giovedì 2 novembre 2017

L'INCONSISTENZA DEL PARADOSSO DI ANDROMEDA


Roger Penrose (Oxford University) nel suo libro The Emperor's New Mind: Concerning Computers, Minds, and the Laws of Physics (Oxford University Press, 1989) enuncia il famoso Paradosso di Andromeda. Questa è una mia traduzione del passo (pagg. 392–393):

"Due persone transitano su una strada; secondo una di queste persone, una flotta spaziale di Andromedea si è già messa in viaggio, mentre per l'altra la decisione se il viaggio avrà realmente luogo o no non è stata ancora presa. Come può esserci ancora qualche incertezza sull'esito di tale decisione? Se per entrambe le persone la decisione è già stata presa, allora di sicuro non può esistere alcuna incertezza. Il lancio della flotta spaziale è un fatto inevitabile. Infatti nessuna delle due persone può ancora sapere del lancio della flotta spaziale. Esse potranno sapere solo più tardi, quando le osservazioni al telescopio dalla Terra riveleranno che la flotta è davvero in viaggio. Allora esse potranno tornare indietro a quell'incontro casuale e giungere alla conclusione che in quel momento, secondo uno di loro, la decisione giaceva nell'incerto futuro, mentre per l'altro essa giaceva nel passato certo. C'era dunque allora qualche incertezza sul futuro? Oppure il futuro era per entrambe le persone già "fissato"?"

Riformuliamo l'enunciato in termini più schematici e più chiari ai lettori: 

"Una macchina in moto sorpassa una persona ferma: la persona alla guida e il pedone vedranno come simultanei due insiemi differenti di cose. Alla distanza di Andromeda, l'istante presente per la persona ferma contiene una riunione in cui un ammiraglio spaziale sta decidendo se invadere la Terra. Nell'istante presente per la persona sull'auto la flotta spaziale di Andromeda è già partita!"  

Il "paradosso" consiste nel fatto che i due osservatori si trovano nello stesso posto e nello stesso istante, ma hanno diversi insiemi di eventi nel loro "momento presente".

Il paradosso di Andromeda è stato formulato a partire dai lavori di Hilary Putnam (University of Pennsylvania, Harvard University, UCLA) e di C.W. Rietdijk (Vrije Universiteit Amsterdam). Il contributo di Putnam è Time and Physical Geometry (1967), apparso sul Journal of Philosophy, 64, mentre quello di Rietdijk è A Rigorous Proof of Determinism Derived from the Special Theory of Relativity (1966), apparso su Philosophy of Science, 33. Per questo motivo il paradosso in questione è noto anche come argomento di Penrose-Putnam-Rietdijk. Non è rimasto un asettico rompicapo concettuale: è stato utilizzato come prova del B-eternismo, la teoria del tempo che conferisce identico statuto agli eventi presenti, passati e futuri, negando alla radice l'esistenza del flusso temporale.  

Ora veniamo al dunque. L'argomento di Penrose-Putnam-Rietdijk ha qualcosa che non va. In altre parole, è bacato. Questo accade nonostante i notevoli contributi dati alla Scienza da questi luminari. Si potrebbe dire questo: "Chi di relatività ferisce, di relatività perisce". Gli accademici Penrose, Putnam e Rietdijk non possono certo essere ignoranti come Polifemo e non voglio credere che abbiano inalato quantità industriali di polvere colombiana, concependo l'argomento in stato di alterazione. Tuttavia essi non tengono affatto conto del fatto che la velocità della luce è finita e costante per tutti gli osservatori. Non tengono conto quindi del fatto che la luce impiegherà milioni di anni per viaggiare dalla Terra ad Andromeda, e lo stesso vale per il percorso inverso, da Andromeda alla Terra. Usano correttamente le trasformazioni di Lorentz, ma postulano al contempo la simultaneità newtoniana. Questo nonostante su Wikipedia e altrove si affermi il contrario.

Questo è l'avvertimento dato dalla Wikipedia in inglese (11/2017):

"Notice that neither observer can actually "see" what is happening in Andromeda, because light from Andromeda (and the hypothetical alien fleet) will take 2.5 million years to reach Earth. The argument is not about what can be "seen"; it is purely about what events different observers consider to occur in the present moment." 

Traduco per i non anglofoni: 

"Si noti che nessuno degli osservatori può realmente "vedere" ciò che sta accadendo in Andromeda, perché la luce da Andromeda (e dall'ipotetica flotta aliena) impiegherà 2,5 milioni di anni a raggiungere la Terra. L'argomento non riguarda ciò che può essere "visto", ma soltanto quali eventi i diversi osservatori ritengano avvenire nel momento presente."

Ebbene, Penrose non ci ha affatto pensato. Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto sapere che sia la la decisione degli alieni che il lancio della flotta risalgono a 2,5 milioni di anni prima del presente degli osserevatori terrestri e che quindi nessuno di questi eventi appartiene al futuro degli stessi osservatori! 

