sabato 6 agosto 2016

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: QUERQUERUS - QUERCERUS 'TREMANTE'

Tra le parole latine meno note al pubblico si ha querquerus "tremante". Si tratta di un termine tecnico riferito specialmente alla febbre e al tremore malarico. Il punto è che accanto alla forma più antica querquerus, sussiste anche una variante quercerus, che mostra una dissimilazione molto affine a quella vista per querqueus "di quercia" che ha dato origine al doppione querceus con soltanto una labiovelare. In altre parole, in due contesti fonetici affini si è prodotta la stessa semplificazione di una occlusiva labiovelare /kw/ in un'occlusiva velare semplice /k/ a causa della presenza dell'occlusiva labiovelare iniziale.

Mentre la parola quercus "quercia" è di chiara origine indoeuropea (risaldente alla protoforma *perkw-), il termine querquerus "tremante" trae la sua origine ultima da un'onomatopea, quale che fosse la lingua da cui è giunto in latino (con ogni probabilità l'etrusco). La sequenza quer-quer- comunica in effetti l'idea del tremore. Quando è avvenuta la dissimilazione della seconda /kw/ in /k/, la natura onomatopeica della parola è stata oscurata, come è avvenuto anche in altri casi (es. pi:pio: "piccione" è termine onomatopeico, mentre il suo derivato italiano piccione ha cessato di esserlo a causa della palatalizzazione dell'antico /-pj-/).

Gli antichi come di consueto si addentravano nei pantani delle false etimologie, non disponendo di mezzi filologici validi: "Querqueram frigidam cum tremore a Graeco κάρκαρα certum est dici, unde et carcer." (Lucilio, Satire, Libro V)

Per motivi fonetici, è impossibile postulare una derivazione dal greco καρκαίrω "io tremo", esso stesso un verbo di origine onomatopeica. L'ipotetica forma etrusca da cui il latino avrebbe preso a prestito querquerus doveva avere essa stessa suoni più complessi della forma greca e un diverso vocalismo: ricostruisco così *χverχver-.

Non mi risulta che querquerus / quercerus abbia dato origine a qualche discendente romanzo. Tuttavia la stessa variazione la troviamo nel nome latino di un uccello, l'alzavola, che è verosimilmente derivato dalla stessa radice qui trattata e che ha avuto esiti in diverse lingue romanze:


L'alzavola è un'anatra di dimensioni ridotte, che sverna in Italia. Varrone fa derivare il vocabolo dal greco κερκουρίς. Tale parola greca presenta le varianti κέρκηρις e κερκήδης. Per motivi fonetici, lat. querquedula non può essere un derivato diretto di queste forme greche, che tuttavia hanno l'aria di avere origine comune e chiaramente non indoeuropea. Data la loro variabilità, non sono in grado di ricostruire una protoforma. Questo è quanto riporta il dizionario Etimo.it alla voce dotta querquedula


"querquèdula prov. sercela, fr. cercelle, sp. e port. cerceta; (ted. krickente): = lat. QUERQUÈDULA, che vuolsi tragga da QUÈRQUERUS algido, frigido, perché comparisce nell'inverno.
   Specie di anitra, grossa come una pernice, vestita di piuma di color vivace e nel petto somigliante a una maglia, che vive negli stagni e sul mare."

Se anche il collegamento a querquerus fosse paretimologico, si noterebbero interessanti fenomeni di evoluzione in provenzale, in spagnolo e in portoghese. In tutte queste lingue romanze, è avvenuta la semplificazione di entrambe le consonanti labiovelari latine, con una protoforma *cerce:dula /ker'ke:dula/ < *querquedula /kwer'ke:dula/. Lo spagnolo e il portoghese richiedono una variante *cerce:tta /ker'ke:tta/ < *querque:tta /kwer'kwe:tta/

Chi sostiene la pronuncia ecclesiastica ab aeterno, non è capace di spiegare queste forme: in nessun caso potrebbe sostenere che nell'originale forma latina potessero esistere consonanti palatali anziché le labiovelari attestate.

Si noterà infine che l'inglese to quiver "tremare" non deriva affatto dal latino querquerus, ma dall'anglosassone cwifer- "zelante", attestato ad esempio in cwiferlice "in modo zelante", che ha per forma corradicale cwic "vivo" (donde deriva l'inglese moderno quick "rapido"). Queste sono parole di chiara origine germanica e derivanti dalla stessa radice indoeuropea *gwei(w)- / *gwi:(w)- "vivere" che ha dato il latino vi:vus, vi:vo, vi:ta, etc. 

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: QUERCUS E DERIVATI, ITALIANO QUERCIA, CERQUA

Il fitonimo latino quercus "quercia" continua quasi inalterato nel sardo kerku, senza traccia alcuna di palatalizzazione della prima consonante velare. L'italiano quercia non può risalire direttamente alla forma latina, per ovvi motivi fonetici. Deve essere invece per necessità il derivato di una forma *quercea, di chiara origine aggettivale.

Vediamo ora le forme aggettivali attestate in latino col significato "di quercia"; "di foglie di quercia". Sono le seguenti: 


Evidentemente l'aggettivo più antico è quernus, formato con un suffisso *-no- di ottima tradizione indoeuropea. Le forme querqueus e querceus sono più moderne. La variante querneus proviene da quernus con l'aggiunta del suffisso di querqueus

Vediamo di ricostruire i passaggi. La radice indoeuropea del fitonimo latino è *perkw-. In latino la consonante labiale *p- è diventata kw- per assimilazione alla kw- seguente, mutamento che vediamo anche in altri casi (lat. quinque < IE *penkwe; lat. coquo: < IE *pekw-). Una volta creato l'aggettivo querqueus /'kwerkwḙus/, la seconda labiovelare /kw/ è diventata /k/ per dissimilazione, ossia si è semplificata naturalmente. Così si è avuta la variante /'kwerkḙus/. L'occlusiva velare /k/, seguita dalla semivocale, si è quindi alterata per vari gradi, dando origine al suono palatale che troviamo nella forma italiana quercia, suono la cui natura secondaria è dimostrata dall'etimologia.

La dissimilazione /-kw/ > /-k-/ è presente anche in un derivato che ha dato origine all'italiano "querceto"


In italiano esiste la variante cerqua, ormai desueta, che trae origine da una diversa dissimilazione della forma latina, in cui è stata la prima labiovelare a semplificarsi. La sequenza dei mutamenti è la seguente: *querquea /'kwerkwa/ > *cerquea /'kerkwa/. La palatalizzazione ha quindi agito sull'occlusiva iniziale in epoca tarda, portando infine all'esito italiano. 

Veniamo ora alla pronuncia ecclesiastica della lingua latina, che i nostri avversari vorrebbero proiettare agli Inizi dei Tempi. La sua incongruenza è marchiana: prescrive infatti le pronunce /'kwerkweus/ e /'kwertʃeus/; /kwer'kwetum/ e /kwertʃetum/, tutte con un'alternanza /kw/ - /tʃ/ che sarebbe assolutamente inesplicabile se la si considerasse primigenia, non potendo in alcun modo risalire a tempi remoti.

mercoledì 3 agosto 2016

PROVE ESTERNE E INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LATINO SICERA, GRECO SIKERA, EBRAICO SHEKHAR

In ebraico il termine שכר šēkhār /ʃe:'xa:r/ indicava una bevanda fermentata ottenuta da una decozione di cereali, frutta e miele. Era un potente inebriante, tipico del paese di Canaan. La storia dell'adattamento di questa parola nelle lingue dell'Occidente è antica e complessa. Si può dire che il termine ebraico sia passato in greco divenendo σίκερα (sikera), ma è più probabile che il prestito sia avvenuto già in epoca antica a partire da una lingua semitica diversa, probabilmente l'accadico, in cui la birra d'orzo era chiamata sikaru(m), sikru(m). Infatti l'ebraico mostra una consonante fricativa -kh- derivata dalla lenizione della precedente occlusiva -k-, che invece è conservata in greco. Se il termine fosse passato in greco dall'ebraico in epoca tarda, posteriore alla lenizione, il suono -kh- sarebbe stato reso con un'aspirata greca, scritta con la lettera -χ-. Inolte in Tracia è attestato Σικερηνος (Sikerenos) come epiteto di Apollo: senza dubbio trae il nome dalla bevanda, a dimostrazione dell'antichità del termine. La radice semitica ultima da cui sia la forma accadica che quella ebraica derivano ha il significato di "ubriacarsi", "intossicarsi" (es. ebraico šākhar). La traduzione più propria sarebbe quindi "bevanda intossicante (diversa dal vino)".  

