone ad abusi. Le sue velleità artistiche sono frustrate dal mondo e lei ha la chiara sensazione di non arrivare da nessuna parte: ogni sentiero che ha intrapreso ha portato al nulla. Per sfuggire a un simile vuoto, trova scampo in un mondo di masturbazioni solitarie. A un certo punto, dopo una notte di sesso rude e violento, si ritrova con un livido su un braccio. Non dà peso alla cosa, sapendo che il suo compagno ha i modi di una scimmia. L'ecchimosi tuttavia non si riassorbe, ma anzi si estende a tutto il corpo, e presto diventa evidente ciò che sta accadendo: i processi di decomposizione che avvengono nei cadaveri stanno prendendo possesso del suo corpo vivo, riducendolo a qualcosa di molto simile a un morto vivente!  

Recensione: 
Ritenuto simile a Contracted, in realtà è qualcosa di molto diverso. Il film non ci dice quale sia la causa della malattia di Laura, che la fa marcire: non è affatto evidente che possa trattarsi di un contagio sessuale. La vicenda appare surreale e isolata dalla realtà circostante: la donna, presa da questo processo di decomposizione, non pensa nemmeno di uscire, di rivolgersi a un medico. Non c'è alcuna resistenza da parte sua allo stato in cui viene a trovarsi. Anzi, si chiude in se stessa, trasforma la sua dimora in un sepolcro, pensa di conservare i pezzi caduti del suo corpo facendone una cronistoria fotografica. A questo punto non è più la sua volontà a muoverla, ma il Principio stesso della Morte. Una potente metafora della condizione umana come dannazione, in cui il corpo è il macigno di Sisifo.

La Gilda dei Violinisti Funerari

Parte della colonna sonora del film si fonda sulla musica sublime e struggente della Guild of Funerary Violinists (Gilda dei Violinisti Funerari). La tradizione del violino funebre fiorita nei secoli XVII e XVIII, sarebbe stata ripristinata da questo valente gruppo, guidato da Rohan Kriwaczek. Il condizionale purtroppo è d'obbligo, perché a quanto pare siamo di fronte a un meme di grande complessità, a un'ingegnosa invenzione dello stesso Kriwaczek. Certo, al suo genio si perdona l'aver fabbricato dal nulla una storia tanto affascinante, che ci dispiace possa non essere vera. Tutto era così perfetto e convincente. L'arte dei violinisti funerari sarebbe nata nell'ambito della Riforma Protestante, dalla necessità di riempire il vuoto lasciato dalla rimozione della pratica dell'intercessione. Non è forse quello che Manzoni avrebbe chiamato "vero poetico"?

Il rumore bianco di Thanatos

In netta contrapposizione alla bellezza estrema dei suoni dei violinisti, c'è la musica electro-house che mima il rumore di fondo di galassie in sfacelo, il rantolo agonico dell'Universo morente. Immagini agghiaccianti folgorano i nervi ottici dello spettatore, mandandoli in sovraccarico. Sotto la luce incandescente di un Sole della Morte, una letale stella al neon, scorrono le sequenze della decomposizione della carogna di un canide, la carne grigia in putrefazione umida, zeppa di percolati, fradicia dimora di grasse larve che strisciano tra i tessuti necrotici. Sembra di sentire l'odore ammorbante diffondersi nell'aria secca, crepitante di disperazione assoluta. Non ci sono dubbi: questo è puro Connettivismo!   

Immagini termografiche

Corpi che si compenetrano violando le stesse leggi della fisica macroscopica, come se fossero fatti di colla gluonica, come se fossero fluidi subnucleari in vorticoso movimento. Perdono la loro identità in un campo termico di colori abbacinanti, le membra che si fondono nella vertigine. Vomito quantistico.

Fluidi corporei

Esistono vari tipi di energumeni. Se il compagno di Laura ha una sessualità tutta incentrata sulla penetrazione e sul possesso, un suo amico, che la concupisce da tempo, ha un diverso modo di vedere le cose. Così quando la trova sola e già piena di lividi, accade che lei si inginocchia davanti a lui e gli esegue un atto che il suo uomo non le permette: una fellatio. Ovviamente lei è inquadrata di spalle, mentre lui le posa le mani sulla testa, guidandola nella suzione. L'uomo ha un orgasmo incredibilmente forte, come mostrano le sue smorfie e i suoi rantoli. Quando gli ultimi riverberi di piacere si estinguono nel suo fallo, lei si ritrae e sputa una gran quantità di liquido seminale, che finirà presto aggredito dai cagnotti. È una delle poche occasioni in cui viene mostrato lo sperma in un film non hard core

Piaceri solitari

La Porta dell'Inferno, l'orifizio femminile che attrae l'idolatria degli uomini-bestia, è come una ferita che si staglia in un cielo del colore del morbo. La si vede ogni volta che Laura si procura l'orgasmo carezzandosi tra le gambe. Il processo di dissoluzione dei tessuti avanza, fino a divorare ogni parvenza di struttura biologica organizzata. L'ultima volta che la donna si masturba, dal suo ventre esce un flusso di sangue nero che si confonde col percolato cadaverico.   

Un'intervista a Éric Falardeau

Sul sito www.darkveins.com è stata pubblicata un'intervista al regista del film, per leggerla basta seguire questo link:


Reazioni nel Web:
Come già per Contracted, si segnala l'intervento di un troll pestilenziale, il cui scopo evidente è colpire sul nascere qualsiasi tentativo di presentare il corpo e la sessualità come qualcosa di negativo. È davvero un peccato che il suo sito deleterio sia così quotato da comparire al primo posto quando si cerca in Google il titolo del film. Del resto è chiaro che i contenuti sgraditi al Re del Mondo possono soltanto essere ostacolati con tutti i mezzi, anche con quelli più subdoli.

martedì 17 maggio 2016

IL MISTERO DI SAEGANOR


Nella discussione della voce "Anton LaVey" su Wikipedia compare tuttora il mio intervento, dal titolo Saeganor, che risale al 31 luglio 2011. Lo riporto in questa sede, abbreviando per comodità i link che vi sono inclusi: 

La stessa frase inserita in questa sede a proposito del nome Saeganor compare in tutto il Web, ripetuta a pappagallo. "Un noto soprannome di LaVey era Saeganor, personaggio di un libro medievale, di una setta anticattolica". Quale libro? Quale setta? Non se ne fa menzione da nessuna parte, né in rete né altrove. Con ogni probabilità perché non esiste l'uno e non esiste l'altra. E quello che più stupisce è la sua presenza soltanto in siti in lingua italiana. A quanto pare l'informazione è una bufala e Saeganor è un nick collegato a qualche gioco di ruolo. Guardate cosa ritorna Google digitando "Saeganor":


E questo è quello che ritorna Yahoo:


Nel frattempo ogni menzione al nick fittizio Saeganor è stata giustamente rimossa dai Wikipediani - che non mi hanno nemmeno menzionato per aver smascherato l'informazione farlocca, ça va sans dire. Riflettendo su questo assurdo pacchetto memetico, mi chiedo come sia possibile che in tutto il Web nessun navigatore a parte me si sia posto domande sull'origine del fantomatico Saeganor. Da che lingua proverrebbe mai? Non è un nome latino, né greco, né germanico, né celtico, né basco e neppure ebraico. Non ha nulla a che fare con qualsiasi lingua parlata in Europa in epoca medievale. Che non sia greco né ebraico lo potrebbe capire anche una persona del tutto ignara di quelle lingue: nel Medioevo la conoscenza del greco era come un libro chiuso e quella dell'ebraico non era facilmente accessibile a chi non appartenesse a una comunità ebraica. Dante Alighieri, che fu tra i massimi sapienti della sua epoca, non poté mai apprendere il greco e nemmeno l'ebraico, pur avendone lo struggente desiderio.