1) Andromeda è tanto distante che eventuali suoi abitanti vedrebbero oggi la Terra com'era molto prima della comparsa di una civiltà tecnologica umana. A maggior ragione, eventuali andromediani di 2,5 milioni di anni fa (quelli che noi osserveremmo oggi) avrebbero vito la Terra in condizioni ancor più lontane dal sorgere di una civiltà tecnologica. In entrambi i casi non avrebbe senso una loro decisione di far partire una flotta bellica.
2) La distanza in anni luce dalla Terra ad Andromeda è tale che qualsiasi evento definibile come "attuale" si colloca al di là del cono di luce dei relativi osservatori, sia terrestri che andromediani, che quindi non potrebbero in alcun modo influenzarsi a vicenda. Questo incrina la narrazione di Penrose, che evoca una specie di verifica dell'invio della flotta da parte dei terrestri. 
3) Non sussiste alcun nesso causale tra gli eventi accaduti su Andromeda alla partenza dei relativi fotoni e gli eventi che coinvolgono gli osservatori che ricevono tali fotoni sulla Terra. In altre parole, il "cielo fossile" che possiamo vedere è un mero fantasma che non ha lo statuto ontologico del nostro presente, vissuto da chi scruta tali immagini. Qualsiasi eventuale osservazione paradossale è al di fuori del campo dell'esistenza e non possiamo trarre da essa la conclusione che il passato documentabile possa essere qualcosa di più di un'ombra spettrale.

Conclusioni logiche: L'enunciato del paradosso di Andromeda formulato da Penrose è inconsistente e non può essere usato come prova contro il presentismo.

Anche Riedtijk sembra ignorare selettivamente la relatività di Einstein, ponendo così il nucleo degli errori di Penrose, fondati sull'equiparazione tra le osservazioni dei terrestri e degli andromediani a dispetto delle distanze, come se valesse la simultaneità newtoniana: 

"A proof is given that there does not exist an event, that is not already in the past for some possible distant observer at the (our) moment that the latter is "now" for us. Such event is as "legally" past for that distant observer as is the moment five minutes ago on the sun for us (irrespective of the circumstance that the light of the sun cannot reach us in a period of five minutes). Only an extreme positivism: "that which cannot yet be observed does not yet exist", can possibly withstand the conclusion concerned. Therefore, there is determinism, also in micro-physics." 

Traduzione: 

"Si dà prova del fatto che non esiste un evento, che non sia già nel passato per qualche possibile osservatore distante al (nostro) momento in cui quest'ultimo è il nostro "adesso". Questo evento è "legalmente" passato per l'osservatore distante allo stesso modo in cui lo è il momento che per noi è cinque minuti fa sul sole (senza contare la circostanza che la luce del sole non può raggiungerci in un periodo di cinque minuti). Solo un estremo positivismo: "che ciò che non può essere ancora osservato non esiste ancora", può opporsi alla conclusione in questione. Quindi c'è determinismo anche nella microfisica.

Il possibile osservatore per cui un evento per noi futuro è già nel passato, è per necessità a una distanza talmente immane da porsi al di fuori del nostro cono di luce. Se un evento è al di fuori del cono di luce di un osservatore, non può in alcun modo influenzarlo. Portiamo l'argomento alle estreme conseguenze.

Il paradosso del brontosauro e di Cicciolina

Immaginiamo che all'istante T sulla Terra camminino i dinosauri. Un colossale brontosauro barcolla scorreggiando, avendo consumato incredibili quantità di vegetali indigesti che gli fermentano nelle budella. Lo spaventoso ano della bestia eietta colonne di gas asfissianti. Immaginiamo ora che all'istante T' sulla Terra ci sia Cicciolina che prende in bocca gli uccelli. La distanza tra T e T' è di circa 150 milioni di anni. Ora immaginiamo due osservatori A e B posti a una sufficiente distanza dalla Terra, di molti miliardi di anni luce. Immaginiamo di trovarci in un istante T'' e che questa distanza sia tale che se A va in macchina e B è fermo, allora A vede Cicciolina che succhia e B vede il brontosauro flatulento. La costruzione di questo paradosso si basa sugli stessi principi del paradosso di Andromeda ed è con esso compatibile, soltanto che è più estremo. Questo dimostra forse che al tempo T in cui il brontosauro camminava sulla Terra, Cicciolina esisteva già ed apparteneva al passato per qualche osservatore? Diabole no! Quando A e B notano il paradosso, sia il brontosauro che Cicciolina sono eventi passati. Così T viene prima di T' e sia T che T' sono passati e precedenti a T'', quale che sia l'ordine degli eventi osservati da A e da B.

lunedì 30 ottobre 2017

CONTRO L'ARGOMENTO DEL FINE-TUNING

Secondo i sostenitori del fine-tuning o "regolazione fine" dell'Universo, la vita sarebbe possibile soltanto entro un range estremamente limitato dei valori delle costanti cosmologiche. Questi studiosi deducono quindi che questi valori delicatissimi di suddette costanti avrebbero probabilità bassissime, praticamente nulle, di ricorrere in assenza di un Fine Tuner (in italiano sarebbe "Regolatore Fine", ma suona molto male), ossia di un Artefice, di un Progettista, che è prontamente definito "benevolo" in quanto avrebbe agito allo scopo precipuo di rendere possibile l'esistenza della vita. Una definizione inevitabile, stante la coglioneria imperante da secoli negli ambienti accademici.