Nella lingua neoebraica parlata oggi in Isreaele, che è una vera conlang creata da Ben Yehuda, la parola שכר šēkhār è usata per indicare la birra, pur essendo questa corrispondenza abbastanza impropria. La bevanda usata nell'antica Israele era forte e non somigliava molto alla debole birra dei nostri tempi. Potrebbe invece essere usata per designare certe birre speciali ad alta gradazione, potenti quasi come il vino.

Dal greco sikera la parola è passata in latino come sicera, e da questa forma deriva l'antico francese cisdre, divenuto poi cidre. Infine dal francese cidre è passato in italiano come sidro e in inglese come cider. Proprio il termine sidro è spesso utilizzato nelle traduzioni bibliche per rendere l'ebraico שכר, per quanto il paragone con il succo di mela fermentato non si molto più sensato del paragone con la birra moderna. Il sito Etimo.it, nonostante contenga non di rado proposte etimologiche datate e non sia esente da errori, per quanto riguarda la parola sidro fa bene il punto della situazione:


"sídro a. fr. cisdre, mod. cidre; sp. sira, ant. sizra (ing. cider; celto: gall. <s>eider : dal lat. SÍCERA = gr. SÍKERA contratto in SIC'RA, d'onde SIDRA) voce venuta dall'oriente: ebr. schêkâr qualunque bevanda fermentata ed esilarante [ebr. schâkar essere avvelenato]
  Specie di bevanda fermentata, che si prepara col succo delle mele: anticamente Cidra e Siccera." 

Ora, i sostenitori della pronuncia ecclesiastica del latino, che credono alla presenza in tale lingua di suoni palatali ab aeterno, devono per necessità postulare che la parola sicera dovesse suonare /'sitʃera/ fin dalla sua comparsa nell'Urbe, contraddicendo così la sua chiarissima etimologia e fallendo una volta di più nei loro vani tentativi di ammettere la natura primitiva del suono /tʃ/. Invece è ben evidente che la forma latina suonasse come in greco /'sikera/, che la palatalizzazione avvenne soltanto in epoca tarda, ponendo le basi della forma francese antica cisdre di cui sopra (chiaramente l'elemento la grafia c- è frutto di ipercorrettismo, mentre l'occlusiva dentale -d- è sorta dallo scontro di -s- con -r-).

PROVE ESTERNE E INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: GRECO AKRAGAS, LATINO AGRIGENTUM

Questo si legge a proposito dell'etimologia di Agrigento nella pagina di Wikipedia sulle origini dei nomi dei capoluoghi di provincia italiani:

"Nominata inizialmente in greco Άκράγάς [sic] (Akragas) dall'omonimo fiume che bagna il territorio, fu poi conquistata dai Romani nel 210 a.C. che la ribattezzarono Agrigentum, derivato dalla corruzione fonetica del genitivo greco Akragantos."

Nella pagina di Wikipedia relativa ad Agrigento si aggiungono altre informazioni:

"Nella sua storia millenaria la città ha avuto ben quattro nomi: Ἀκράγας per i Greci, Agrigentum per i Romani, Kerkent o Gergent per gli Arabi; per i Normanni era Girgenti, nome ufficiale della città fino al 1927, quando, durante il periodo fascista, venne utilizzata un'italianizzazione del nome che aveva la città durante il dominio romano. Agrigento assunse l'attuale denominazione con regio decreto legislativo n.1143 del 16 giugno 1927." 

La forma greca di partenza è stata ricondotta al vocabolo ἄκρος "vetta", tuttavia la cosa appare poco convincente, anche perché non si spiega l'elemento -αγαντ-. Sembra più probabile che l'idronimo sia un relitto del sostrato pre-greco dell'isola. La sua trasformazione nel corso dei secoli è complessa.

Con buona pace di molti, i prestiti linguistici non cambiano per "corruzione fonetica" ma per adattamento fonetico. I passaggi ricostruibili per il toponimo siciliano sono stati i seguenti (nella trascrizione fonetica /g/ è sempre il suono velare o "duro", /dʒ/ è il suono palatale o "molle", l'accento indicato da un segno ' cade sulla vocale seguente): 

1) /a'kraga:s/, gen. /a'kragantos/ > latino antico /'akragantom/:
la forma greca è stata adattata come un neutro e ha fissato l'accento sulla prima sillaba;
2) /'akragantom/ > /'agragantom/:
la sequenza -kr- si è sonorizzata in -gr-;
3) /'agrigantom/ > /'agrigentum/:
si è avuto l'indebolimento vocalico tipico delle sillabe atone;
4) /'agrigentum/ > /agri'gentum/:
l'accento si è fissato sulla penultima sillaba lunga, come tipico del latino classico;
5) /'agrigentum/ > /agri'gjentu/:
in epoca postclassica /g/ davanti a /e/ inizia a palatalizzarsi;
6) /agri'gjentu/ > /agri'dʒentu/:
la palatalizzazione si completa, ma l'Impero Romano ormai è giunto al suo termine e le lingue romanze sono in formazione dal calderone del latino volgare.  

Questo si legge nel paragrafo 86 del manuale di Grandgent, Introduzione allo studio del latino volgare:

"Noi troviamo avanzi del genitivo locativo in Agrigentī > Girgenti, Arimĭnī > Rimini, Clusiī > Chiusi, Florentiae > Firenze, Palestinae (G., 322), ecc.; del locativo ablativo singolare in Tībŭrī > Tivoli; del locativo ablativo plurale in Andecāvīs > Angers, Aquīs > Acqui Aix, Astīs > Asti, Fīnĭbus > Fimes, Parīsiīs > Parigi, Paris, ecc." 

Non ci possono essere dubbi. La forma siciliana Girgenti, derivata dal locativo Agrigenti, presuppone una forma metatetica, per cui accando ad Agrigentum deve essere esistito *Agirgentum. Orbene, questa metatesi deve aver portato ad avere una consonante velare ("dura") nella seconda sillaba di *Agirgentum: la consonante palatale, o meglio postalveolare ("molle") deve essersi prodotta in seguito. Questi sono i passaggi, rammentando una volta di più che nella trascrizione fonetica /g/ è sempre la g di ghiro e /dʒ/ è la g di gelo

/agri'genti:/ > /*agir'genti/ >
/*agjirgjenti/
 > /*adʒir'dʒenti/.

Essendo la pronuncia ecclesiastica /agri'dʒentum/, locativo /agri'dʒenti/, è assolutamente impossibile che abbia subito la mutazione in /*adʒir'dʒentum/ direttamente, come dovrebbero assumere i nostri avversari: dall'inversione di una sequenza "consonante velare" + "rotica" + "vocale" può ottenersi soltanto una sequenza "consonante velare" + "vocale" + "rotica".

La forma araba del toponimo presenta varianti che risalgono proprio a fasi diverse della sequenza sopra riportata: la prima con due suoni velari, Kerkent, Kirkent /ker'kent, kir'kent/ (< */agir'genti/), la seconda con due suoni alveolari, Gergent o Jirjent /dʒer'dʒent, dʒir'dʒent/ (< /adʒir'dʒenti/). Tutto ciò non è passibile di spiegazione alcuna da parte dei sostenitori della pronuncia ecclesiastica ab aeterno.

sabato 30 luglio 2016

IL PIANETA DELLA DEMOCRAZIA

In un ammasso globulare c’era un pianeta abitato da una specie senziente affine a noi umani, organizzata in nazioni il cui ordine naturale era la democrazia. Il nome di quel pianeta era Faalu. Bisogna però specificare alcune cose.

1) Le caratteristiche orbitali di Faalu erano tali da garantire un clima mitissimo e costante su tutta la sua superficie, senza grandi escursioni termiche ed eventi calamitosi.

2) Le risorse di Faalu erano distribuite sull’intero globo in modo abbastanza omogeneo, cosicché non esistevano terre ricchissime e terre poverissime.

