Compendio di Ortodossia Nihilista
Prefazione
Il nichilismo ortodosso contemporaneo è caratterizzato da un'accesa dialettica interna che vede contrapposti indirizzi e scuole di pensiero facenti capo a questo o quel personaggio esemplare scomparso, sia esso Richard Benedict, Lorenzo Ovietti, o l'asceta birmano citato da Allan Curwen nel suo taccuino di viaggi in Oriente.
Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, la polemica fra queste correnti non è di natura dottrinale, ma verte esclusivamente sulle implicazione e sugli esiti di carattere operativo della dottrina stessa. La controversia investe pertanto questioni di ordine strategico e non il nucleo teorico, unanimemente condiviso e indiscusso. Esso è rappresentato dal Compendio di Ortodossia Nihilista, testo anonimo diffuso per la prima volta in Italia, Francia, Spagna, Germania e Regno Unito sul finire degli anni Sessanta, sotto forma di opuscolo ciclostilato.
Numerose sono le ipotesi formulate in merito all'attribuzione del testo. Vi è chi, ravvisando corrispondenze di carattere stilistico fra il Compendio e l'opera di Ovietti, ha tratto la conclusione che questi ne sia l'autore. L'argomento addotto non è in alcun modo probante: il Compendio ha esercitato un'enorme influenza sui nichilisti, sia sotto il profilo contenutistico, sia sotto quello linguistico. Citazioni più o meno ampie del Compendio sono presenti tanto nei Quaderni di Benedict quanto nell'unico scritto oviettiano, Sulla via dell'annichilimento (datato 1971).
Il Compendio conobbe, sin dagli inizi, grande fortuna. Esso giungeva a colmare un vuoto, a soddisfare un'esigenza particolarmente sentita dai nichilisti. Nel 1975, al termine di un raduno marsigliese cui parteciparono delegazioni nichiliste da tutta Europa, furono assunte due solenni decisioni: in primis, il Compendio - per consenso unanime dei delegati - fu proclamato Testo ufficiale della conventicole nichiliste; in secondo luogo, fu istituito un comitato permanente (il Comitato per la difesa dell'Ortodossia Nichilista) allo scopo di garantire l'osservanza dei dogmi e perseguire le deviazioni dall'Ortodossia.
A tutt'oggi il Compendio costituisce un punto di riferimento imprescindibile vuoi per i nullisti, vuoi per gli studiosi del fenomeno nichilista in genere. Concettualmente, la sua forza risiede nell'estrema concisione, nella chiarezza e nella logica stringente dei contenuti. I numerosi commentari prodotti dai circoli nichilisti negli ultimi vent'anni testimoniano la grande attualità del Testo.
Il compianto Clemente Baggini ebbe ad affermare sul letto di morte: "Eliminate il Compendio e l'edificio nichilista crollerà in pezzi, privato della sua pietra angolare".
Pietro Ferrari, gennaio 1992
Compendio di Ortodossia Nihilista
Ciò che i dizionari filosofici e la pubblicistica ufficiale spacciano per "nihilismo" altro non è se non vergognoso inganno, un infame raggiro. Il nemico, in ogni tempo, ha provveduto con mille astuzie a falsificare, inquinare e svilire la dottrina che sola si erge in difesa della Verità contro la menzogna imperante. I bei nomi che i manuali di filosofia ostentano sotto la voce "nihilismo" niente hanno a che spartire con l'Ortodossia Nihilista, e se qualche isolato passo dei loro scritti sembra collimare con taluni articoli di fede, ciò è da attribuirsi a semplice casualità. I compilatori prezzolati, i depositari del sapere accademico, i dispensatori di ciarle, manovrano per conseguire i propri fini, primo fra tutti la conservazione della propria eminente posizione sociale. Corruttori di coscienze, non concepiscono altro dio all'infuori del proprio ego smisuratamente ingordo. Quali unici e indiscussi tenutari di un patrimonio d'idee logoro e inane, essi perpetuano il rito farsesco grazie al quale possono dir giustificate le loro inutili esistenze e i loro molti privilegi. Sicché non sorprende il fatto che codesta genia avverta come una minaccia il solo argomento che sia in grado di scuotere il trono di chiacchiere su cui sta assisa con tanto sussiego: il Nihilismo. Come tale lo combatte, mistificandolo, adulterandolo, ricorrendo ad ogni sotterfugio pur di ostacolarne la piena comprensione e diffusione.