Ecco una sintesi dei "ragionamenti" in questione:
1) Se la gravità fosse diversa, non ci sarebbe formazione di pianeti, quindi non ci sarebbe la vita.
2) Se la forza elettromagnetica fosse diversa, ci sarebbero diversi legami atomici e non si potrebbero formare le molecole complesse necessarie per la vita. Inoltre se non ci fosse la luce, la vita non potrebbe esistere.
3) Se la forza nucleare forte fosse diversa, i nuclei si disgregherebbero. Se fosse più potente, non potrebbe sussistere l'idrogeno, indispensabile alla vita. Se fosse più meno potente, ci sarebbe soltanto idrogeno.
4) Se la forza nucleare debole fosse diversa, sarebbe diversa la distribuzione degli elementi nel Cosmo. Se fosse più potente, ci sarebbe troppo poco elio per generare elementi più pesanti nelle stelle. Se fosse più meno potente, le stelle arderebbero troppo rapidamente e non ci sarebbe disseminazione di elementi pesanti nell'Universo.
5) Se il principio di quantizzazione fosse diverso, gli elettroni sarebbero risucchiati all'interno dei nuclei e gli atomi che conosciamo non potrebbero sussistere. Se il principio di esclusione di Pauli fosse diverso, tutti gli elettroni collasserebbero nell'orbita a livello energetico più basse. Non ci sarbbe chimica complessa e quindi la vita sarebbe impossibile. 

Quanto visto in questi cinque punti sopra elencati può ben essere vero, ma da questo non ne consegue affatto che l'Universo pulluli di vita, che sia un luogo il cui fine è la vita e che valga il principio antropico. In altre parole, coloro che propongono il fine-tuning ricadono nella fallacia logica denominata non sequitur. Ogni conclusione indebita tratta dall'analisi delle leggi della fisica ricade nell'ambito della pseudoscienza.

Questi sono i principali luminari che sostengono a spada tratta le becere stronzate del fine-tuning come prova del principio antropico: Robin Collins, Jay Richards, Guillermo Gonzalez, William Lane Craig, William Dembsky, Bruce Gordon e James Sinclair. Per contro, i luminari maggiormente scettici sono Stephen Hawking, Victor Stenger, Max Tegmark, Lawrence Krauss e Richard Dawkins. 

Sono state proposte molteplici obiezioni all'argomento del fine-tuning, come quella di Stenger sulla possibilità di esistenza della vita biologica secondo una chimica e una fisica dissimile dalla nostra. Una gran fatica sostanzialmente inutile, che tra l'altro fa comunque il gioco dei sostenitori della "regolazione fine" dell'Universo. Non è necessario fare approfonditi discorsi sulle costanti della fisica o sui modi alternativi di definizione della vita in universi alternativi che non conosciamo e che non potremo mai esperire. L'argomento del fine-tuning è confutato dalla semplice osservazione dell'universo stesso che ci ospita, regolato dalle leggi fisiche a noi note. Si cominciano a capire molte cose sull'origine dei raggi cosmici ad altissima energia e sull'impatto dei fenomeni violenti connessi con tali tremende emissioni.

"Alcune galassie hanno al centro un buco nero esplosivo e massiccio e secondo alcune teorie questi oggetti cosmici accelerano i flussi di particelle ad altissima energia che raggiungono la Terra".
Gregory Snow, Osservatorio Pierre Auger (Argentina)

Per approfondimenti rimando a questo articolo scientifico:


Numerosi articoli divulgativi sull'argomento sono comparsi nei media mainstream. Riporto i link ai seguenti: 



Anche se la percentuale di galassie attive è soltanto l'1% circa, il loro impatto è catastrofico per le galassie vicine. Questo senza contare i casi di fenomeni violenti di diverso tipo come le collisioni galattiche, che comportano sconvolgimenti nei sistemi planetari. Proprio lo studio della natura violenta dell'Universo porta a raccogliere informazioni cruciali che ci permettono la dimostrazione di un enunciato dotato del potere di confutare le tesi dei nostri avversari.

Teorema:
Esiste un gran numero di galassie sterili, in cui non può sussistere alcun mondo abitabile.

Dim.:
Si è appurato che i raggi cosmici che possiamo osservare sono stati prodotti da spaventose sorgenti lontane, extragalattiche. Quindi procedendo verso la direzione caratterizzata da gradiente positivo, dobbiamo giungere in regioni in cui queste radiazioni sono talmente intense da rendere impossbile la sussistenza della vita su ogni pianeta potenzialmente in grado di ospitarla. Quindi a un certo punto si incontreranno per necessità regioni completamente sterilizzate, in cui non può aggregarsi alcuna molecola organica complessa, perché il flusso di radiazioni è talmente forte da non poter essere assorbito dall'atmosfera planetaria. Siccome si è appurato che l'origine di queste emissioni elettromagnetiche sono i quasar lontani e gli immani buchi neri nel centro di galassie attive, si deduce che un grandissimo numero di galassie, più numerose dei granelli di sabbia di tutte le spiagge del nostro pianeta, devono essere del tutto inabitabili, completamente sterili.
Q.E.D.