3) I popoli di Faalu erano tutti molto simili tra loro. Le massime differenze nei tratti somatici erano paragonabili a quelle che sussistono tra un milanese e uno scozzese.

4) I popoli di Faalu avevano lingue diverse, distanti come il basco dall’islandese o lo spagnolo dal turco, e indossavano abiti di foggia abbastanza dissimile, ma le loro culture non mostravano differenze sostanziali.

5) Su Faalu esistevano solo religioni innocue, fondate su offerte incruente a divinità locali dai contorni poco definiti, pallide, non interessate all’ordine morale del mondo: non vi sussisteva nessuna forma di monoteismo e l’idea di “religione vera” non vi era concepibile.

6) Le genti di Faalu non nutrivano fanatismo o animosità su nulla: non avevano tabù alimentari e la sessualità non destava in loro esplosioni di violenza come avviene sul nostro pianeta.

7) Le genti di Faalu mettevano al mondo pochi figli e in nessun caso più di quanti potessero mantenerne: quando una donna aveva partorito, per qualche anno non intratteneva rapporti nel vaso procreativo.

8) In tutte le società di Faalu la cooperazione prevaleva sull’egoismo e non vi erano individui che brigavano per accumulare ricchezze a scapito altrui. Il furto era ritenuta una stupida caratteristica dei bambini come il mettersi le dita nel naso, che richiedeva sforzi minimi da parte dei genitori per la sua correzione.

9) Avendo tutti i popoli di Faalu di che vivere con larghezza ed essendovi sconosciute avidità e superbia, a nessuno interessava muovere guerra ai vicini, così pure non si è mai trovata traccia di schiavitù.

Marco "Antares666" Moretti, luglio 2016

venerdì 29 luglio 2016


HEAVY METAL

Titolo originale: Heavy Metal
Paese di produzione:
Canada
Anno:
1981
Durata: 87 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: animazione, fantastico, fantascienza,
     orrore, musicale
Regia: Gerald Potterton
Sceneggiatura:
Len Blum
Produttore: Ivan Reitman
Produttore esecutivo: Leonard Mogel
Fotografia: Claude Lapierre, Brian Tufano, Ron
     Haines
Montaggio:
Janice Brown, Mick Manning
Musiche: Elmer Bernstein
Doppiatori originali:
    Richard Romanus: Harry Canyon
    John Candy: sergente amministrativo / Dan /
        Den / robot
    Alice Playten: Gloria
    Harvey Atkin: alieno / accolito
    Don Francks: Grimaldi / copilota / barbaro
    Jackie Burroughs: Katherine
    Eugene Levy: Capitano Sternn / reporter maschio
        / Edsel
    Al Waxman: Rudnick
    Marilyn Lightstone: prostituta / regina
    Harold Ramis: Zeke
Doppiatori italiani:

    Luca Ward: Harry Canyon
    Alessandro Rossi: Den
    Vittorio Stagni: robot
    Claudia Razzi: Gloria
    Renato Mori: Rudnick
    Renato Izzo: voce narrante
Colonna sonora: 
   "Radar Rider" (Riggs)
   "Veteran of the Psychic Wars" (Blue Öyster Cult)
    "True Companion" (Donald Fagen)
    "Heartbeat" (Riggs)
    "Blue Lamp" (Stevie Nicks)
    "Open Arms" (Journey)
    "Reach Out" (Cheap Trick)
    "Heavy Metal (Takin' a Ride)" (Don Felder)
    "I Must Be Dreamin'" (Cheap Trick)
    "Queen Bee" (Grand Funk Railroad)
    "Crazy? (A Suitable Case for Treatment)"
         (Nazareth)
    "All of You" (Don Felder)
    "Heavy Metal" (Sammy Hagar)
    "Prefabricated" (Trust)
    "The Mob Rules" (Black Sabbath)
    "Through Being Cool" (Devo)
    "Working in the Coal Mine" (Devo)
    "E5150" (Black Sabbath)
    "Vengeance (The Pact)" (Blue Öyster Cult)

Trama e recensione:

Questo splendido film d'animazione è composto da diversi episodi, tutti imperniati sul potere funesto della gemma verde chiamata Loc-Nar, che incarna il Male a livello cosmico e che corrompe irrimediabilmente l'ontologia di chiunque venga a contatto con la sua nefasta luce. Questo misterioso oggetto, che proviene dalle profondità siderali, fa da filo conduttore che lega tra loro personaggi e contesti molto diversi, terrestri e alieni. Così Loc-Nar stesso spiega la sua natura alla ragazzina a cui si manifesta: 

"Non tentare di scappare. Tu sei in mio controllo. Guardami: io sono la somma di tutti i mali. Guarda attentamente. Il mio potere infesta tutti i tempi, tutte le galassie, tutte le dimensioni. Ma molti ancora mi cercano, sono un gioiello verde che devono possedere. Guarda come distruggo le loro vite." 

Questo è l'elenco degli episodi con una breve descrizione: 

Soft Landing
Da uno Space Shuttle in orbita intorno alla Terra esce una Corvette guidata da un astronauta, che fa atterrare il veicolo in un canyon del deserto.

Grimaldi
L'astronauta, Grimaldi, arriva a casa ed è salutato dalla figlia, a cui mostra qualcosa che ha portato dal suo viaggio: una sfera di cristallo verde. Non appena è estratta dalla sua custodia, la gemma riduce l'astronauta in polvere, cresce a dismisura e si presenta alla ragazzina terrorizzata, rivelandole la propria essenza maligna. La costringe ad assistere alla luttuosa influenza che esercita nel tempo e nello spazio. 

Harry Canyon
Siamo nel 2031, in una New York distopica e degradata, in cui l'attuale quadro dell'immigrazione selvaggia sarebbe ritenuto idilliaco, essendo arrivata sulla Terra anche la feccia di altri pianeti. Il cinico e trasandato taxista Harry Canyon narra la sua giornata in perfetto stile noir. Assiste a una sparatoria e mette in salvo una ragazza, figlia di un archeologo ucciso da un gangster. La accoglie in casa e viene da lei a sapere della scoperta che è costata la vita al padre: il rinvenimento del Loc-Nar in un deserto. Gli eventi che susseguono sono convulsi fino al desolante finale: l'aver goduto delle grazie della giovane non impedirà a Harry Canyon di disintegrarla per legittima difesa.

Den
Il nerd diciottenne Dan rinviene il Loc-Nar, e durante un esperimento sui fulmini nel corso di un temporale viene teletrasportato dalla gemma in un altro universo. Si ritrova dotato di un fisico erculeo, su un pianeta abitato da umani e da semiumani. Dan, il cui nuovo nome è Den, si imbatte in un rituale in cui una giovane donna sta per essere sacrificata al demone Uhluhtc (una pronuncia inversa di Cthulhu) da una crudele regina. Trae in salvo la ragazza e scopre che si chiama Katherine. Proviene da Gibilterra ed è finita anche lei su quel misterioso pianeta. Per ringraziare il suo salvatore, gli si concede, e lui la penetra nel vaso procreativo. Prima di poter eiaculare, viene interrotto dai soldati di un tirannello effeminatissimo, Ard, che vuole impadronirsi del Loc-Nar per diventare Imperatore dell'Universo. Den si introduce nel palazzo della Regina per rubare il gioiello, ma viene scoperto. La sovrana, notate le doti fisiche del giovane, gli risparmia la vita in cambio di prestazioni sessuali: accoglie il suo fallo tra le gambe, dentro la vagina. Tuttavia nemmeno questa volta Den riuscirà a raggiungere il culmine. Al termine di una serie di peripezie, Den e Katherine riusciranno a sconfiggere i malvagi, ma rinunceranno al possesso di Loc-Nar e a ogni tentativo di tornare sulla Terra, scegliendo di vivere la loro vita lontano dal Potere e dalle sue conseguenze nefaste. 