Appurato che Saeganor non si spiega con una lingua naturale, possiamo cercare tra le lingue artificiali. In particolare, azzardiamo un parallelismo con la lingua enochiana. In enochiano SAGA significa "uno, intero", e NOR significa "figlio". Così avremmo SAGANOR col significato di Figlio Unico. Allo stesso modo abbiamo SAGACOR "in un numero", da SAGA e da CORMF "numero". In ogni caso sarebbe un anacronismo, dato che la lingua enochiana appare per la prima volta negli scritti di John Dee (1527-1608) e di Edward Kelley (1555-1597): non si può attribuirla a un uomo vissuto nel Medioevo, a meno che un giorno non si riesca a dimostrare che i due esoteristi hanno utilizzato materiale preesistente. Molte sono le discussioni sulla natura dell'idioma esoterico, che funziona in modo molto diverso dalle lingue delle genti, tanto che per molti meglio sarebbe assegnarlo al novero delle glossolalie. Che io sappia è anzi la più complessa e articolata conlang di origine glossolalica finora documentata. Avremo modo di parlarne diffusamente in altre occasioni.

Da dove proviene dunque la leggenda di LaVey-Saeganor? Dalla fantasia di un moderno, è ovvio. Forse un esoterista con vaghe reminiscenze di enochiano ha riportato SAGA "uno" con la grafia errata *SAEGA e ha coniato l'epiteto del fondatore della Chiesa di Satana.

Se qualcuno fosse in grado di smentirmi e di fornire una documentazione attendibile del fatto che LaVey si attribuisse il soprannome Saeganor o Saganor lo sfido a riportarla in un commento a questo post. Sono tuttavia certo che ciò non accadrà mai.

giovedì 12 maggio 2016

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: MACELLINO, SOPRANNOME DELL'IMPERATORE MACRINO

Pochi al giorno d'oggi ricordano l'esistenza dell'Imperatore Macrino. In fondo, qualcuno dirà, regnò soltanto per un anno e due mesi. Anche se il regno di un Augusto durava soltanto quattordici mesi, è ben vero che potevano essere mesi molto lunghi. Questo è quanto si trova in Rete, dal Romuleon di Benvenuto da Imola (XIV secolo, tradotto in volgare e pubblicato nel XIX secolo):

Macrino fu superbo e sanguinario, e uomo che volle per forza di genti d'armi imperare; e perciò, nondimeno, pose in croce molti de' cavalieri, e con servili tormenti sempre gli afflisse. Lungo sarebbe a narrare tutte le crudeltadi di Macrino; nondimeno una, nonne udita, ne voglio ponere: cioè, che essendo accusati a lui due cavalieri, che commettevano adulterio con l'ancilla dell'albergatore loro, Macrino, avuta la loro confessione, fece aprire due buoi di maravigliosa grandezza, e comandoe che l'uno cavaliere fosse esso dentro nell'uno, e l'altro cavaliere nello altro, insino alla gola, tanto che solo li capi loro stessono fuori, e faceva dare loro mangiare e bere; onde li loro corpi per tanto miserevole generazione di pena infracidirono e morirono. Faceva ancora Macrino congugnere e legare li corpi de' vivi con li corpi de' morti; e ancora li vivi intra li muri fece chiudere e murare. Li adulteri sempre li fece ardere insieme con le donne adultere. Macrino fu tanto crudele in tutti, che li servi suoi non solo chiamavano Macrino, ma Macellino. Cupidissimo fu di cibo e di vino, insino a inebriarsi. 

Mi rendo conto che la traduzione è in un italiano un po' demodé e che potrebbe essere ardua ai lettori più giovani, che nelle scuole parlano a monosillabi, necessitando di apprendere la parafrasi di autori moderni e deleteri come Alberoni. L'accaduto potrebbe essere riassunto da un moderno in questi termini:

Macrino ha fatto tagliare la testa a due buoi. Poi ha messo dentro a questi buoi due fighi strafighi che avevano scopato con una tipa, una Valentina Nappi dell'epoca. Loro cagavano e pisciavano nei buoi, perché gli davano da mangiare e da bere. Poi, quando i buoi si sono riempiti di merda e di piscia, i due ganzi sono marciti e sono morti. Le donne che facevano le corna, Macrino le faceva bruciare vive con i loro ganzi. Mangiava come un porco e beveva vino fino a sballarsi. 

Il testo del Romuleon è a sua volta il riassunto di un testo latino del III secolo, la Historia Augusta, che riporta per esteso i fatti. I capitoli relativi alle crudeltà di Macrino sono questi

 12
1 Fuit igitur superbus et sanguinarius et volens militariter imperare, incusans quin etiam superiorum temporum disciplinam ac solum Severum prae ceteris laudans. 2 nam et in crucem milites tulit et servilibus suppliciis semper adfecit et, cum seditiones militares pateretur, milites saepius decimavit, aliquando etiam centesimavit, quod verbum proprium ipsius est, cum se clementem diceret, quando eos centesimaret qui digni essent decimatione atque vicensimatione. 3 longum est eius crudelitates omnes aperire, attamen unam ostendam non magnam, ut ipse credebat, sed omnibus tyrannicis inmanitatibus tristiorem. 4 cum quidam milites ancillam hospitis iam diu pravi pudoris adfectassent, idque per quendam frumentarium ille didicisset, 5 adduci eos iussit interrogavitque utrum esset factum. quod cum constitisset, duos boves mirae magnitudinis vivos subito aperiri iussit atque his singulos milites inseri capitibus, ut secum conloqui possent, exsertis; itaque poena hos adfecit, cum ne adulteris quidem talia apud maiores vel sui temporis essent constituta supplicia. 6 pugnavit tamen et contra Parthos et contra Armenios et contra Arabas, quos Eudaemones vocant, non minus fortiter quam feliciter. 

7 Tribunum, qui excubias deseri passus est, carpento rotali subteradnexum per totum iter vivum atque exanimum traxit. 8 reddidit etiam Mezentii supplicium, quo ille vivos mortuis inligabat et ad mortem cogebat longa tabe confectos. 9 unde etiam in Circo, cum favor publicus in Diadumenum se proseruisset, adclamatum: 

"Egregius forma iuvenis,
"cui pater haud Mezentius esset." 

10 vivos etiam homines parietibus inclusit et struxit. adulterii reos semper vivos simul incendit iunctis corporibus. servos qui dominis fugissent reppertos ad gladium ludi deputavit. 11 delatores, si non probarent, capite adfecit, si probarent, delato pecuniae praemio infames dimisit. 

  13
1 Fuit in iure non incallidus, adeo ut statuisset omnia rescripta veterum principum tollere, ut iure non rescriptis ageretur, nefas esse dicens leges videri Commodi et Caracalli et hominum imperitorum voluntates, cum Traianus numquam libellis responderit, ne ad alias causas facta praeferrentur quae ad gratiam composita viderentur. 

2 In annonis tribuendis largissimus fuit, in auro parcissimus, 3 in verberandis vero aulicis tam impius, tam pertinax, tam asper, ut servi illum sui non Macrinum dicerent, sed Macellinum, quod macelli specie domus eius cruentaretur sanguine vernularum. 4 vini cibique avidissimus, nonnumquam usque ad ebrietatem, sed vespertinis horis. nam si prandisset vel privatim parcissimus, in cena effusissimus. 5 adhibuit convivio litteratos, ut loquens de studiis liberalibus necessario abstemius.

Quello che a noi importa è un dettaglio che non riscuoterà l'interesse delle scolaresche: il fatto che Macrino fosse soprannominato Macellino, ossia Macellinus. Giuseppe Guatteri, che rese in italiano il Romuleon, mise una nota a questo Macellino, traducendolo erroneamente come martellino (da latino marculus, marcellus, diminutivi di marcus "martello"). L'errore è reso evidente leggendo nella Historia Augusta il vero motivo del nomignolo: "Perché la sua casa era insanguinata come un macello dal sangue dei suoi servi". A questo punto dobbiamo notare che se la parola macellum (che in greco è giunta come μάκελλον, μάκελλος, etc.) avesse avuto un suono palatale ab aeterno, come sostenuto dai nostri avversari, non sarebbe stato formato un soprannome Macellinus a partire da Macrinus, ché non ci sarebbe stata tra le due forme alcuna assonanza.