Corollario: Se esistono così tante galassie sterili, significa che noi siamo in vita soltanto perché abitiamo una regione relativamente tranquilla, che nel cosmo è eccezione e non regola.

Già soltanto alla luce di quanto esposto, l'argomento del fine-tuning è fallace e può ritenersi confutato. Anche se la vita sorgesse spontaneamente da basi chimiche in ogni contesto che non la impedisse, sarebbe certo che questo universo non è stato disegnato per la sua esistenza. Men che meno per l'esistenza di esseri senzienti. In altre parole, si dimostra che la vita non rappresenta il fine dell'Universo, ma ne è una mostruosa anomalia. Supporre l'esistenza di un progettista benevolo è a sua volta una fallacia logica, popolare soltanto per via della posizione politica dominante delle religioni monoteiste e biolatriche. 

venerdì 27 ottobre 2017

NOTE SUL LAVORO DI BUIDE DEL REAL

Francisco Javier Buide del Real (Pontificia Università Gregoriana) è l'autore della tesi La evangelización de la Gallaecia sueva. Entre paganismo y cristianismo (ss. IV-VI). Un consistente estratto è consultabile e scaricabile al seguente url:


Questo è l'indice dell'opera (in lingua spagnola):

Introducción
Planteamiento de estudio . 5
Contenido de esta publicación . 8
1. Evangelización y conversión en un ambiente pagano . 10
1. Introducción: misión y conversión cristiana . 10
2. Algunos aspectos de la evangelización de Occidente y su aplicación a la Gallaecia . 33
2.1. Evangelización rural, villas y aristocracias . 33
2.2. Primeras comunidades, ascetismo y monacato . 49
2.3. Evangelización y grupos sociales . 54
3. El caso del priscilianismo . 57
2. Paganismo y cristianismo en la Gallaecia sueva y Martín de Braga . 69
1. El paganismo del siglo VI . 70
2. La evangelización de Braga: del estudio precedente a las obras de san Martín . 79
Conclusiones . 87
Siglas y abreviaturas . 93
Bibliografía:
Autores antiguos (fuentes) . 95
Autores modernos (estudios) . 99
Índice de la tesis . 111

Per essere un lavoro di un centinaio di pagine sulla cristianizzazione degli Svevi nella Galizia, si distingue per una peculiarità davvero degna di nota: non cita nemmeno il nome di un singolo svevo e non discute nemmeno di striscio la natura del paganesimo da cui questo popolo sarebbe stato convertito al cristianesimo. A dispetto del titolo, questo non è nella buona sostanza un lavoro sugli Svevi di Galizia e non aiuta per nulla a comprendere gli eventi storici di cui l'autore afferma di voler trattare. A quanto pare Buide del Real non ha fatto il minatore di dati, non ha scandagliato le fonti a disposizione cercando di mettere assieme qualcosa di convincente sul popolo germanico migrato nella penisola iberica. O forse la sua prospettiva è diversa dalla mia, non gli interessa minimamente quanto interessa a me, dato che è in buona sostanza un romanista: per lui tutto è centrato sulla latinità e sul mondo classico, mentre i cosiddetti "barbari" sono ridotti a un nulla senz'anima e senza nome. Fatto sta che mancano dati importanti. Si conferma il principale difetto della Scienza moderna, ammalata di articolite acuta e incapace di sintetizzare lo scibile - specie su argomenti negletti e sprofondati nell'Oblio come quello della presente tesi.

In realtà non è così difficile recuperare qualche informazione e dedurre qualcosa di utile.
Questa è una lista di sovrani degli Svevi di Galizia:

Hermeric, c. 409–438
Heremigarius, 427–429, capo in Lusitania
Rechila, 438–448
Rechiar, 448–456
Aioulf, 456–457, straniero, forse designato dai Visigoti
Maldras, 456–460, in opposizione a Framta dopo il 457
Framta, 457, in opposizione a Maldras
Richimund, 457–464, successore di Framta
Frumar, 460–464, successore di Maldras
Remismund, 464–469, riunificatore degli Svevi
Hermeneric fl. c. 485 (periodo di oscurità)
Veremund fl. 535 (periodo di oscurità)
Theodemund fl. VI secolo (periodo di oscurità)
Chararic, dopo c. 550–558/559, alcuni dubitano della sua esistenza
Ariamir, 558/559–561/566
Theodemar, 561/566–570
Miro, 570–583
Eboric, 583–584, deposto e messo in un monastero da Andeca.
Andeca, 584–585, deposto e messo in un monastero da Leovigildo.
Malaric, 585, si oppose a Leovigildo e fu sconfitto.

Si possono fare alcune utili considerazioni su questo materiale onomastico. Questi Svevi, pur mantenendo la loro lingua, tendevano a parlare anche quella dei Visigoti.  