Captain Sternn
Su una stazione spaziale in cui convivono umani e alieni di vari tipi, il Capitano Sternn è sotto processo e pende su di lui la condanna capitale. I crimini di cui viene accusato sono innumerevoli e gravissimi. Contro il parere dell'avvocato, Sternn si ostina a proclamarsi innocente, e chiama a deporre come testimone un certo Hanover Fist. Si tratta in apparenza di un povero di spirito, che elogia l'accusato in tutti i modi possibili. Tuttavia a un certo punto, avendo trovato in un corridoio il Loc-Nar, subisce una spaventosa metamorfosi trasformandosi in un colossale energumeno. Prima vomita un torrente di accuse tremende contro il Capitano Sternn, accusandolo anche di pedofilia, poi si mette a devastare l'aula, spargendo il terrore. L'energumeno aggredisce Sternn mettendolo con le spalle al muro, ma presto si capisce che i due si erano accordati. Hanover Fist ritorna al suo stato normale e riceve il compenso per la commedia che ha recitato. Il militare corrotto, stringendo Loc-Nar, fuggirà dalla colonia, pronto a diffondere il Male tra le galassie, come una pestilenza.  

B17
Durante la Seconda Guerra Mondiale, un bombardiere B-17 soprannominato "Pacific Pearl" subisce gravi danni durante un'operazione. Il copilota lascia la cabina di comando per verificare le condizioni dell'equipaggio, constatando che sono tutti morti. A questo punto si accorge della presenza del Loc-Nar, una luce verde che insegue il bombardiere per entrare al suo interno. I cadaveri si animano, trasformandosi in zombie sanguinari, che uccidono lo sventurato copilota. Il fato del pilota sarà peggiore di mille morti! 

So Beautiful and So Dangerous
Il Dottor Anrack è uno scienziato che giunge al Pentagono per un summit sulle misteriose mutazioni genetiche che si stanno diffondendo negli Stati Uniti. Mentre la riunione si svolge, egli nota che la prosperosa stenografa Gloria porta al collo il Loc-Nar e si avventa contro di lei. La donna crede che lo scienziato stia cercando di stuprarla, ma all'improvviso un'astronave immensa irrompe nell'edificio squarciando il tetto e rapisce i due. A bordo ci sono un robot e grotteschi due piloti alieni. Il Dottor Anrack si rivela essere un androide danneggiato e viene lasciato al suo destino. Gloria desta l'interesse morboso del comandante robotico, che la seduce e la convince ad avere una seduta di sesso meccanico. Nel frattempo gli alieni assumono dosi massicce di una droga simile alla cocaina. Troppo storditi per condurre l'astronave, riescono a comunque a portare a termine un atterraggio non proprio morbido in una stazione spaziale di proporzioni inaudite.   

Taarna
Il Loc-Nar, grande come una meteora, si schianta su un vulcano che si mette a eruttare lava verde. Una tribù rimane contaminata e subisce una trasformazione mostruosa: ogni persona diventa un mutante barbarico dalle membra abnormi, votato alla distruzione e alla morte. L'orda tumulta e compie massacri spaventosi, assaltando una città e portandovi la devastazione. I notabili della città, prima di essere uccisi dai mostri, si riuniscono e in preda alla disperazione evocano Taarna la Taarakiana, ultima della sua stirpe guerriera. Taarna è una splendida amazzone albina, dotata di forza sovrumana, che solca i cieli su un volatile spettrale. Arriva troppo tardi per fermare il massacro, così si dirige alla roccaforte dei mutanti in cerca di vendetta. Dopo aver affrontato non poche difficotà, la valorosa Taarna, sebbene gravemente ferita, riesce a uccidere il capo dei mutanti. Si getterà con la sua cavalcatura contro il vulcano, sacrificandosi per distruggere il Loc-Nar.

Epilogo
Il sacrificio di Taarna manda in criticità il Loc-Nar che parla alla figlia di Grimaldi, facendolo esplodere. Come ciò accade, la ragazzina viene raggiunta dalla cavalcatura di Taarna e subisce un inatteso mutamento. I suoi capelli diventano bianchi come la neve, e sul collo si evidenzia il segno tipico della stirpe Taarakiana, un tatuaggio rosso a forma di spada. 


 
Origini del film e sua rilevanzza artistica

Il film attinge alla famosa rivista di fumetti americana Heavy Metal, fondata nel 1977 da Leonard Mogel, a sua volta nata per ispirazione di Métal Hurlant, magazine francese altamente innovativo. Le storie di Métal Hurlant nascevano da un geniale intreccio di fantasy e fantascienza, che generava mondi fino ad allora inimmaginabili, pervasi da un vivido erotismo e da una grande violenza. L'importazione di tutto questo in America ad opera di Mogel fu un autentico atto rivoluzionario che travalicò i confini del fumetto, trasferendo nel cinema le storie della rivista. Fu così che nacque il lungometraggio Heavy Metal, in un'epoca in cui i cartoni animati erano ritenuti un innocuo passatempo per bambini. All'inizio il prodotto ebbe grandi difficoltà a diffondersi, subendo numerose censure: per via delle scene erotiche e violente fu vietato ai minori di 14 anni (R rated).
Ogni singolo elemento che compone quest'opera è eccellente, a partire dall'arte grafica e dalla tecnica di animazione. Notevolissima è la colonna sonora, che si avvale di nomi celebri come i Black Sabbath, i Blue
Öyster Cult, i Devo e Stevie Nicks. Alcune delle canzoni furono composte appositamente per il film. Tra i doppiatori originali merita una menzione John Candy, ottimo attore che intrepretò tra l'altro il Canuomo in Balle Spaziali e l'investigatore Harry Crumb (nervi d'acciaio, muscoli di ferro, cervello di roccia). 
Purtroppo in Italia Heavy Metal ha incontrato difficoltà di distribuzione e avuto una notorietà abbastanza limitata. Uscito nel 1982, fu presto ritirato dalle sale, mentre una versione in VHS apparve dopo un decennio. Segnalo che è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 09/03/2009 a Milano.

Contenuti filosofici

Pietra miliare nella lotta contro ogni tentativo di negazione dell'esistenza del Male, questo capolavoro si pone in nettissima linea di frattura con il pensiero moderno che fa delle categorie morali un'opinione e con il potere mondano delle religioni che affermando una divinità onnipotente e al contempo "buona", finiscono col chiamare "mistero" o "assenza" tutto ciò che sfugge ai loro schemi stoltissimi. Il finale del film non deve indurre a concludere ingenuamente che il Male sia stato sconfitto: la stessa metamorfosi della figlia di Grimaldi nella nuova Taarna è prova inequivocabile del fatto che la battaglia cosmica continua ed è eterna. Ad essere stato distrutto non è il Loc-Nar nella sua essenza maligna, ma soltanto una sua manifestazione in alcune dimensioni. A riprova di questo, è stato realizzato un sequel, Heavy Metal 2000, che non ho ancora avuto occasione di visionare. Quando avrò posto rimedio a questa mancanza, scriverò senza dubbio una recensione. 

Contenuti profetici

Nel film è data una descrizione dettagliata del funzionamento dei palazzi del potere italiani in quest'epoca di decadenza estrema. Le cose vanno nel seguente modo.

1) Prima fase della giornata. Si scaldano i cuori: è arrivata la fornitura di sacchi!


2) Seconda fase della giornata. Il parlamentare di turno colloca un sacco nell'apposita macchinetta erogatrice e comincia a creare le piste.

3) Terza fase della giornata. Inalazione profonda!

giovedì 28 luglio 2016


FLESH GORDON 

Titolo italiano: Flesh Gordon - Andata e ritorno...
    dal pianeta Porno! 