La stronzata di Plauto che avrebbe fatto un gioco di parole tra socius e Sosia, già evidenziata come possibile umbrismo e confutata da un suo gioco di parole tra arcem e arcam, è fatta a pezzi e gettata nella discarica dal buon Macrino, dei cui sistemi di governo si sente tanta mancanza in questi tempi scellerati. 

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: -G- PER -H- IN ALCUNI PARADIGMI VERBALI

Grandgent riporta quanto segue nel suo manuale Introduzione allo studio del latino volgare:

417. I verbi struĕre, trahĕre, vehĕre si foggiarono le forme infinitive *strúgere, trágere, végere (tragere e vegere sono usate da Fredegario, Haag, 34) e un'intera flessione del presente e dell'imperfetto con -g-, come *trago, *tragam, *tragēbam. La gutturale derivò dal perfetto indicativo e dal participio perfetto - struxi structus, traxi tractus, vexi vectus - sull'analogia di ago actus, figo fixi, lego lectus, rego rectus, tego tectus, e anche fingo finxi fictus, tango tactus, e probabilmente cingo cinxi cinctus, jungo junxi junctus, pango panxi panctus, plango planxi planctus, ungo unxi unctus, ecc. Si può supporre siano esistiti anche *strúcere, *trácere, *vécere, fondati sull'analogia di dico dixi dictus, duco duxi ductus.
Cfr. Substrate, VI, 131. 

Come possiamo vedere, l'accademico attribuisce queste strane forme con -g- intervocalica all'azione dell'analogia. Una spiegazione che tuttavia non sembra del tutto convincente. Vediamo che due dei verbi in questione, trahere, vehere (quelli che hanno -h-), derivano da forme antiche con una consonante aspirata sonora -*gh-, come ben dimostrato dai loro paralleli in altre lingue indoeuropee.

Per la radice *weg'h- ci sono numerosissimi derivati, dato che è una delle radici indoeuropee più antiche, note e testimoniate, presente tanto in Occidente quanto in Oriente.

Per *trag(')h- si hanno queste forme celtiche:
     gallico *trageds "piede", gen. *tragetos  
         neogallico (Glossario di Vienne) treide "piede"
          < *tragete(s)1
     antico irlandese traig "piede" (< *tragets), gen.
          traiged
(< *tragetos)
     gallese traed "piedi" (< du. *tragete, pl.
          *tragetes)
     gallico *vertragos "(cane) dalla zampa veloce",
         preso a prestito in latino come vertragus,
         donde italiano antico veltro.
     gallico *trogion "sentiero", che ha dato esiti
         romanzi.
     antico irlandese tráig "bassa marea" < *tra:gi-;
     antico irlandese tethraig "egli fuggì" < *tetrage


1La forma duale o quella plurale sono passate a indicare il singolare.

Da una variante *dhrag(')h- derivano le forme germaniche, come il norreno draga. La provenienza ultima della radice è sconosciuta.

L'esito di questa consonante antica tendeva a sparire, tanto che ci viene detto dai grammatici che traho si pronunciava trao.

In struo non si trova traccia dell'antica -h- neanche nell'ortografia, e dall'etimologia risulta che la forma originaria fosse invece *strew-, *strow-, senza alcuna -*gh-. È tuttavia possibile che in epoca più antica ci fosse un suono aspirato di altra natura, come ipotizzato dalla teoria delle laringali, e che il suo scontro con suffissi consonantici abbia generato le forme struxi, structum e derivati (es. structura). 

Secondo i sostenitori della pronuncia ecclesiastica ab aeterno, le forme con -g- che alcune lingue romanze presuppongono, avrebbero dovuto sempre avere forme palatali davanti a desinenze in -e- e in -i-. Ovviamente i nostri avversari non possono spiegare come forme tanto lontane da quelle corrette si siano potute formare senza destare ripugnanza all'orecchio dei parlanti. Dovremmo ad esempio postulare /*'tradʒit/ per /'tra(h)it/, cosa del tutto insostanziale.

Invece è ben possibile che nell'epoca in cui l'antico suono indeoeuropeo era diventato una fricativa ɣ sonora, prima che diventasse una sorda h e quindi finisse col dileguarsi, alcuni parlanti lo abbiano riprodotto in modo difettoso come g, finendo col dare origine ai paradigmi volgari di cui parla Grandgent per vehere e trahere. Se così fosse, si potrebbe parlare di analogia soltanto in struere, in cui la consonante sarebbe stata aggiunta per ipercorrettismo. Queste forme devianti si sarebbero conservate come brace sotto la cenere, finendo poi col riemergere in epoca successiva, quando l'autorità dei grammatici e della scuola si era molto affievolita a causa del generale declino dell'Impero.

domenica 8 maggio 2016

PROVE ESTERNE E INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LA TRASCRIZIONE DI ANTROPONIMI E TOPONIMI CELTICI

La lingua latina degli autori classici usava la propria ortografia per trascrivere antroponimi e toponimi della lingua dei Celti, sia continentali che insulari, senza dover ricorrere a particolari convenzioni. Così se si prende l'opera di Giulio Cesare sulla conquista della Gallia Transalpina, troviamo nomi propri di persona e nomi di luogo con le lettere C e G davanti a vocale anteriore I e E. Sappiamo che in nessuna lingua celtica esistevano i suoni postalveolari /tʃ/ e /dʒ/ tipici della pronuncia ecclesiastica del latino. Se tali suoni fossero esistiti, e fossero state in auge pronunce come /'tʃena/, /'tʃelus/ e /'dʒenus/, lo stesso Giulio Cesare, nell'atto di scrivere i Commentarii de bello Gallico, avrebbe trovato il modo di esprimere i suoni occlusivi della lingua celtica davanti alle vocali anteriori /i/ e /o/ facendo ricorso a qualche artificio, per far sì che un lettore ignaro della retta pronuncia di quei nomi non errasse. Per esempio, avrebbe ben potuto esprimere /k/ davanti a vocale anteriore usando il digramma CH, che era già in uso per trascrivere lemmi greci, oppure resuscitando l'uso della lettera K, che ai suoi tempi si trovava soltanto in poche parole come Kalendae. Invece nulla di tutto ciò è mai accaduto.

Prendiamo ad esempio il nome del famosissimo condottiero Vercingetorige, cui la pronuncia della scuola attribuisce per tradizione un suono che i Galli avrebbero reputato assolutamente irreale e bizzarro.

Vercingetorix in lingua gallica era pronunciato /wɛrkiŋ'gɛtɔri:ks/.
Il suo genitivo era *Vercingetorigos /wɛrkiŋgɛ'tɔri:gɔs/.
Il suo dativo era *Vercingetorigi /wɛrkiŋgɛ'tɔri:gi:/.
Il suo accusativo era *Vercingetorigan /wɛrkiŋgɛ'tɔri:gan/


Una declinazione molto simile a quella del latino, lingua a cui somigliava tanto che potremmo quasi definirle "lingue sorelle". La morfologia dei sostantivi è attestata nelle iscrizioni galliche, e mostra una perfetta consonanza con quanto si è ricostruito a partire dall'antico irlandese, quindi la flessione da me riportata non è frutto di fantasia, ma un dato di fatto. 

Corrispondenze britanniche:

gallese gor "sopra" < *wer = lat. super, gr. ὑπέρ
     < IE *(s)uper-
gallese rhi "re" < *ri:ks = lat. re:x
gallese rhiain "vergine" < *ri:gani: "regina" 


La -g- intervocalica ha subìto lenizione ed è caduta: non è riportata nella scrittura già nella fase dell'antico gallese.