L'etimologia di Aioulf è chiara: corrisponde al gotico *Agjawulfs "Lupo del Filo di Spada". Si trova un identico antroponimo nella tradizione anglosassone: Eggwulf, Ecgwulf. Ci è noto un vescovo di Londra che portava questo nome e che visse nell'VIII secolo. Alcuni identificano Aioulf con un certo Agiulf, che però è un antroponimo diverso: si tratta del gotico *Agiwulfs, formato a partire da agei, agis "paura". Non mi convince affatto l'ipotesi che Aioulf possa essere spurio e dovuto a una trascrizione difettosa.

Notiamo la coesistenza di -mir (gotico) con -mar (genuinamente svevo).
Il nome Ariamir ha un aspetto gotico ben chiaro: possiamo ricostruire la sua forma originale come *Harjamers, con regolare mutamento da /e:/ a /i:/.
Allo stesso modo Miro "Il Famoso" corrisponde al gotico *Merja, che mostra le stesse caratteristiche germaniche orientali, in netto contrasto con il trattamento occidentale della vocale proto-germanica /æ:/, che la ha trasformata in /a:/ già in epoca precoce, come mostrato dall'antroponimo marcomanno Ballomar (II sec.).

Il fatto che il primo concilio di Braga (561) vietasse ai membri del clero di portare i capelli raccolti nel caratteristico nodo suebo, denominato "granos" (gotico granos "trecce", nome pl. di genere femminile), è la prova che il paganesimo e i suoi costumi sopravvissero molto a lungo.

giovedì 26 ottobre 2017

NOTE SUL LAVORO DI AIKIO

Ante Aikio (Sámi University of Applied Sciences) è l'autore di diversi lavori sulla preistoria della lingua dei Saami, più noti come Lapponi. Il più notevole è a mio parere An Essay on Substrate Studies and the Origin of Saami (2004), scaricabile e consultabile al seguente url: 


Trovo che sia un ottimo articolo per la mole dei dati che riporta, peccato che difetti un po' di struttura sistematica nell'elencare e discutere i lemmi del sostrato pre-uralico nella lingua dei Saami. Sull'account dello stesso Aikio su Academia.edu si trovano anche altri suoi articoli molto utili, come ad esempio An Essay on Saami Ethnolinguistic Prehistory (2012): 


Esistono numerosi vocaboli che non hanno corrispondenza alcuna in altre lingue uraliche, o che hanno corrispondenze limitate soltanto nelle lingue uraliche finitime (finnico, carelio). Spesso cambiano da una varietà all'altra della lingua dei Saami, mostrando caratteristiche fonetiche che non si trovano affatto nel materiale uralico ereditato. I lemmi in questione sono i resti di una o più lingue pre-agricole del Paleolitico, sopravvissute fino in epoca storica e poi gradualmente scomparse.

Riporto un elenco dei lemmi Saami pre-uralici per area semantica, in prevalenza tratti dai lavori di Aikio. Dove non specificato, si tratta delle forme del Saami settentrionale. 

1) Uccelli

állat, állap- "zigolo delle nevi"
biehkan "poiana calzata"
bovttáš "pulcinella di mare"
bupmálas "fulmaro nordico"
cagan "beccaccia di mare"
čielkkis "alca dal becco nero"
fiehta, fiehttag- "anatra tuffatrice"
giron "pernice bianca delle rocce" < *kierun
goalsi "smergo maggiore" (Mergus merganser)
guovssat "ghiandaia siberiana"
hávda "edredone"
jiesmi "giovane cigno"
láfol "piviere eurasiatico"
lidnu "gufo reale"
loađgu "gufo dalle orecchie corte"
skuolfi "gufo", spec. "gufo delle nevi"
sopmir "gabbiano" (forse Larus fuscus)

2) Pesci

beahcet "coda di pesce"
cuohppa "carne di pesce"
dápmot "trota bruna"
golis "luccio gigante"
guvža "trota di mare"
sálga "pezzo di carne di pesce" (in una zuppa)
šuorja "squalo gigante"
veaksi "pinna"
valas "salmerino rosso" (che vive nell'oceano)

3) Mammiferi marini

áidni "foca barbuta"
buovjja, buovjjag- "beluga"
deavut "foca grigia"
jeagis, jiegis "foca barbuta"
jiepma "giovane foca"
morša "tricheco"
noarvi "foca"
njuorju, njuorjju "foca"
oaidu, oaiddu "foca dagli anelli"
riehkku "foca screziata di media taglia"
roahkka "foca comune"
skávdu "foca vitulina di due o tre anni"
vieksi "giovane foca comune"

4) Mammiferi terrestri e d'acqua dolce

čearpmat "renna di un anno"
čeavrris "lontra"
čoavččis "renna femmina che ha perso il cucciolo"
čora "piccolo gregge di renne"
fuo
đ'đu "animale selvatico"
gabba "renna albina"
gákšu "lupa, orsa"
geatki "ghiottone"
gumpe "lupo"
guoksi "castoro di un anno"
guovža
"orso" (stessa radice del finnico dial. kontio)
luohpet "renna di un anno che ha figliato"
miessi "vitello di renna o di alce"
njálla "volpe artica"
nulpu "maschio della renna che ha perso le corna"
o
đgi "giovane volpe"
rotnu "renna sterile" (presente in finnico runo, forse
     passato in norreno)
ruomas "lupo"
sáhpán "topo"
vuobirs "maschio di renna di tre anni"