Titolo originale:
Flesh Gordon
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 1974
Durata: 78 min
  82 min (1994 videocassetta italiana)
  90 min (Collector's edition)
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: fantascienza, erotico, commedia, trash,
     demenziale, sexploitation 
Regia: Michael Benveniste, Howard Ziehm
Soggetto: Michael Benveniste
Sceneggiatura: Michael Benveniste
Produttore: Bill Osco, Howard Ziehm
Compagnia di produzione: Graffiti Productions
Distribuzione: Mammoth Films
Fotografia: Howard Ziehm
Montaggio: Abbas Amin
Effetti speciali: Walter R. Cichy, Tom Scherman,
    Howard Ziehm
Musiche: Ralph Ferraro
Scenografia: Donald Lee Harris
Costumi: Ruth Glunt
Trucco: Bjo Trimble, Marcina Motter
Interpreti e personaggi:
    Jason Williams: Flesh Gordon
    Suzanne Fields: Dale Ardor
    Joseph Hudgins: Dott. Vaffa (Dr. Flexi Jerkoff)
    William Dennis Hunt: Imperatore Wang
        il Pervertito
    Candy Samples: Nellie, capo amazzoni
    Mycle Brandy: Amora
    John Hoyt: Prof. Gordon
    Lance Larsen: Principe Pirla (Prince Precious)
    Craig T. Nelson: Il mostro (voce)
    Robert V. Greene: Voce narrante
Doppiatori italiani:
    Cesare Barbetti: Flesh Gordon
    Micaela Esdra: Dale Ardor
    Luciano De Ambrosis: Dott. Vaffa (Dr. Flexi
         Jerkoff)
    Renato Mori: Imperatore Wang il pervertito
    Fiorella Betti: Nellie, capo amazzoni
    Flaminia Jandolo: Amora
    Giorgio Piazza: Prof. Gordon
    Gianni Marzocchi: Principe Pirla (Prince
         Precious)
    Sergio Fiorentini: Il mostro (voce)
    Romano Ghini: Voce narrante
Budget:
$470,000

Trama:
Siamo negli anni Trenta. La Terra è all'improvviso bombardata dai raggi sex-cosmici, che provocano epidemie di impazzimento erotico, trasformando le nazioni in gigantesche orge. La popolazione perde il controllo e si abbandona alla voluttà più sfrenata. Flesh Gordon e la giornalista Dale Ardor sono su un aereo che vivene colpito da un fascio di raggi sex, che precipita, dato che i piloti si uniscono ai baccanali lasciando i posti di guida. Flesh e Dale si salvano per miracolo, gettandosi col paracadute e finendo per puro caso nei pressi della casa del Dottor Vaffa, uno scienziato pazzo che ha costruito una prodigiosa astronave fallica in grado di sollevarsi su spirali di stronzio sintetico. I tre partono per una spedizione spaziale, al fine di stabilire quale sia la sorgente delle devastanti radiazioni che stanno dissolvendo ogni parvenza di ordine sociale. Il veicolo, che sembra un grosso pene metallico, attraversa la zozzonsfera, uno spesso strato di immondizia che gravita attorno alla Terra, dirigendosi quindi nelle profondità siderali. Alla fine viene raggiunto il pianeta Porno, sorgente dei raggi sex-cosmici. Atterrati, Flesh, Dale e il Dottor Vaffa si ritrovano nei domini del perfido Imperatore Wang il Pervertito, che i sudditi riveriscono con gli appellativi "Sua Schifosità" e "Sua Paraculaggine". Molti i pericoli e le meraviglie che i nostri eroi dovranno affrontare: i ruggenti e ciclopici penesauri, il sodalizio lesbico delle Amazzoni di Porno, i grotteschi robot trapanatori dotati di un rostro perforante piazzato tra le gambe, e per finire un mostro gigante che parla con inequivocabile accento siciliano. Abbattuta la tirannide di Wang il Pervertito e distrutta la sorgente dei temibili raggi sex, Flesh Gordon e i suoi compagni saranno acclamati come eroi dalla popolazione di Porno e torneranno sulla Terra carichi di gloria. 

Recensione:

Flesh Gordon è una parodia erotica del popolare Flash Gordon: il nome Flash, ossia Lampo, viene trasformato nel quasi omofono Flesh, ossia Carne. Tecnicamente parlando, il film può essere ritenuto un softcore o porno soft. Quando lo vidi per la prima volta, all'epoca in cui studiavo all'università, fui portato a credere che esistesse un originale in tutto e per tutto hard, in cui si vedevano erezioni e atti sessuali completi, che poi sarebbe stato abbondantemente sforbiciato per ottenere la versione disponibile. Nonostante le ricerche fatte da me e da miei amici, questa fantomatica Ur-Version non saltò mai fuori e sono ora convinto che si tratti di un mero parto della fantasia. In effetti la versione originale era classificata come X dalla Motion Picture Association of America (MPAA), ossia per adulti, ma in seguito alcune brevi scene furono tagliate perché il film fosse classificato come R (restricted, ossia vietato ai minori di 17 anni non accompagnati). Flesh Gordon appartiene al filone demenziale del cinema trash, ma mostra alcune caratteristiche proprie del genere fantastico, come gli effetti speciali non proprio rudimentali e la creazione di una locandina straordinariamente dettagliata. 

Il potere della Censura, illimitato nell'Italia della DC, ha imposto la trasformazione di Porno in Korno per eliminare ogni allusione erotica. Tuttavia, a quanto mi consta, la sostituzione è avvenuta soltanto sulla copertina, avendo i dialoghi del film conservato in modo inequivocabile la forma Porno in ogni edizione.

La questione dei nomi dei personaggi e della loro traduzione in italiano - che li ha spesso migliorati - è un argomento che merita a parer mio di essere approfondito. Due strane corrispondenze saltano subito all'occhio: 

Doctor Flexi Jerkoff => Dottor Vaffa
Prince Precious => Principe Pirla

Flexi Jerkoff sta chiaramente per flexible jerk off: il verbo jerk off significa "masturbarsi", detto di uomo o di ragazzo (es. The man was jerking off to a porn movie) e nel complesso il bizzarro nominativo evoca un gigantesco membro in perenne stato di semierezione. Senza dubbio l'italiano Vaffa è molto più diretto, anche se si perde il riferimento al nome del personaggio originale, Alexi Zarkov. Si noti l'ingegnoso uso dell'avverbio off (ormai ridotto a vero e proprio suffissoide) per rendere la caratteristica uscita -ov di molti cognomi russi (sorta da un genitivo plurale maschile).  
Prince Precious, ossia "Principe Prezioso", fa chiaro riferimento agli atteggiamenti del nobiluomo effeminatissimo, riconducibili in tutto e per tutto alla subcultura gay più fatua. Il personaggio, come il suo originale in Flash Gordon, è modellato sulla figura di Robin Hood, anzi, è semplicemente una sua versione extraterrestre e pagana.
Alcune allusioni sfuggono al pubblico italiano. Se è chiaro che Dale Ardor è così chiamata per via dei suoi ardori sessuali (il personaggio originale è Dale Arden), il nome di Wang il Pervertito è enigmatico. Ingenuamente credevo che fosse un ardito gioco di parole, fondato sulla sostituzione del nome dell'originale Ming con il cinese wáng "re, monarca" (scritto con l'ideogramma 王). Nulla di così dotto: ho poi scoperto che wang è un termine gergale inglese che indica il pene: di cinese ha soltanto la sonorità. Il mostro, chiamato Dio del Male, una sorta di immane satiro grottesco di color marrone merda che si esprime come un picciotto di Cosa Nostra (dice anche "fangulo"), è definito The Great God Porno nell'originale. Difficile non vederlo come una degradazione del Gran Dio Pan. Ignoro se il marcato accento siculo si trovi anche nella versione in inglese o se sia una geniale trovata dei doppiatori italiani.  

Il sacerdote che celebra il matrimonio tra l'Imperatore Wang il Pervertito e Dale Ardor intona una bizzarra litania nuziale in cui ricorre l'invocazione "diretto da Pier Paolo", chiarissima allusione a Pier Paolo Pasolini. Ho pensato che il riferimento specifico fosse la coprofagia descritta in Salò o le 120 Giornate di Sodoma, ma ho dovuto rinunciare alla spiegazione per motivi cronologici: Flesh Gordon è del '74 e Salò uscì l'anno successivo: forse si voleva alludere all'omosessualità dell'intellettuale. Non è tuttavia così assurdo immaginare che Dale Ardor e il suo augusto marito si sarebbero intrattenuti in giochi scat se la cerimonia non fosse stata interrotta dall'incursione dell'eroe. Non so come fosse il testo originale intonato dal prete salmodiante, ma senza dubbio la traduzione ha portato un significativo arricchimento. Senza dubbio più sensato di quanto accade nel film Flash Gordon (1980), in cui il matrimonio tra l'Imperatore Ming e Dale Arden avveniva sulle note della squallidissima marcia nuziale di Mendelssohn, come se quella lagna debba per necessità essere diffusa in tutto l'Universo conosciuto e oltre.