Corrispondenze iberniche:

antico irlandese for "sopra" < *wer = lat. super,
     gr. ὑπέρ < IE *(s)uper-
antico irlandese cing /kji
ŋgj/ "guerriero" < *kingets
  gen. s. cinged /kji
ŋgjeð/ "del guerriero"
      < *kingetos
 
nom. pl. cingaid /k
jiŋgj/ "guerrieri" < *kingetes
  dat. pl. cingedib
/kjiŋgjeðjj/ "ai guerrieri"
      < *kingetobi
antico irlandese rí /r
ji:/ "re" < *ri:ks 
  gen. s. ríg /r
ji:ɣ/ "del re" < *ri:gos
  nom. pl. ríg /r
ji:ɣj/ "re" < *ri:ges  
  dat. pl. rígaib /
'rji:ɣj/ "ai re" < *ri:gobi

Si può vedere che le forme attestate delle lingue celtiche insulari si sono sviluppate da una lingua molto affine a quella parlata nelle Gallie. I mutamenti fonetici tipici, come la formazione di una approssimante palatale in antico irlandese, si sono sviluppati durante i primi secoli dell'età medievale. 

Nelle iscrizioni in lingua gallica e in caratteri latini, lo stesso uso di Cesare è valido: non si ha nessuna traccia di particolari convenzioni grafiche, diverse da quelle in uso nella lingua latina, relative alle lettere C e G davanti a vocale anteriore. L'ortografia gallica è in generale simile a quella latina, ma si riesce comunque a capire quando si trova in difficoltà nell'esprimere suoni non tipici della lingua di Roma. Esiste infatti un carattere speciale, che è chiamato "tau gallicum" ed è derivato dalla lettera greca theta. Questo è usato per trascrivere una fricativa interdentale sorda (secondo alcuni un'affricata dentale sorda). Presenta diverse varianti, in genere assume la forma -đđ- o -θθ-, ma può anche essere reso con il gruppo -ds- o con -ss-. Si trova regolarmente per trascrivere l'esito dell'antico gruppo /st/ ereditato dall'indoeuropeo.

PROVE ESTERNE E INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LA TRASCRIZIONE DELL'ARAMAICO KEFA

Ricordo ancora quando Jacopo D., figlio del più noto pittore Valentino D., mi parlò dell'Apostolo Pietro, dicendo che era soprannominato Cefa e aggiungendo che tale nomignolo significa Pietra. Secondo Jacopo, Pietro doveva tale denominazione al fatto di essere duro di comprendonio, piuttosto che per via delle parole di Gesù: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa" (Mt 16:18-19).
Jacopo aveva pronunciato Cefa come le due sillabe iniziali della parola "cefalo", ossia /'tʃefa/, con un suono palatale. Lì per lì non pensai più al discorso pseudognostico del compagno di sventure universitarie, ma mi curai di mettere l'informazione in un banco di memoria nelle profondità del mio archivio neuronico. Un banco di memoria che presto divenne stagnante. La bizzarra pronuncia di Cefa venne fuori un paio di volte in seguito.

Quando ero impegnato con la tesi mi rilassavo studiando l'ebraico. Nel dizionario di Ben Yehuda, che usavo per verificare i lemmi appresi e per approfondirne altri, mi sono imbattuto per caso nella parola כף kēph /ke:φ/ "pietra", ma anche "roccia cava". Capii in un lampo che era proprio il Cefa di tanti anni prima, anche se il suono iniziale è chiaramente diverso. La forma כיפא kêfâ che ha dato il soprannome di Pietro è aramaica. In seguito ho potuto constatare che in Basco esiste un particolare aranismo, ossia un conio artificioso del nazionalista Sabino Arana: Kepa "Pietro". Evidentemente è un semplice adattamento del lemma aramaico.

Com'è quindi accaduto che la forma che si legge nelle Scritture sia Cefa con la c di cena, ossia con una consonante postalveolare? Semplice: è una pronuncia ortografica. Il nome fu innanzitutto adattato in greco come Κηφᾶς, anche se molti testi hanno Πέτρος (Petros). L'autore del testo latino della Vulgata trascrisse la parola aramaica come Cephas in alcuni passi: Giovanni 1,42; Prima lettera ai Corinzi, 1,12; Lettera ai Galati 1,18. 

Col passar dei secoli, ecco che i chierici, che avevano completamente dimenticato l'esistenza stessa della pronuncia antica della lingua latina, diedero alla consonante iniziale di questo nome una pronuncia palatale, uscendosene con l'innaturale Cefa /'tʃefa/. Innaturale perché non può avere nulla a che fare con la fonetica delle lingue semitiche.

Ora, cosa avrebbe mai spinto San Girolamo, di lingua latina, a usare la grafia Cephas? Evidentemente egli sapeva bene qual era la pronuncia classica della lingua e non credeva necessario usare un carattere particolare, come ad esempio la kappa, per esprimere una semplicissima occlusiva velare /k/ davanti a una vocale anteriore /e/. Non dimentichiamoci che in un famoso scritto umoristico (Epistulae, XXII. Ad Eustochium, 30) si immaginava di essere rapito in spirito e di giungere al tribunale divino: avendo egli affermato di essere cristiano, il Giudice lo apostrofava accusandolo di essere piuttosto un ciceroniano.

giovedì 5 maggio 2016


L'ENIGMA DI KASPAR HAUSER 

Titolo originale: Jeder für sich und Gott gegen alle
     (Ognuno per sé e Dio contro tutti)
Paese di produzione: Germania
Anno: 1974
Durata: 106 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Rapporto: 1.66:1
Genere: biografico, drammatico
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Fotografia: Jörg Schmidt-Reitwen
Montaggio:
Beate Mainka-Jellinghaus
Musiche: Popol Vuh
Scenografia: Henning von Gierke
Interpreti e personaggi:
    Bruno S.: Kaspar Hauser
    Walter Ladengast: professor Daumer
    Brigitte Mira: signora Käthe
    Willy Semmelrogge: direttore del circo
    Herbert Fritsch: il borgomastro
    Helmut Döring: il Piccolo Re
    Henry van Lyck: capitano di cavalleria
    Michael Kroecher: Lord Stanhope
    Volker Prechtel: Hiltel, guardia carceraria
    Gloria Doer: signora Hiltel
    Marcus Weller: Julius, il figlio di Hiltel
    Johannes Buzalski: ispettore di polizia
    Herbert Achternbusch: ipnotizzatore di polli bavarese
    Enno Patalas: il reverendo Fuhrmann
    Clemens Scheitz: scriba
    Franz Brumbach: addestratore di orsi
    Alfred Edel: professore di logica
    Andi Gottwald: il giovane Mozart
    Kidlat Tahimik: Hombrecito
    Reinhard Hauff: un contadino
    Wolfgang Bauer: contadinello 
    Wilhelm Bayer: contadinello irridente
    Florian Fricke: pianista cieco
    Hans Musäus: uomo sconosciuto
Premi:
    Festival di Cannes 1975: Grand Prix Speciale della Giuria, Premio FIPRESCI, Premio della giuria ecumenica

Trama (da Mymovies.it):
Norimberga, 1828. All'alba, in una piazza, compare come dal nulla un giovane sporco, lacero e allucinato, che stringe tra le mani una lettera anonima nella quale si spiega che il ragazzo, abbandonato dalla madre, è stato allevato da un contadino che ora lo affida al capitano di cavalleria. Subito iniziano a fiorire le ipotesi: che lo sconosciuto sia un figlio illegittimo di Napoleone? Un principe in disgrazia? Il ragazzo finirà in carcere e poi esposto come fenomeno da baraccone nelle piazze e nelle fiere. Morirà cinque anni più tardi, ucciso da un sicario, e l'autopsia rivelerà la causa della sua idiozia: Kaspar Hauser, simbolo d'innocenza, era un minorato e aveva il cervello piccolo.