Fiumi di farneticazioni son stati riversati sulla collettività dai sacerdoti della menzogna biofilica, con risultati devastanti. Lo spettacolo dell'umana miseria spirituale è sotto gli occhi di tutti i nihilisti. L'umanità, pur dotata di intelletto, anziché sottrarsi alla schiavitù della vita biologica e far cessare l'abominio che essa rappresenta, si è abbassata al rango del più sordido animale prolificando in ogni continente con progressione inarrestabile, a malapena contrastata dalle epidemie e dalle catastrofi naturali che periodicamente si abbattono sul pianeta e sulle creature che lo popolano, e solo l'insostenibilità delle condizioni climatiche ha impedito che dilagasse anche nei deserti, nelle giungle e fra le distese ghiacciate!
Eppure, non tutti gli uomini si piegano ad incensare l'orribile Moloch il cui nome è natura, non tutti si prestano all'atto criminale della procreazione; costoro conducono esistenze solitarie e crepuscolari, vite vegetative scandite solo dai tempi fisiologici del sonno e della veglia, sopravvivendo a stento ai margini del sociale. Sono esseri che, nobilmente, non lasciano traccia alcuna del loro passaggio in questo mondo. Si spengono in miseria e solitudine, talvolta ponendo volontariamente fine ai propri giorni. A questi paria, il Nihilismo offre la certezza della redenzione nella luce del Dogma.
Il Dogma Nihilista è la Verità, l'unica possibile Verità. Tutto ciò che esso non contempla è falso e biasimevole. Il Dogma è da sé stesso legittimato, non necessita di alcuna attribuzione di senso da parte di una tradizione precedente o di un'autorità soprastante, poiché reca in sé la fonte del vero. Non esiste auctoritas né traditio che non sia il Dogma stesso. Esso genera la propria essenza e la giustifica "causa sui". Il Dogma è Nihilismo, e il Nihilismo è fede nel Nulla.
Struttura compatta, solida, impermeabile ad ogni stolta obiezione biofilica, il Dogma si autoalimenta e fortifica i propri discepoli. Concetto supremo della Fede Nihilista, il Nulla è l'imponderabile e l'inimmaginabile, la negazione del vivente, della materia in tutte le sue forme, qualità, determinazioni, leggi e componenti, dell'universo nella sua interezza. E' l'antitesi assoluta dell'essere.
Vivere il Nihilismo significa esser contro sé stessi e l'umanità, recidere ogni legame con la comunità dei gaudenti, negare il consenso alle istituzioni che governano la società, avversare la natura come il proprio peggior nemico. Il comandamento dei nihilisti è: "Disprezza il mondo come te stesso".
Il Nulla, nell'ambito dell'esperienza individuale quotidiana, costituisce la dimensione spirituale e pratica del nihilista ortodosso. Esso equivale ad una specifica modalità di rapporto rispetto alle cose ed alla propria soggettività, che trova espressione nella disciplina esistenziale nihilista basata sulla rinuncia, sull'atarassia e sull'aprassia.
Per un nihilista la propria morte non è mai prematura. Una morte rapida e subitanea è sempre un evento auspicabile, da augurarsi in ogni istante. Cosa c'è di meglio che trapassare nel Nulla imperituro? Cosa c'è di meglio che cessare di esistere? La morte ci strappa dalle grinfie di una natura crudele, ci libera dal tormento della coscienza e del pensiero, della percezione sensoriale, dei bisogni fisiologici. Con la morte si smette di soffrire, di desiderare, di provare ansie e delusioni. Attendiamo dunque il suo sopraggiungere con animo sereno: insieme alla vita non perdiamo altro che un fardello di dolori.
Morire è preferibile al nascere, il non essere preferibile all'essere. Solo una perversa inclinazione al delitto è in grado di spiegare la perseveranza funesta degli umani nel procreare, nel voler garantire continuazione alla propria specie scellerata in ogni angolo del globo.
Quanta sozzura alberga nelle menti corrotte dei biofili! Sono così impregnate di malevolenza da non riconoscere l'empietà delle loro azioni e deliberazioni. Tutto ciò che è naturale è deprecabile. Il timore della morte, l'istinto di sopravvivenza sono componenti naturali che possiamo riconoscere in ciascuno di noi come altrettante zavorre. Esse ci ammorbano lo spirito, ci legano al pari di pesanti catene, ci annebbiano lo sguardo, impediscono ai più di intendere la Verità.