A questo punto non posso evitare alcune riflessioni filosofiche. Il Gran Dio Porno non è soltanto un grottesco simulacro animato. Rappresenta il Male Metafisico, Principio Primo Increato, dotato di propri codici e di una propria realtà oggettiva, innegabile quanto funesta. Nonostante le nazioni del mondo e le loro inique istituzioni abbiano cercato e cerchino tuttora in tutti i modi di imporre l'idea di Male come assenza, come negazione di una qualità positiva, si nota con soddisfazione che non hanno avuto pieno successo nel tentativo di soffocare la Verità. Continuano infatti ad esistere film e altri prodotti artistici che rappresentano la ribellione contro le deleterie dottrine di Agostino d'Ippona e della Scolastica. Possa non aver mai fine la strenua battaglia contro ogni tentativo di banalizzazione del Male!

Per concludere, segnalo queste due recensioni trovate nel Web:


domenica 24 luglio 2016


METTI LO DIAVOLO TUO NE LO MIO INFERNO

Titolo originale: Metti lo diavolo tuo ne lo mio
     inferno
Lingua originale: italiano
Paese di produzione: Italia
Anno: 1972
Durata: 85 min
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: commedia, erotico
Regia: Bitto Albertini
Soggetto: Bitto Albertini,
   Vittorio Vighi
Sceneggiatura: Marino Onorati,
   Bitto Albertini
Produttore: Wolfranco Coccia
Fotografia: Pier Luigi Santi
Montaggio: Alberto Moriani
Musiche: Stelvio Cipriani
Scenografia: Stefano Paltrinieri
Costumi: Adriana Spadaro
Interpreti e personaggi:
    Antonio Cantafora: Ricciardetto
    Melinda Pillon: Monna Violante
    Margaret Rose Keil: Amalasunta
    Piera Viotti: Monna Elisa
    Alessandra Maravia: "Madre Badessa"
    Renate Schmidt: La Taverniera
    Mario Frera: Fra' Gaudenzio
    Mimmo Baldi: Martuccio
    Luca Sportelli: Geppino
    Gennaro Masini: Arturo
    Mario De Vico: Cardinale
    Giorgio Bixio: padre di Isabella
    Gennarino Pappagalli: Monsignore
    Bruno Boschetti: frate dal Veneto
    Renate Schmidt: la Taverniera
Doppiatori italiani:
    Gianni Giuliano: Ricciardetto
    Lorenza Biella: Monna Violante
    Marzia Ubaldi: Amalasunta
    Franco Latini: Martuccio

Trama (da Comingsoon.it):
Maestro Ricciardo, un giovine pittore cui il podestà di Montelupone ha commissionato il ritratto della propria moglie, divide il suo tempo tra il sedurre le donne del paese e l'escogitare idee per favorire l'economia del medesimo. Indetto da Bonifacio VIII, l'Anno Santo poiché Montelupone rischia di perdere - a vantaggio del vicino paese di Buoncostume - il denaro dei pellegrini in viaggio verso Roma, Ricciardo fa in modo, distruggendo un ponte, che costoro siano costretti a evitare la cittadina rivale e a passare per Montelupone. Gli affari dei suoi abitanti cominciano a prosperare e Ricciardo; considerato un benefattore, può dedicarsi alla sua attività preferita di cacciatore di donne. Quando il podestà però, che si ritiene l'unico a non essere stato tradito dalla moglie scopre costei a letto con Ricciardo condanna il pittore ad essere evirato. L'intervento di una nobildonna, incallita peccatrice, salva Ricciardo dall'atroce punizione.

Recensione:

"Servendosi della trama unicamente quale pretesto narrativo, il film si profonde, con estrema monotonia di situazioni e privo di ogni memoria del buon gusto o del senso del pudore, in scenette pornografiche vagamente ispirate al materiale boccaccesco." (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 75, 1972)

Memorabile la scena in cui l'amante si nasconde in una cassa di legno che si rivela un ingegnoso gabinetto dell'epoca. Tale cassa presenta due buchi in cima, su cui i signori della casa usano mettersi in posizione defecatoria, facendo cadere gli escrementi di sotto. Così accade che il pingue nobiluomo si siede su quell'ameno cesso assieme alla moglie ignaro del cavaliere che si nasconde là sotto, e comincia allegramente a rilasciare le feci. La telecamera riprende ciò che avviene all'interno del gabinetto: grosse pallottole di sterco piovono proprio sul naso dell'intruso nascosto, che distorce il volto in smorfie di assoluto disgusto. La moglie del nobiluomo è un po' stitica e fa fatica: dall'ano non le esce nulla. Il telespettatore è tenuto sotto tensione, nella spasmodica attesa di vedere anche la merda della donna addosso all'amante. Tuttavia, proprio quando lei riesce a liberarsi, ecco che le riprese cambiano e uno resta col fiato sospeso, volente o nolente, interrogandosi sulla merda della dama, sulla sua consistenza e sulla dinamica del suo impatto. La morbosità viene frustrata senza rimedio. Questa è una delle poche testimonianze di coprofilia che si trovino in un film italiano (un'altra è ovviamente in Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini) - e credo in assoluto l'unica in una commedia italiana.

Il titolo del film, "Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno", è - anche se di certo involontariamente - una delle poche interessanti manifestazioni di una dottrina dualista medievale nell'Italia moderna. Se per San Francesco la Natura è buona e composta per intero da Fratelli e Sorelle - pur dimenticandosi di Sorella Merda nel suo famoso Cantico - per i Catari la Natura è malvagia, irredimibile e creazione di Satana. Così chiamare "diavolo" il pene e "inferno" la vagina è in tutto e per tutto Dottrina dei Buoni Uomini, qualcosa che si distacca radicalmente dalla spiritualità mainstream dell'epoca e dalla teologia cattolica. Come sopra accennato, quello che duole è il fatto che tutto ciò non sia il prodotto di una mente consapevole. Ecco dove siamo ridotti a cercare barlumi di una religione un tempo gloriosa e ora obliata: nelle più turpi e grossolane commedie!

La recensione negativa del navigatore mm40, trovata su Filmtv.it, merita senza dubbio di essere riportata in questa sede:

"Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno ha un ruolo di culto fra i tanti decamerotici (commedie pecorecce farcite di nudi e volgarità, che vennero realizzate in serie e a bassissimo budget nel giro di 3-4 anni in seguito all'uscita del Decameron di Pasolini, 1971). Non si capisce bene perchè: forse per il curioso e arzigogolato titolo - tratto da una battuta del film -, perchè in effetti nè regista, nè interpreti, nè situazioni particolari della trama possono rimanere più di tanto impressi positivamente nella mente dello spettatore e aiutarlo magari a distinguere questo lavoro dagli innumerevoli similissimi che in quel periodo il cinema italiano sfornava senza posa. Bitto Albertini è fuori luogo: amante di un cinema esotico, da cartolina (Emanuelle nera, Nudo e crudele sono fra i suoi titoli più noti), qui si ritrova a dover imbastire una farsuccia scombiccherata a base di corna, nudi femminili e altre corna, con una sceneggiatura scritta peraltro proprio da lui con la collaborazione di Marino Onorati, mestierante non del tutto disprezzabile (Ultimo tango a Zagarol, L'esorciccio). Allo stesso modo il cast è assolutamente risibile: gli unici nomi che spiccano sono quelli di due caratteristi come Antonio Cantafora (qui protagonista) e Luca Sportelli (in un ruolo minore); si aggiungano pure le musiche dozzinali di uno Stelvio Cipriani fuori forma, nonchè le già note lacune tecniche del regista (in questo caso, data la realizzazione misera e frettolosa, perfino esuberanti): la frittata è fatta. Di Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno vale la pena segnalare soltanto una breve scena che vede marito e moglie seduti vicini sulle domestiche cloache; mentre i sottintesi erotici/sessuali si sprecano (l'amante di lei è nascosto nella 'tazza' di lui), lui sta defecando copiosamente e Albertini non manca di inquadrare dettagliatamente la produzione dell'atto, che va a spalmarsi leggiadra sul terzo (mai così tanto) incomodo. La storia del teatro e della letteratura mondiale potrebbe essere sconvolta: nasce il nuovo binomio Amore e Merda. 1/10."   

Che altro dire? Senza volerlo, mm40 evoca quello che a parer mio dovrebbe fondare ogni rappresentazione dei rapporti tra i sessi: l'indissuolubile unione dell'Amore e dello Sterco. Tutto inizia e finisce nella Merda. Che teatro e letteratura siano devastati da una Rivoluzione Fecale! 