Recensione:
Un film che non si dimentica facilmente.
Ottima la colonna sonora e superba l'interpretazione di Bruno S., all'anagrafe Bruno Schleinstein, che si è calato alla perfezione nella parte, data la sua sconvolgente esperienza biografica. Si nota che la ricostruzione fatta da Herzog non sempre collima in dettaglio con la realtà dei fatti storicamente accertata. Per esempio, il giovane abbandonato non fa nessuna menzione del proprio nome a chi lo ritrova: solo in un secondo tempo scrive il suo nominativo su un foglio, come per automatismo. Il contenuto della famosa lettera non mostra una completa corrispondenza con quello noto, in cui si faceva chiara menzione al battesimo. Certo, che un genio come Herzog possa prendersi qualche libertà a me sta più che bene. Un dettaglio che pochi sembrano aver notato è l'abilità a rendere verosimile il sudiciume e persino le lesioni cutanee prodotte dalla scabbia. Riconoscibili a prima vista, al punto che solo a guardarle mi sembra di sentirsi muovere le mandibole taglienti degli acari intenti a scavare canali nella pelle, sono classificate da un ottuso ufficiale come non meglio precisate ferite.

Kaspar e il teologo

Interrogato da un pastore protestante, Kaspar è in grado di rispondere a tono. All'epoca c'era un morboso interesse per l'innatismo. Si discuteva senza sosta per stabilire se certe idee esistessero nell'essere umano a prescindere dall'educazione. In particolare si cercava conferma della presenza del concetto di un Essere Superiore, creatore e ordinatore di tutto l'esistente. Così l'uomo di Chiesa si mostra stupefatto dalle risposte del trovatello, che non corrispondono a quanto atteso. In tutta la sua prigionia nell'angusta cella, Kaspar non ha mai pensato per un solo istante a qualcosa che fosse anche lontanamente simile all'esistenza di Dio. La sua conoscenza innata si dimostra di natura ben diversa.   

Kaspar e il luminare

Un accademico paranoico pone a Kaspar un quesito cervellotico per valutare le sue capacità. La risposta che ottiene è folgorante e lo sconvolge - al punto da destare in lui ira. Il parruccone non può accettare una soluzione inattesa e semplice, a cui nessuno aveva mai pensato prima. Così si lascia andare a una crisi isterica, continuando a ripetere che non può accettare la risposta ineccepibile e geniale del ragazzo, perché non rientra in qualche non ben precisata categoria. Ovviamente la giustificazione di un simile rifiuto non convince nessuno.  

Una rovinosa caduta

Herr Daumer: "Kaspar, quello che tu dici non può essere vero, e cioè che solamente il tuo letto è l'unica cosa buona del mondo, e che tutto il resto è cattivo. Il giardino non ti piace, l'uva spina, o laggiù, quelle cipolle, così verdi..."
Kaspar: "Sì. Ho proprio l'impressione che la mia apparizione qui, su questa terra, sia stata una caduta pesante."

Queste sono le parole originali di Kaspar Hauser, da cui è stato tratto il dialogo: "Ja, mir kommt es vor, dass mein Erscheinen auf dieser Welt ein harter Sturz gewesen ist".  

Sembra che nessuno abbia mai compreso a fondo la sostanza di questi concetti, che appartengono agli Gnostici dell'antichità e al Manicheismo. Kaspar Hauser, che rifiutava con determinazione i dogmi dei pastori protestanti, non esitava ad affermare un'idea che non aveva riscontro ai suoi tempi. Si può anzi dire che la sua consapevolezza dell'Esilio è stata una delle pochissime manifestazioni di contenuti dualisti e anticosmici nell'Evo Moderno. 

L'autopsia

Il film termina con la dissezione del corpo del povero Kaspar. Viene in particolare analizzato il suo cervello, che viene manipolato con insistenza dai medici. La conclusione è che la massa cerebrale dimostra particolari anomalie - cosa che tranquillizza il notaio, permettendogli la cessazione di ogni inquietudine. Per lui, la constatazione dell'anormalità del cervello è una spiegazione razionale in grado di rintuzzare l'irromprere del mistero nella sua vita ripetitiva e meccanica come quella di un automa.

Un'audace soluzione a un secolare mistero

Anche a costo di attirarmi le ire di non pochi esperti di questioni dinastiche, oso proferire la mia opinione sul mistero di Kaspar Hauser. Il singolare fato del ragazzo non è dovuto affatto alla sua ipotetica nascita da genitori nobili e alle necessità di una successione. La causa è una sola: il persistere del culto di Wotan in alcuni distretti della Germania. Una conventicola di adepti di Wotan intendeva compiere un sacrificio umano tramite impiccagione. Siccome Wotan non gradiva l'immolazione di un battezzato, ecco che per attribuire al sacrificio la massima efficacia doveva essere impiccato un ragazzo che non avesse avuto alcun contatto con i sacramenti cristiani. Così la vittima designata era stata cresciuta in uno stato di reclusione assoluta fin dalla nascita, in attesa del momento adatto per il sacrificio pagano. A un certo punto però è accaduto qualcosa che ha sconvolto i sacrificatori: il ragazzo si è ammalato gravemente. L'uomo che gli portava il cibo e che lo accudiva non aveva potuto impedire che una inserviente lo battezzasse, temendo per la sua vita e per la salute della sua anima. In questo modo gli è stato dato un nome: Kaspar. Il ragazzo è sopravvissuto, ma quando il sacerdote di Wotan è venuto a conoscenza dell'accaduto, la setta non lo ha più voluto, perché diventato ormai inidoneo per il rito sacrificale. Questo battesimo "laico" non deve stupire: era un'usanza molto comune nei secoli passati, e spesso è stato utilizzato dalla Chiesa Romana per reclamare proprietà sul battezzato, ma il principio era valido anche per le Chiese Protestanti. La vaccinazione a cui è stato sottoposto il giovane Kaspar non deve essere considerata una contraddizione: è chiaro che questi settari avevano tutto l'interesse a che la vittima da immolare non morisse precocemente di vaiolo vanificando le spese per il suo mantenimento e obbligandoli a cercare un nuovo sacrificando.

Prima possibilità: continuità diretta popolare

Il culto di Wotan potrebbe essere sopravvissuto all'epoca antica in forma catacombale. Immagino che il nome della divinità pagana si sia usurato per naturale consunzione fonetica, finendo con l'essere pronunciato Wuten. Sono consapevole delle difficoltà che questa mia tesi incontra. I manuali scolastici e i testi universitari ci dicono che la Germania è stata cristianizzata ai tempi di Carlo Magno, e secondo l'ottica degli accademici è inconcepibile che un culto precristiano possa essere durato tanto a lungo nella clandestinità. Tuttavia la Storia non è riducibile a un mucchietto di date su un testo ad uso delle scuole superiori. 

Seconda possibilità: revivalismo dotto

Esiste una possibilità che non può essere esclusa: il culto di Wotan non sarebbe giunto all'epoca di Kaspar Hauser per sopravvivenza continuata e diretta, ma sarebbe stato il frutto di un'opera di ricostruzionismo e di revivalismo dotto. La cosa non è di per sé improbabile: quella era l'epoca del Romanticismo e negli ambienti colti si provava una grande fascinazione per il passato pagano. Tentativi simili si erano registrati in Inghilterra già nel XVIII secolo per la religione dei Druidi. Quello che non mi convince in questa ipotesi è che i risultati di queste operazioni di ricostruzione, basati su metodi filologici inconsistenti e su basi assai labili, sono ben lungi dall'essere confrontabili con i culti antichi. 