5) Altri animali

cuoppu "rana" (cfr. finnico sammakko)
heavdni "ragno"

6) Paesaggio e natura

ája, ádjag- "sorgente"
ádju "brughiera, landa"
á
đga "terreno erboso lungo un fiume"
balsa "mucchio di torba ghiacciata"
bákti "scoglio, roccia"
bárši "montagna isolata"
beaski "passo (tra le montagne)"
biedju "covo"
bovccis "canale laterale di un fiume"
bovdna
"collinetta in una palude"
cahca, čahca "passo stretto" (tra montagne o stagni)
ceavnnit (pl. tantum) "terreno impercorribile"
coagis "secca"
čavil, čavilg- "distesa selvaggia"
čára- "lago elevato" (conservato solo nei toponimi)
čiegar
"pascolo invernale"
čier'ri "terreno ghiaioso"
čiest- "scogliera" (conservato solo nei toponimi)
čoardá
"guado; percorso carsico"
čunu, čudno- "sabbia fine"
dievvá "collina"
fielbmá, vielmmis
"fiume piccolo ma profondo"
fieski "pascolo invernale"
gea
đgi "pietra, roccia"
geavŋŋis "grandi rapide, cascata"
giezzi "corto fiume tra due laghi"
inč- "isola esterna" (conservato solo nei toponimi)
-ir "montagna" (suffisso toponimico)
itku
"luogo ombroso"
jalvi "tratto di acqua calma tra due rapide"
jargŋa "acqua aperta di un lago"
jassa
"chiazza di neve perenne che non si scioglie in
    estate"
jeahkk- "montagna isolata" (conservato solo nei
    toponimi)
jiertá, jierta
"montagna grande e rotonda"
juggi
"depressione nel terreno"
juovva "ghiaione"
liessu "tana di una volpe"
luohkká "pendio"
lusmi, luspi "sorgente di un fiume"
maras "foresta di betulle circondata da paludi"
njárga
"promontorio, capo"
njearri "piccole rapide"
nussir
"vetta, cima di montagna in una catena
     montuosa" (conservato solo nei toponimi)
ráktu "roccia piatta" 
ráš'ša "montagna alta e sterile"
riehppi "valle impervia"
roahpi "montagna rocciosa" (in Saami settentrionale
    conservata solo nei toponimi)
roavvi
"luogo dove c'è stato un incendio boschivo"
roggi "buco, cavità; valle fluviale"
ruovddáš
"restringimento in una gola"
s
áđgá, sáđgi "brughiera"
sáll- "isola maggiore nel mare" (conservato solo nei
    toponimi)
sátku
"luogo di sbarco"
skiehč(č)- "spartiacque, displuvio" (conservato solo
    nei toponimi)
suotnju "acquitrino pianeggiante"
suovdnji "buco scavato da una renna nella neve"
    (per cercare licheni)
suovka "boschetto denso"
uffir "mucchio di rocce", "pendio roccioso"
vielti "fianco di una collina"
vuotna "fiordo"

7) Neve, ghiaccio e clima  

addjo- "coprirsi di neve"
biegga
"vento"
bihci "brina"
bul
ži "copertura di ghiaccio"
ceavvi "neve dura, compatta"
ciehka, ciehki "nuvole di tempesta"
cuokca
"ponte naturale di ghiaccio e neve" 
časttas
"piccolo cumulo di neve dura"
dálki "tempo"
dierpmis "tuono; Thor"
duollu
"brina sul suolo"
goalki "tempo calmo"
jáldu "clima fresco in estate"
liehmu
"tempo mite" (in inverno) 
muovla, muovhla "neve profonda"
njáhcu "disgelo" (in inverno)
njea
đga- "infuriare" (detto di tempesta di neve)
oakti "acquazzone"
raššu "pioggia fredda e pesante"
roavru "ghiaccio con una cavità in mezzo"
ruokŋa "mancanza di neve"
rusta "nebbia gelata"
seaŋás "neve granulare"
seavdnjat "oscurità, tenebra"
sievla- "affondare nella neve soffice"
suobbat "ponte di neve" (in Saami settentrionale
     conservata solo nei toponimi)

suonjar
"raggio di luce"
suovvi "neve umida e appiccicosa"

vahca
"neve nuova"
va
ššu "vento brinoso"
váhčči "calma doppo la tempesta"
vuožži
"acqua sul ghiaccio"

8) Flora

gálva "betulla morta"
lageš "betulla montana rachitica"
lahppu "lichene"
skier'ri "betulla nana"
sie
đga "salice" (cfr. finnico sietki)
sie
đgavaššu "boschetto di salici" 
soahki "betulla" 
suostu "albero marcio"