Citazioni:
"A Montelupone si pecca bene e ci si purifica meglio."

Altre bizzarrie: 
Notevole è il personaggio di un mercenario svizzero, ardente sodomita attivo che cerca ogni pretesto per sfondare deretani, ricorrendo a un ingegnoso agguato.

mercoledì 20 luglio 2016


COLLASSO. COME LE SOCIETÀ
SCELGONO DI MORIRE O VIVERE

Titolo originale: Collapse: How societies choose
     to fail or succeed

Autore: Jared Diamond
Prima edizione: 2005
Lingua originale: Inglese
Genere: Antropologico/storico
Editore: Einaudi
Collana: Saggi
Curatore: L. Civalleri
Traduttore: F. Leardini

Sinossi (da Amazon.it): Sono molte le civiltà del passato che parevano solide e che invece sono scomparse. E se è successo nel passato, perché non potrebbe accadere anche a noi? Diamond si lancia in un ampio giro del mondo alla ricerca di casi esemplari con i quali mettere alla prova le sue teorie. Osserva somiglianze e differenze, storie e destini di antiche civiltà (i Maya, i Vichinghi, l'Isola di Pasqua), di società appartenenti al Terzo Mondo (Ruanda, Haiti, Repubblica Dominicana) o che nel giro di un solo secolo si sono impoverite, e individua le cause principali che stanno dietro al collasso: degrado ambientale, cambiamento climatico, crollo dei commerci, avversità dei popoli vicini, incapacità culturali e politiche di affrontare i problemi.

Indice:

    Prologo - Due fattorie
    Parte prima - Un caso di studio: il Montana
        1. I cieli sconfinati del Montana
    Parte seconda - Il passato
        2. Il crepuscolo degli idoli di pietra
        3. Gli ultimi sopravvissuti: le isole Pitcairn ed
            Henderson
        4. Gli antichi americani: gli anasazi e i loro
            vicini
        5. I Maya: ascese e cadute
        6. I vichinghi: preludi e fughe
        7. La verde Groenlandia
        8. La fine dei norvegesi in Groenlandia
        9. Due strade per la vittoria
    Parte terza - Il presente
        10. Malthus in Africa: genocidio in Ruanda
        11. Un'isola, due popoli, due storie: la
             Repubblica domenicana e Haiti
        12. La Cina, un gigante instabile
        13. L'Australia, grande miniera
    Parte quarta - Lezioni per il futuro
        14. Perché i popoli fanno scelte sbagliate?
        15. Business e ambiente
        16. Il mondo è il nostro polder

Recensione:

Questo libro di Diamond è un autentico gioiello, pieno zeppo di informazioni che non è facile reperire e che sono di grande pregio, vere e proprie boccate di ossigeno per la mente. Ovviamente le pagine più ispirate sono quelle che ritraggono civiltà che non hanno avuto successo nei loro tentativi di sopravvivere e che sono quindi incorse nel disastro. Trovo invece meno interessanti i tentativi di trarre una morale ottimistica dalla gigantesca mole di dati riportati. Se l'autore identifica correttamente la causa principale del genocidio del Ruanda, ossia la pressione demografica - arrivando a preconizzare un suo possibile ripresentarsi - non gli riesce di comprendere che tali mattanze non riguarderanno nel prossimo futuro soltanto l'Africa, ma fioriranno ineluttabilmente in Europa. Infatti proprio le nazioni del Vecchio Continente costituiscono il ricettacolo in cui si già adesso si stanno sversando le eccedenze demografiche delle regioni subsahariane, con tutto ciò che ne consegue. Credere che dalla globalizzazione possano scaturire motivi di speranza, seppur cauta, mi sembra assurdo come pensare che si possa curare un'infezione da Escherichia coli tramite pratiche di coprofagia. Non mi si dovrà dunque biasimare se affermo che il libro è tanto meno riuscito quanto più si procede nella lettura, andando dal capolavoro che è l'analisi del passato alla mediocrità delle conclusioni.  

La parte che illustra la storia della colonia norvegese in Groenlandia è piena di dettagli curiosi ed è quella che mi ha più colpito. Solo per fare un esempio, ci si imbatte in un fatto innegabile quanto strano: i discendenti dei Vichinghi stanziati nella Terra Verde non mangiavano pesce. Dall'analisi dei sedimenti di rifiuti di diversi siti, i residui ittici ammontano a circa lo 0,1% del totale (contro percentuali maggiori del 50% in Islanda e in Norvegia). Non si sono trovati quasi strumenti adatti alla pesca, come ami e lenze. In un sito addirittura fu mangiato un solo merluzzo nel corso di un secolo. Diamond riesce a resistere a tutti i tentativi cervellotici di spiegare questa anomalia, enunciando un'ipotesi geniale. Il fondatore della colonia, Erik il Rosso, fece una terribile indigestione di pesce e si salvò per miracolo. Come conseguenza per 450 anni il pesce in Groenlandia fu tabù, anche a costo della morte per fame.

Le condizioni di vita erano spaventose e si facevano sempre più dure con il passar dei decenni. I discendenti dei primi coloni, legati all'allevamento del bestiame bovino, si dimostrarono incapaci di far fronte al clima che procedeva verso una vera e propria piccola glaciazione. I bovini era liberi di pascolare per pochi mesi l'anno, poi venivano rinchiusi in poste che erano come sepolcri, dove rimanevano murati durante il terribile inverno. Gli escrementi non potevano essere rimossi e nel corso della stagione invernale si accumulavano fin quasi a soffocarli. I servi dovevano trascorrere i mesi bui in tali buchi di merda, impegnati a nutrire a forza gli animali. Soltanto la primavera successiva i bovini venivano liberati dalla loro atroce prigionia: le poste venivano aperte, lo sterco veniva spazzato via e il bestiame reso rachitico cercava di reggersi sulle proprie deboli gambe, avviandosi al pascolo. Era un allevamento che richiedeva una gran quantità di sforzi e che non rendeva nulla: venne continuato fino alla fine perché era ritenuto segno di prestigio sociale.

Nonostante le condizioni disumane di sopravvivenza, i Groenlandesi investivano gran parte delle loro risorse per costruire chiese e per mantenere i vizi del Vescovo, che faceva importare vino e campane di bronzo a costi proibitivi. Per alimentare queste pretese inique e per pagare le esose decime, venivano organizzate battute nel Norðrseta, il territorio di caccia del Nord. Erano spedizioni pericolosissime, che sottraevano una gran parte della forza lavoro alla comunità proprio nella stagione del maggior bisogno. Causa la scarsità di legno e di ferro, le imbarcazioni erano malsicure, le armi rudimentali e poco adatte ad affrontare le fiere. Eppure con questi mezzi, i cacciatori riuscivano a massacrare un gran numero di trichechi e di orsi polari. Le carcasse venivano macellate in loco: non c'era posto per la carne sulle navi. Veniva trasportato qualche esemplare vivo di orso polare vivo e di girifalco, oltre alle pelli degli animali uccisi e alle zanne dei trichechi. Si trattava di merci inestimabili, che pretendevano però uno spaventoso tributo di sangue. 

L'autore è assolutamente incapace di accettare che i Groenlandesi non abbiano adottato la tecnologia degli Inuit, che avrebbe permesso loro di sopravvivere - ad esempio cacciando le balene in mare aperto. Per molte pagine continua a chiedersi perché questi discendenti di Vichinghi abbiano dissipato risorse per la costruzione di chiese, per le pompe del Vescovo e per le spedizioni nel Norðrseta. Nonostante la sua acuta capacità d'analisi e la vastità delle sue conoscenze, Diamond non coglie appieno il nòcciolo della questione. Pur enunciando in termini freddamente razionali la corretta spiegazione dell'agire dei coloni, non è in grado di comprenderla: il suo pensiero laico ha il sopravvento, sembra quasi che egli si aspetti che ogni popolazione del globo in ogni epoca storica debba agire sempre e comunque secondo un principio laico. Tuttavia i Groenlandesi erano religiosi e ritenevano i pagani Inuit seme del Diavolo, non veri e propri esseri umani. Ogni forma di promiscuità con gli Skrælingar e con le loro usanze avrebbe avuto una conseguenza ben più tremenda della morte per fame: la Dannazione Eterna.