Kaspar Hauser e il Cristianesimo esoterico

La gran massa di baggianate proferite da Rudolf Steiner sulla figura di Kaspar Hauser merita comunque una menzione, non fosse altro che per l'assurdità dei concetti enunciati. Secondo il fondatore dell'Antroposofia, Kaspar si sarebbe incarnato come rampollo del Granduca di Baden per impedire il passaggio dallo spirito del Romanticismo a quello del Decadentismo rivivendo in chiave simbolica il sacrificio di Cristo. In questo pastone occultistico, i Rosacroce si mescolano ai Gesuiti e non si scorge traccia dei Rettiliani solo perché Icke non era ancora nato. Tra gli epigoni di Steiner c'è chi ha parlato di premonizione del Nazismo, ma del resto anche dalla lettura di un fondo di caffè sarebbe stata tratta la stessa conclusione, soprattutto col senno di poi. Il vero Cristianesimo Esoterico di cui il trovatello di Norimberga fu testimone è in realtà quello Dualista e Anticosmico, di cui può essere a buona ragione considerato un Martire.

martedì 3 maggio 2016

 

NATURA CONTRO

Aka: Green Inferno, Cannibal Holocaust II,
     Paradiso infernale 
Paese di produzione: Italia
Anno: 1988
Durata: 90 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Rapporto:
1:66:1
Genere: avventura, orrore
Sottogenere: cannibalesco
Regia: Antonio Climati
Soggetto:
Antonio Climati, Marco Merlo
Sceneggiatura: Franco Prosperi, Antonio Climati,
     Federico Moccia, Lorenzo Castellano
Casa di produzione: Dania Film, Filmes
     International, Medusa Distribuzione, National
     Cinematografica, Reteitalia
Musiche: Maurizio Dami
Interpreti e personaggi: 
    Marco Merlo: Fred
    Fabrizio Merlo: Mark
    May Deseligny: Gemma
    Pio Maria Federici: Pio
    Bruno Corazzari: contrabbandiere di bambini
    Roberto Ricci: Professor Korenz
    Jessica Quintero: Kuwala
    David Maunsell: pescatore al fiume
    Sasha D'Arc: sorella di Kuwala
    Roberto Alessandri: cacciatore di teste
    Salvatore Borgese: Juan Garcia
Censura: 83466 del 23-03-1988


Trama:
Una giornalista, Gemma, si unisce a tre amici in una spedizione alla ricerca del professor Korenz, scomparso nell'Amazzonia peruviana mentre era sulle tracce della mitica (e inesistente) civiltà degli Imas, che sarebbe stata alla base del famoso mito del paese di El Dorado. Inizia per la compagnia una serie di sconclusionate peripezie attraverso la foresta, tra scimmie e anaconda giganteschi. Alla fine, dopo essersi scontrati con un gruppo di brutali cercatori d'oro, Gemma e gli amici arrivano a destinazione: ritrovano il professore disperso in un villaggio che sembra proprio una reliquia del perduto popolo degli Imas. In realtà gli abitanti di quel luogo sono energumeni privi di qualsiasi rapporto di discendenza con gli Imas, genti che Korenz ha plasmato ed educato in modo tale da rendere reale un parto della sua fantasia. Insomma, si tratta una creazione artificiale, che egli è stato più volte tentato di far passare per la scoperta del secolo, riuscendo sempre a rinunciare a ogni conato di intenzioni falsarie. Alla fine, colpito dalla bellezza di Gemma e credendo così di poter avere con lei qualche contatto carnale, si lascia convincere a rivelare di aver davvero scoperto i mitici Imas,
andando così a infoltire la già consistente schiera dei chierici traditori e dei fabbricatori di frodi scientifiche. Se ne va via con la giornalista, lasciando i tre giovani aitanti tra i nativi, anche se non riuscirà a realizzare il suo desiderio di essere per lei un sugar daddy

Recensione:
Il film non ha alcuna relazione con il famoso Cannibal Holocaust di Deodato e non deve essere confuso con il quasi omonimo The Green Inferno di Eli Roth (2013). Se devo essere sincero e parlare francamente, fa schifo. Non presenta quasi alcuna originalità, dovrebbe essere un film d'avventura ma l'azione è fiacca, addirittura a tratti è noioso. Posso dire che la sua visione sia nella sostanza una perdita di tempo. Soltanto qualche trovata occasionale ha un suo valore, come ad esempio il pesce mordace che si infila nell'ano di un indigeno e il cadavere murato in un termitaio artificiale, impastato col fango - sebbene il serpente che esce dall'orbita non sia plausibile: a quanto ne so non esistono serpenti saprofiti e per giunta capaci di vivere in assenza di aria. Interessante la trovata dell'evirazione di uno schiavo rivoltoso tramite il morso di un boa. La cosa non è così inverosimile: anche se tali serpenti sono costrittori e non velenosi, il morso di un esemplare adulto non è esattamente come una fellatio. Molte sequenze valicano il confine della verosimiglianza e sembrano del tutto slegate dalla trama. Grottesca la massiccia ispanizzazione linguistica dei nativi in contrasto stridente con la conservazione quasi integrale dei loro costumi: chi ha girato il film evidentemente non si è potuto permettersi attori indios genuini e ha quindi propinato agli spettatori una visione un po' semplicistica delle culture amazzoniche. Un'ultima cosa. Dove sono i cannibali?  
 
Curiosità:
Una vera scimmia viene effettivamente colpita con una cerbottana nel film, e per questo motivo 12 secondi di pellicola sono stati tagliati all'uscita nel Regno Unito. Nonostante questo non si rilevano uccisioni di animali, cosa abbastanza rara per un film cannibalesco italiano.
 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 
 
Ecco alcuni interventi apparsi sul Davinotti:  

Maik271 ha scritto:

"Pellicola di rara bruttezza quella girata da Climati, in cui l'avventura narrata sembra uscita da una produzione Disney e per giunta senza una sceneggiatura convincente. Il cast di sconosciuti e le musiche bruttissime fanno sì che manchi in questa storia il benché minimo requisito dei cannibal movie (a parte qualche testa goffamente inserita dentro ampolle di vetro delle quali si vede chiaramente il foro in basso). Solo il fatto che questo film sia stato spacciato come il sequel di Cannibal holocaust di Deodato gli fa meritare il voto più basso."

Undying ha scritto:

"Già fa sorridere che un professore americano (che di cognome fa Korenz!) sia ricercato nell'Amazzonia, ove s'è recato per motivi - non meglio identificati - di studio. Figurarsi quando viene rintracciato da un gruppo di ricercatori, che lo troveranno perfettamente integrato in una tribù di indios! Il tema è quello del "cannibalismo", ma Climati opta per una narrazione più antropologica e seriosa, glissando sulle scene splatter e sull'antropofagia: tema che serve da specchietto per allodole, al fine di attirare un pubblico destinato a rimanere -inevitabilmente- deluso dal contenuto. Dietetico."

Daidae ha scritto:

"Bruttissimo film di avventura ricco di messaggi ecologisti e buonismo a iosa (assurda la scena delle scimmie tramortite e rubate per fare pet-therapy!) A parte gli splendidi paesaggi, si segnala per la sua noiosità e per la mediocrità degli attori. Non è assolutamente un film su cannibali, ma un film di avventura molto leggero.
MEMORABILE: La donna che viene catturata dagli indios e costretta a ingurgitare banane!"

Buiomega71 ha scritto:

"Primo film di "finzione" di Antonio Climati e devo dire una bella sorpresa. Al di là di alcune falle nello script, rimango affascinato dagli omaggi Herzoghiani (la barca spinta nel folto della foresta, la musica di Mozart che riecheggia nella savana), a La foresta di smeraldo (il covo dei cacciatori d'oro) e trappole micidiali alla Guerrieri della palude silenziosa. Buono il comparto exploitativo, traffico di bambini per l'espianto degli organi, lo scheletro nascosto nel formicaio, le mortali fellatio delle anaconde. Ottimo adventure movie.
MEMORABILE: I riti dello sciamano per curare la ragazza dalla cancrena; Lo scoop iniziale delle teste, rimpicciolite, sotto vetro." 