9) Parti del corpo (umano e animale)

alesgahcin "una piccola ramificazione posteriore
    delle corna della renna"
bákša "ghiandola aromatica" (del castoro o
     dell'ermellino)
bea
đbi "scapola"
cabbi "osso pieno di midollo della zampa anteriore
    inferiore della renna"
čagar "pene"
čoamoahas "spalla" (come taglio di carne)
čuossi "pelle sulla fronte"
čeaska "omaso"
dábba "femore"
dieigu "radio" (osso)
doggi "abomaso"
fáhkká "polpaccio" (come taglio di carne)
feavli "buco della gamba in una pelle" (dove la pelle
    della gamba è stata tagliata)
gátnis "osso sacro"
giegir "trachea"
giehppi "cavità sotto la mandibola della renna"
gieldagas "tendine d'Achille" (della renna)
ginal "pezzo di mento" (su una pelle di renna)
guoccat "pene"
morči "grande vena"
muošmi "pelle tra la coscia e le costole"
námmi "pelle sulle corna della renna"
njiehcahas "osso pieno di midollo della zampa
    posteriore inferiore della renna"
noras "osso pieno di midollo della zampa superiore
    della renna"
ohca "seno, petto"
sáhppasat "intestino tenue
seahkku "lunghi peli sullo zoccolo"
siekkis "dito soprannumerario e rudimentale del
    cane"
skuogga "fanone"
skuoggir, skuoggun, skuoggum-
"osso etmoide"
urkádeahkki
"bicipite"
válká "grasso sul collo"
vuossa "grembo, ventre materno"

10) Strumenti e tecnologia  

beađŋŋis "posto per il piede sullo sci" (radice
    presente in finnico e in carelio)
bielbi "freccia"
fierbmi
"rete da pesca"
joddu "fila di reti da pesca" (radice presente in
    finnico, in carelio e in Veps)
lávvu "tenda"
liehkku "tavola superiore sul retro di uno scivolo"
njuor
šu "fuoco campale" (cfr. finnico nuotio)
puornâ
"cassa per le provviste di cibo" (solo in Inari
    Saami)
sabet "sci" (presente anche in finnico: sivakka)
sáibma "rete per pesci piccoli"
sátnja "rete da pesca smagliata"

11) Società

nisu "donna"
olmmoš "uomo, persona"
sássa "futura sposa, sposina, nuora"
šiehttat "fare un accordo"

12) Altro

alit "blu, azzurro"
allat
"alto, elevato"
atnit "usare"
bálgat "muoversi senza requie" (detto di renne)
bivvat "scaldare"
boahtit
"venire"
čáhppat
"nero"
čiekčat "dare un calcio"

čuovga
"luce"; "senso della vista" 

dielku "macchia"
fápmu "forza"
láhppit "perdere"
livvut "giacere, riposarsi" (detto di renne)
nagir "sonno"
njolgi "trotto di renna"
nuorra "giovane" (cfr. finnico nuori)
ravgat "cadere, collassare"
uhcci
"piccolo"
viske "giallo" (proto-Saami) 

Per completare il lavoro e renderlo davvero sistematico, bisogna scandagliare a fondo un utilissimo vocabolario Saami, basato sul lavoro di Lehtiranta, che si trova online al seguente indirizzo: 


Sono fornite le variazioni in tutte le forme regionali della lingua, con i parenti nelle altre lingue uraliche, dove ci sono. Quando si trovano forme di origine non indoeuropea presenti solo in Saami, si è identificato un lemma del sostrato - con buona pace dei chierici traditori denominati "antisostratisti".

Le parole pre-uraliche sono state prese a prestito nello stesso periodo in cui sono avvenuti i prestiti dal proto-scandinavo (si è ipotizzato dall'inizio dell'Era Volgare fino al 500 d.C.). Hanno infatti subìto successive mutazioni fonetiche che sono ben identificabili. Le forme originali avevano quindi un suono molto diverso. Solo per fare un esempio il Saami guovža "orso" e il carelio kontie "orso" risalgono entrambi alla protoforma ricostruita *kuomče: (resta da capire l'origine del dittongo, che non pare essersi originato da una vocale). In molti casi i mutamenti /a/ < /e:/ e /uo/ < /a:/ sono ben ricostruibili in quanto si trovano anche in parole di origine proto-germanica e norrena, cosa che permette di compiere la datazione dei vocaboli. Ad esempio il proto-germanico *langan- "uno degli stomaci dei bovini" (norreno langi) è stato preso a prestito in Saami, divenendo luogge "intestino retto".

Mi sembra che le informazioni raccolte siano cospicue. A questo punto il compito più arduo è capire quali siano le parentele più prossime di questo materiale paleolitico.