Trovo molto interessanti anche altre parti dell'opera, come quella che parla degli abitanti dell'Isola di Pasqua e quella dedicata agli Anasazi. In quello che oggi è il Sudovest degli Stati Uniti fiorirono diverse civiltà che edificarono strutture architettoniche mirabili. Queste culture si svilupparono e si estinsero in tempi diversi. Tra loro vi erano gli Anasazi, il cui nome significa Antichi nella lingua dei Navajo (l'endoetnico è sconosciuto). All'inizio l'area era ricca di conifere e di ginepri, che fornivano cibo e legname alla popolazione, integrando le risorse dell'agricoltura e della caccia. Nel corso dei secoli, la popolazione crescente e l'aridità del clima causarono seri problemi. Diamond descrive il disgregarsi della società fino al suo crollo finale, quando imperversarono lotte intestine e si verificò la prevalenza del cannibalismo. Un grave problema trattato da Diamond è quello degli studiosi negazionisti, che si sono a lungo ostinati a combattere con ogni mezzo l'idea che tra gli Anasazi potessero allignare costumi antropofagi. Tale forma di negazionismo è tutt'altro che raro in antropologia e ha la sua origine in motivazioni moralistiche che possono ben essere viste come un ramo del pestilenziale albero del buonismo. Il ragionamento di base è semplice, per quanto deleterio: "Se si ammettesse l'esistenza del cannibalismo svincolato da episodi estremi di necessità di sopravvivenza, si giungerebbe a conclusioni pessimistiche sulla natura umana". A tutto ciò si oppone - oltre che l'evidenza dei fatti - quanto detto da Kant: "Da un legno così storto come quello di cui è fatto l'uomo, non può uscire nulla di interamente diritto". Tramite le analisi di resti archeologici e di escrementi rinsecchiti si è riusciti a ricostruire con precisione la dinamica della tragedia in cui è perita la civiltà Anasazi. Intere famiglie sono state predate e sterminate, dai crani è stato prelevato lo scalpo (con buona pace di chi reputa la pratica non autoctona), le carni tagliate sono state cucinate assieme al mais, le ossa sono state spezzate per estrarne il midollo. Sono state trovate pentole usate per la cottura e nelle feci sono stati scoperti abbondanti resti di miosina umana. Escrementi depositati nel luogo del banchetto tiesteo, senza dubbio in spregio alle vittime che sono servite a satollare gli stomaci degli assassini. Questi sono i fatti di fronte ai quali nulla possono le menzogne dei buonisti di ogni genere.

sabato 16 luglio 2016

ALCUNE RIFLESSIONI SU ISLAM, TERRORISMO E RADIONUCLIDI

Si è obiettato infinite volte che "islamico" non è sinonimo di "terrorista" - e si continua a farlo in occasione di ogni atrocità compiuta da musulmani. Benissimo, sono il primo a riconoscere che i due concetti non sono affatto equivalenti. Tuttavia è bene fare qualche precisazione, e lo farò servendomi di semplici nozioni di fisica nucleare.

Ora spiegherò cosa sono gli islamici. Essi sono paragonabili a una gran massa di radionuclidi, come ad esempio il plutonio-239. La trasformazione di un islamico in un terrorista è paragonabile al decadimento di un atomo di plutonio-239. Nessuno può predire quando questo avviene, si sa soltanto che avverrà seguendo una legge probabilistica. Potrebbe accadere in qualsiasi momento come potrebbe non accadere per anni. Potrebbe benissimo non accadere mai nell'arco della vita della maggior parte degli islamici, ma questo all'atto pratico non cambia le cose. Non esiste nessun islamico immune dalla trasformazione, come non esiste nessun atomo di plutonio-239 immune da decadimento. Così il pizzaiolo egiziano che mi prepara la pizza maneggiando la carne di porco - un bravo ragazzo non particolarmente religioso che beve birra - un giorno potrebbe impugnare un coltellaccio e sgozzarmi. Se domani stesso dovessi apprendere che è andato in Siria e che tornerà per uccidere, la cosa non mi stupirebbe minimamente. 

Usare l'aggettivo "moderato" in riferimento agli islamici è un grave errore, in quanto attribuisce loro un'identità politica che non ha nessun riscontro con la realtà, che è una pura e semplice chimera. L'aggettivo corretto è "lassista". Si capisce bene che un islamico lassista è ben consapevole di essere in difetto, e il modello ideale a cui aspira è sempre e soltanto uno solo: il mujahid. I buonisti scambiano per identità politica l'accidia, la mancanza di volontà, l'incapacità di resistere alle tentazioni. Ancor più errano coloro che attribuiscono agli islamici lassisti l'adesione al concetto di "democrazia". Islam e democrazia sono due termini che fanno a pugni. Islam significa sottomissione alla volontà di Dio, mentre la democrazia è un tentativo balbuziente di affermazione della volontà umana.

Ho udito un imam sostenere, e non senza ragione, che al mondo i musulmani sono un miliardo e mezzo, aggiungendo che se fossero tutti come gli uomini del Califfo, la civiltà sul pianeta Terra non sarebbe possibile. L'Islam non è questo, continuava a dire, prendendo le distanze dal jihadismo. Grazie a Dio, l'Islam non è così, insisteva, pensando in questo modo di dare maggior forza alle sue argomentazioni. Però una chiara, inequivocabile condanna di chi uccide in nome di Dio non gliel'ho sentita mica pronunciare, in nessuna occasione. Ed è naturale. Se esistono versetti del Corano in cui si dice che gli infedeli devono essere sterminati, e che coloro che si arrendono devono essere sottomessi, nessun imam potrà mai davvero biasimare chi mette quei comandamenti in pratica. E come potrebbe senza contraddire la sua stessa religione? 

Qualcuno si chiede come le "fatwe" (sic) siano pronunciate contro vignettisti, scrittori, personaggi di spettacolo e mai contro i terroristi che infangano il Profeta e l'Islam con i loro crimini orrendi. Altri, rabbiosi, sciorinano decine di occorrenze di condanne - non certo veementi - pronunciate da imam nei confronti dei jihadisti, definiti "non islamici". Tutti costoro si ingannano. Esistono le false fatawa (mi si perdoni se per comodità non uso i macron), così come esiste la menzogna per motivi religiosi: si chiama taqiyya. È una semplice quanto efficace strategia di sopravvivenza o per propiziarsi poteri ostili. Uccidere per motivi religiosi era del tutto normale ai tempi di Maometto, le stragi non erano "crimini orrendi" e il pensiero umanitario odierno non solo non sussisteva: era inconcepibile. Pretendere di applicare le proprie categorie a realtà che non le concepiscono porta soltanto a un risultato: il disastro.

Al di là di tutte le ipotesi e le supposizioni che si leggono su quanto sta accadendo, resta un dato di fatto incontrovertibile: la diffusione del jihadismo e del salafismo in Europa è stata resa possibile dai buonisti. Dire che i buonisti sono vigliacchi traditori è riduttivo: essi sono gli equivalenti in forma umana dell'AIDS. Li si riconosce all'istante: cercano di difendere in tutti i modi i tagliagole e di scagliarsi contro gli anticorpi. Costoro sono pericolosi come la loro stessa ignoranza, sono letali strumenti della peste memetica. A sentirli, sono tutti uguali, identici e indistinguibili come le particelle di un gas quantistico. Le loro parole non sono prodotti di pensieri individuali: vengono dal Contagio. In virtù di chissà quale conoscenza occulta, questi agenti patogeni credono di aver stretto un patto con le oscure forze di Nemesi e di essere invulnerabili. Tutti i difensori dei tagliagole sono convinti di sapere tutto. Per alcuni è una macchinazione dell'America, le cui cause devono essere politiche ed economiche, dato che a sentir loro nessuno può credere a tal punto da uccidere in nome di Dio. Per altri invece il terrorismo semplicemente non esiste: gli assassini sono in tutti i casi "depressi", la causa di ogni attentato è sempre il "disagio". Sapere queste cose - così sostengono - permetterà loro di passare tra una pallottola e l'altra, di non essere coinvolti in alcuna esplosione, di non avere la gola recisa.