Lucius ha scritto:

"Rispetto a tanti inutili mondo movie e a qualche stupido cannibal movie, almeno questo, privo di violenza gratuita, ha spunti interessanti, grande avventura, tanta azione e una natura selvaggia e quindi fascinosa come scenografia. Poi una rocambolesca trama, che vede impegnati un gruppo di amici a schivare pericoli di ogni genere nella ricerca di uno scienziato di cui si sono perse le tracce. La cultura amazzonica come surplus e una colonna sonora anni ottanta, ma accettabile con le sue sonorità."

Questo articolato intervento di tylerdurden93 è apparso su Filmscoop
 
"Venduto come cannibal-movie in realtà non presenta alcuna atrocità ascrivibile al filone, ci sono giusto alcune analogie ambientali e antropologiche con i capisaldi firmati da Deodato e Lenzi in primis. E' tuttavia considerato il canto del cigno di un genere che riscosse gran successo accompagnato da scalpore e regolari polemiche.
Trattasi di una pellicola d'avventura inerente il pericoloso viaggio nel cuore della jungla amazzonica di quattro temerari alla ricerca del fantomatico Dottor Korenz (imbarazzante l'analogia con "Cuore di Tenebra" o se se preferite "Apocalypse Now").
"Natura Contro" annoia pesantemente, è un susseguirsi di fatti scialbi e a tratti ridicolmenti ingenui. Colpa di una storia scritta malissimo e affondata da un montaggio a dir poco aberrante; fortunatamente regia e fotografia sono di pregevole livello.
Antonio Climati è personaggio col pallino documentaristico come già mostratro nelle numerose collaborazioni coi vari mondo movie, purtroppo il suo lavoro ha misera valenza sia dal punto di vista dell'intrattenimento che da quello didattico, con tradizioni e cultura di quelle inaccessibili zone trattate in maniera esageratamente sensazionalistica.
Deludente l'apporto del cast, anche se il personaggio dello studioso è per nulla stereotipato e piuttosto simpatico, una specie di Indiana Jones sul quale in partenza non si scommetterebbero due lire.
Nel lavoro di Climati si avverte l'esortazione al rispetto per il mondo circostante e al diritto di esistere delle popolazioni autoctone, anche in questo caso però, e dispiace ammetterlo, il lodevole sforzo è veicolato in maniera assolutamente fiacca." 


CANNIBAL HOLOCAUST 

Lingua originale: inglese, spagnolo
Paese di produzione: Italia
Anno: 1980
Durata: 91 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Rapporto: 1,85 : 1
Genere: avventura, drammatico, orrore
Sottogenere: cannibalesco
Regia: Ruggero Deodato
Sceneggiatura: Gianfranco Clerici
Produttore: Franco Palaggi
Casa di produzione: F.D. Cinematografica
Distribuzione (Italia): United Artists Europa
Fotografia: Sergio D'Offizi
Montaggio: Vincenzo Tomassi
Effetti speciali: Aldo Gasparri
Musiche: Riz Ortolani
Tema musicale: Cannibal Holocaust (Titoli di testa)
Scenografia: Massimo Antonello Geleng
Costumi: Lucia Costantini
Interpreti e personaggi:
   Robert Kerman: professor Harold Monroe
   Francesca Ciardi: Shanda Tomaso
   Perry Pirkanen: Jack Anders
   Luca Barbareschi: Mark Williams
   Gabriel Yorke: Alan Yates
   Salvatore Basile: Chaco Losojos
   Ricardo Fuentes: Felipe Ocaña
   Lucia Costantini: adultera
   Enrico Papa: giornalista televisivo
   Ruggero Deodato: uomo al parco
   Paolo Paoloni: dirigente televisivo
   Lionello Pio di Savoia: dirigente televisivo
Doppiatori italiani:
   Luciano De Ambrosis: professor Harold Monroe
   Emanuela Rossi: Shanda Tomaso
   Angelo Nicotra: Jack Anders
   Piero Tiberi: Mark Williams
   Massimo Giuliani: Alan Yates
   Sergio Fiorentini: Chaco Losojos
   Massimo Turci: dirigente televisivo
   Benita Martini: impiegata
   Gianni Marzocchi: Mr. Williams
   Sandro Acerbo: Miguel Lujan
Primo visto censura: n. 74702 

Trama:
Quattro giovani reporter, Shanda Tomaso, Mark Williams, Jack Anders e Alan Yates, si sono persi nelle profondità della foresta dell'Amazzonia. Da sei mesi nessuno ha più loro notizie. Erano stati incaricati da un'emittente televisiva di New York di girare un documentario sui popoli antropofagi che ancora vivevano nelle più impervie regioni del Brasile. La scelta era caduta su questi reporter per via dei documentari che avevano girato in Africa, lavori che attestavano ogni sorta di atrocità commessa da un regime militare. Al professor Harold Monroe viene dato l'incarico di ritrovarli: con due persone assegnategli dalle autorità locali si mette subito sulle tracce dei ragazzi scomparsi, seguendo il loro cammino più probabile nell'Inferno Verde. Le sue guide, che hanno catturato un giovane della tribù degli Yakumo colto in flagranza di cannibalismo, lo portano con sé come ostaggio per garantirsi l'incolumità. Dopo una serie di peripezie giungono tra gli Yakumo e riconsegnano l'ostaggio alla sua gente. Qui capiscono che i reporter scomparsi erano ricordati con orrore per via di una spaventosa colpa di cui si erano macchiati, ma non riescono a saperne di più. Proseguono così fino a raggiungere la terra degli Shamatari, un popolo di antropofagi. Il nome Shamatari designa le genti che sono più note come Yanomami, che lo psicologo Steven Pinker ha etichettato (non senza controversie) come il popolo più violento dell'intero pianeta, quello col tasso più alto di uccisioni. Nella terra di questi Shamatari, Munroe e le sue guide finalmente scoprono la verità: Williams, Anders, Yates e Tomaso sono stati uccisi, e i loro cadaveri sono considerati un'emanazione del Male. Sono ormai quasi ridotti a scheletri, nelle loro orbite si trovano grasse larve di scarabei e di altri saprofiti, e alcuni coleotteri sgusciano fuori, la metamorfosi ormai completata, zampettando allegramente. Quello che però è più importante è la scoperta delle bobine di pellicola filmata dai reporter prima di morire, che documentano ciò che è loro accaduto. Munroe e i sui accompagnatori ricevono a questo punto un cortese invito a pranzo dal cacique della tribù: si tratta di un pasto cannibalico. Al professore viene offerta la coratella di un guerriero nemico ucciso e già in parte macellato. Per ragioni di sopravvivenza, lo studioso statunitense addenta il fegato umano e lo mastica, riuscendo così a guadagnarsi la stima della tribù. Tornato alla sua università, inizia la proiezione delle pellicole raccolte: la realtà che si disvela ai presenti è talmente orribile da far apparire innocenti i riti cannibalici degli Shamatari. Ecco la verità: i reporter si sono abbandonati a un'orgia di sangue, abbattendosi sugli Yakumo e facendone strage, per giungere poi dagli Shamatari, sempre uccidendo e stuprando. Le riprese sono continuate fino all'epilogo cruento, all'eliminazione per smembramento e decapitazione di un invasore dopo l'altro.   