Insensato, folle attaccamento alla vita! Perché l'uomo fugge la morte, ne è così terrorizzato? La fine del nostro essere, realizzantesi nell'atto del morire, risulta così spaventevole che moltitudini di individui hanno coltivato le più stravaganti teorie religiose per tentare di esorcizzarla. Così, la fantasia umana ha partorito un aldilà per le anime dei defunti, oppure un ciclo di nascite e di morti, di successive reincarnazioni, sino al compimento del nirvana. Che si parli di aldilà o di reincarnazione il concetto non cambia: su tutto aleggia palpabile l'incapacità dell'essere umano di accettare l'idea della propria inesorabile fine, il non poter fare a meno di pensare e di sperare in una possibile continuazione, sia pur sotto forme diverse, dell'esperienza vitale. Quanto agli scientisti, per non essere da meno, han pensato bene di calare un senso nella storia, che ne è priva, inventando il concetto di progresso, e nelle singole persone, sublimandole nel collettivo, dotato di un'esistenza transindividuale perpetua. Escamotage pretestuoso e puerile, destinato a crollare sotto i colpi della critica nihilista. Né la storia, né il mondo, né le singole individualità son fornite del minimo senso e giustificazione.
La vita organica di per sé è un fenomeno perturbante, lesivo della perfezione del Nulla. Por fine ad essa, su scala planetaria, sarebbe quantomeno doveroso. Ma la razza umana, nella sua globalità, è irredimibile. Solo una limitatissima percentuale di persone acquista la piena consapevolezza del Vero e la liberazione dall'errore e dall'iniquità, abbracciando il Nihilismo.
Il Dogma ci rende partecipi della sublime beltà del non essere, che è completa espressione di libertà. Mettendo a tacere il nostro ego, lasciandoci pervadere dal vuoto, potremo accoglierne il messaggio, inintellegibile ai biofili.
Dobbiamo morire ogni giorno, ignorando gli istinti riproduttivi biofilici filogeneticamente ereditati che premono per ottenere soddisfazione. Neghiamoci all'amore per il mondo e per il nostro stesso corpo. Consacriamoci interamente all'Ortodossia, nel romitaggio e nella macerazione, in attesa della morte che ci annichilirà.
Il mondo è un mattatoio, l'arena entro la quale combattono miriadi di esseri di ogni specie. La legge della forza e dell'astuzia rappresenta il meccanismo di selezione nella gara in cui la posta in gioco è la sopravvivenza. Gli animali, fra i quali l'avida razza umana regnante sulla Terra, sono protagonisti nelle vesti di vittime e carnefici della tragedia grandguignolesca che vi si consuma da tempo immemorabile. Per quanti millenni ancora le grida e i lamenti delle prede agonizzanti risuoneranno sotto il Sole? La bruttura e l'ignominia insite nell'ecosistema naturale, nel vivente, fan rifulgere per contrasto con la massima intensità la grandezza incomparabile del Nulla.
Non è certo senza ragione che i nihilisti vengono perseguitati dai biofili, e scacciati come lebbrosi dal consorzio "civile": essi sono i portatori di una scomoda Verità. La natura, per il tramite dei suoi zelanti servitori accecati dalle brame, castiga e punisce le creature che si ribellano alle sue leggi immonde, che la disconoscono, che respingono inorridite le lusinghe con le quali essa tenta di indurli a incrementare il numero dei viventi.
Lo scandalo nihilista consiste nella rivolta contro l'ordine universale. L'umanità, appagata dalla pochezza del quotidiano arrabattarsi e dall'ebbrezza del cimento competitivo, saziata dai piaceri evanescenti e discontinui che la natura offre ai viventi, resa arrogante dalle sue labili conquiste e invenzioni tecnologiche, si aggrappa alla vita con accanimento, ammaliata da miraggi di onnipotenza, di beatitudini carnali, di paradisi artificiali ove celebrare la propria magnificenza, alimentati da un inesauribile narcisismo. Nel benessere come nella miseria più nera, essa è posseduta dal demone insano della brama, che l'agita, la seduce, la rende incapace d'intendere l'essenza criminale dell'atto della procreazione.
Se l'uomo si rendesse conto che la vita è abominio, preferirebbe gettarsi da una rupe piuttosto che generare nuove vite, consegnate all'atto stesso del concepimento alle fauci del Moloch cosmico.
Il Dogma va oltre la condanna dell'esistente, per affermare la perfezione ineffabile del Nulla, di cui la vita, nelle sue manifestazioni infinitesimali come in quelle macroscopiche, costituisce il turbamento e la violazione.