Recensione: 
Questo è uno dei film più controversi della storia del cinema, non soltanto italiano. Deodato è stato accusato ripetutamente di aver girato un autentico snuff movie, uccidendo realmente alcune persone, e con questa accusa sanguinosa è comparso persino in tribunale - facendo comparire le supposte vittime per dimostrare che le riprese non hanno comportato alcun omicidio. La censura si è abbattuta come un maglio sulla pellicola, al punto che ancor oggi è colpita da divieto in decine di paesi. Si sono registrate reazioni violentissime anche da parte degli animalisti, con tanto di minacce di morte e altre amenità così tipiche di quei settari, che sfigurano la nobiltà dell'amore verso gli animali abbandonandosi a ogni sorta di istinto belluino e di desiderio omicida. Infatti le riprese hanno comportato la morte di numerosi animali. Un grosso roditore è stato infilzato con uno stiletto e il suo cuore perforato ha fatto schizzare fiotti di sangue come cruente eiaculazioni. Una tartaruga è stata crudelmente sventrata, le sue interiora sono state arrostite e divorate. Un maialino è stato abbattuto con una fucilata, senza alcuna necessità. A una scimmietta è stato affettato il cranio per lasciare allo scoperto il cervello, considerato dai locali una leccornia, e a quanto pare un'altra scimmietta, assistendo all'esecuzione della sua compagna è morta d'infarto. 
 
La mia opinione è questa: per quanto problematico e contaminato da ogni genere di abiezione, Cannibal Holocaust resta comunque un capolavoro per via delle riflessioni filosofiche - anche mortificanti - a cui dà di certo adito. Non ho abbastanza informazioni per capire se il regista fosse pienamente consapevole del risultato che ha ottenuto. All'epoca esisteva una sensibilità un po' diversa da quella attuale, e venivano prodotti film che insistevano, non senza una certa morbosità, su aspetti particolarmente turpi del genere umano. Cannibal Holocaust non è stato il solo film cannibalico prodotto in quegli anni. La narrazione non concede nulla all'idealismo e alle illusioni. I reporter sono sempre stati maligni: manca in loro un processo di graduale cedimento al potere del Male. Si ha semplicemente il disvelarsi della loro vera natura nel corso del film. Una specie di spartiacque rende evidente questa epifania satanica. La situazione ha cominciato a precipitare quando stavano amputando e cauterizzando la gamba della guida, che era stata morsicata a un piede da un serpente velenoso. Ho visto negli occhi di Barbareschi una luce di sadismo assoluto, simile a quella che si può riscontrare nei cannibali. Se lo spettatore sta attento, vedrà lo stesso sguardo allucinante di Andrej Chikatilo, il Macellaio di Rostov. Che dire? Soltanto una cosa: Luca Barbareschi è davvero un ottimo attore. 
 
Censura:  
Numerose scene sono state censurate al primo visto censura in Italia, per un totale di 326,4 metri di pellicola:

1) Una donna incinta uccisa a colpi di pietra
   (metri 3,1); 
2) Cannibali che iniziano a squartare il cadavere di una donna
   (metri 1,6);
3) Uccisione e squartamento di una tartaruga
   (metri 71,2);
4) Decapitazione di una scimmietta
    (metri 20,7);
5) Uccisione di un maialino con un colpo di fucile
    (metri 9,1); 
6) Uomo che intervista una donna chiedendole se giustifica orrende stragi per dare al pubblico gli spettacoli che brama
    (metri 7,6, poi tagliata dal regista);
7) L'incendio del villaggio
    (metri 5,6)
8) Sesso con un'indigena
    (metri 11,9, poi tagliata dal regista);
9) Indigena in agonia con orribili ferite
    (metri 2,9);
10) Una donna incinta alla quale viene strappato il feto dal ventre
    (metri 19,1);
11) Il professor Monroe che dichiara di non avere intenzione di divulgare il filmato dei reporter, ritenendolo osceno, disumano e disgustoso
    (metri 26,3);
12) Violenza sessuale ai danni dell'indigena
    (metri 50,5);
13) Un uomo che nella sala di proiezione si gira verso una donna commentando: "Veramente disgustoso!"
    (metri 1,9);
14) I quattro reporter che filmano la ragazza indigena impalata
    (metri 13,7);
15) Evirazione di un reporter, a cui viene mozzata testa; il cadavere viene smembrato e divorato dai cannibali
    (metri 47,3);
16) La reporter viene denudata, violentata e uccisa a bastonate dai cannibali
    (metri 26,1);
17) I cannibali agitano in aria la testa mozzata della reporter
    (metri 2,3);
18) Un uomo accanto al professor Monroe, nella sala di proiezione, ordina di mandare al macero tutto il materiale girato dai quattro reporter
    (metri 5,5).

Inutile dire che ho avuto la fortuna di poter visionare il film nella sua interezza. 

Critica: 

La Repubblica:
"Le scene raccapriccianti del film sono ottenute con tale cialtroneria che non solo non riescono a mettere paura, ma provocano addirittura disgusto e sdegno."

Il Corriere della Sera:
"Un film che è eufemistico definire rivoltante, affidato interamente a scene di bassa macelleria come squartamenti e infilzamenti di animali vivi, cannibalismo, lapidazioni e altre simili piacevolezze...".

Il Messaggero:
"Tra i tanti film del genere questo è forse il più orripilante e solletica i gusti sadici del pubblico di Deodato."

Morando Morandini, che ha assegnato una stella al film nel suo dizionario:
"L'espediente del documentario serve a Ruggero Deodato per un inutile e cinico sensazionalismo."

Paolo Mereghetti, che ha assegnato due stelle al film nel suo dizionario:
"Un'operazione gelida e sgradevole, ma a suo modo abile: l'espediente del film nel film non solo avvolge di un alone inquietante da finto snuff la violenza mostrata, ma costituisce una precisa riflessione sulla prassi dei mondo movies, una pietra tombale e una satira del genere. Cannibal Holocaust è un documento indiretto sul malessere dell'epoca e una tappa fondamentale per chiunque voglia riflettere sulla rappresentazione della violenza."

Pino Farinotti, che ha assegnato due stelle al film nel suo dizionario, non ha commentato.

Nocturno:
"Cannibal Holocaust è una parola vera sullo spettacolo dell'informazione e quindi sull'Occidente Coccodrillo. L'incendio del villaggio trova paragone solo in Apocalypse Now, per sadismo e pietà (della colonna sonora) verso le vittime. L'episodio di Alan Yates sulla donna impalata, poi, è forse ancora più agghiacciante e perfetto nella sua perfetta malafede. A pensarci bene, il titolo preannuncia già tutta l'ambiguità del film: Cannibal, associazione mentale istantanea negativa + Holocaust, sterminio d'innocenti = cortocircuito intellettuale: per noi i cannibali non sono innocenti, quindi l'espressione suona di primo acchito come un incomprensibile ossimoro."

Gordiano Lupi:
"Cannibal Holocaust infrange molti tabù cinematografici ed è un atto di accusa verso la società contemporanea e i suoi falsi miti. Cannibal Holocaust è uno di quei film che, con buona pace di puristi e benpensanti, danno spessore al cinema."

Manlio Gomarasca:
"Quando ho visto Cannibal Holocaust ho provato uno shock indescrivibile, un'emozione senza pari. Credo che pochi film nella cinematografia mondiale abbiano mai raggiunto tali estremismi nel mostrare la violenza. Il punto di forza del film sta però nel descrivere tali scene con la fredda lucidità e la cruda esposizione di un documentario sulla morte."  

Marco Giusti (Dizionario dei film stracult italiani):
"Il più celebre cannibal movie mai girato in Italia, crudelissimo, con scene orripilanti di violenze su uomini e animali. Ad un passo dallo snuff movie."

Sergio Leone a Ruggero Deodato, vedendo il film in anteprima:
"Caro Ruggero, questo sarà il tuo cavallo di battaglia, ma ti causerà gravi problemi con la giustizia."

Ruggero Deodato, sul suo stesso film:
"Cannibal Holocaust ha poco a che spartire con l'horror. Io sono un regista di genere all'americana. Ho fatto di tutto. A chi definisce Cannibal Holocaust un horror rispondo che non l'ha capito e che deve guardarselo per bene e storicizzarlo. Cannibal Holocaust è una pellicola di denuncia, ed è il mio lavoro più riuscito."