martedì 24 ottobre 2017


IL SETTIMO SIGILLO

Titolo originale: Det sjunde inseglet
Lingua originale: Svedese
Paese di produzione: Svezia
Anno: 1957
Durata: 96 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1,37 : 1
Genere: surreale, epico, drammatico
Regia: Ingmar Bergman
Soggetto: Ingmar Bergman (dal suo dramma Pittura
   su legno
)
Sceneggiatura: Ingmar Bergman
Produttore: Allan Ekelund
Casa di produzione: Svensk Filmindustri (SF)
Fotografia: Gunnar Fischer
Montaggio: Lennart Wallén
Musiche: Erik Nordgren
Scenografia: P.A. Lundgren
Costumi: Manne Lindholm
Trucco: Nils Nittel
Interpreti e personaggi   
    Max von Sydow: Antonius Block, il cavaliere
    Gunnar Björnstrand: Jöns, lo scudiero
    Bengt Ekerot: la Morte
    Nils Poppe: Jof
    Bibi Andersson: Mia
    Inga Gill: Lisa
    Maud Hansson: strega
    Inga Landgré: Karin Block
    Gunnel Lindblom: giovane che segue lo scudiero
    Bertil Anderberg: Raval
    Anders Ek: monaco
    Åke Fridell: Plog, il fabbro
    Gunnar Olsson: Albertus Pictor
    Erik Strandmark: Jonas Skat
Doppiatori italiani   
    Emilio Cigoli: Antonius Block, il cavaliere
    Pino Locchi: Jöns, lo scudiero
    Bruno Persa: la Morte
    Gianfranco Bellini: Jof
    Maria Pia Di Meo: Mia
    Vittoria Febbi: strega
    Lydia Simoneschi: Karin Block
    Renato Turi: Raval
    Ferruccio Amendola: il monaco
    Giorgio Capecchi: Plog, il fabbro
    Manlio Busoni: Jonas Skat
    Gualtiero De Angelis: predicatore
Titoli internazionali:  
  Germania: Das siebente Siegel
  Francia: Le septième sceau
  Regno Unito, USA, Australia: The Seventh Seal
  Danimarca: Det syvende segl
  Finlandia: Seitsemäs sinetti
  Grecia:
I evdomi sfragida
  Spagna, Messico: El séptimo sello
  Portogallo, Brasile: O Sétimo Selo 
  Polonia: Siódma pieczęć

Premi:    
   1) Festival di Cannes 1957: Premio Speciale della Giuria (ex aequo con I dannati di Varsavia di Andrzej Wajda)
    2) Seminci 1960: Lábaro de oro
    3) Nastro d'Argento 1961: regista del miglior film straniero
   4) Cinema Writers Circle Awards 1962 (Spagna): migliore film straniero
    5) Fotogramas de Plata 1962 (Spagna): migliore attore straniero (Max von Sydow)

Trama:

Danimarca, XIV secolo. Un'epoca calamitosa. La peste infuria, mietendo innumerevoli vite, tanto che le genti pensano che sia giunta la Fine dei Tempi. Alcuni si abbandonano ai bagordi, sperando di poter godere dei frutti della vita anche soltanto un gorno in più, mentre altri si uniscono ai Flagellanti e si sottopongono a pratiche di mortificazione cruenta nella speranza di ottenere la Salvezza. In questo desolante scenario, fa il suo ritorno dalla Terra Santa il cavaliere crociato Antonius Block, sempre accompagnato dal suo fedele scudiero Jöns. Subito si accorge di una figura che lo segue. Senza tanti preamboli, questo compagno di viaggio si presenta al Cavaliere: è la Morte, che è venuta a prenderlo. Antonius Block cerca di giocare d'astuzia per prendere tempo, così sfida la Morte a una partita a scacchi. La Morte acconsente. L'incontro di scacchi avviene in modo discontinuo, a più riprese, man mano che la narrazione si sviluppa. Nel corso del loro vagabondare per la Danimarca, in direzione di Elsinore (Helsingør), il Cavaliere e il suo fido scudiero si imbatteranno in numerosi personaggi stravaganti. Tra questi spiccano l'attore Jof e sua moglie Mia, che vivono nel loro carrozzone in condizioni di povertà estrema col loro figlioletto Mikael. Proprio questa fragile famigliola, che sembra estranea al mondo in rovina che la circonda, restituirà ad Antonius la speranza e forse anche un barlume di fede: egli intratterrà la Morte nella partita il tempo sufficiente per permettere ai saltimbanchi di allontanarsi e di sfuggire alla predazione. Quindi, raggiunto il suo castello avito, ritroverà la moglie e insieme ai suoi compagni si abbandonerà al destino incombente senza opporre resistenza.       

Recensione: 

Questo vibrante e immortale capolavoro apocalittico è la trasposizione in pellicola della pièce teatrale Trämålning, ossia Pittura su legno, dello stesso Bergman (1955). Il regista svedese ebbe l'ispirazone di trasformare in pellicola il dramma mentre ascoltava i Carmina Burana di Carl Orff. Il produttore, Allan Ekelund, sulle prime non volle saperne, forse perché pensava che il film sarebbe stato un clamoroso fiasco. Si mostrò più accomodante solo quando Sorrisi di una notte d'estate trionfò a Cannes. Pensate un po' che sarebbe successo se Ekelund avesse insistito con la sua ostilità al progetto e se Bergman non fosse riuscito a reperire le risorse necessarie: il genere umano avrebbe perso per sempre qualcosa di unico! 


Il Cavaliere rappresenta il tipico modello di uomo del Medioevo, scisso e conteso tra Bene e Male. Tuttavia in lui si è fatto strada qualcosa di completamente nuovo: il dubbio. Come un tarlo, questo dubbio esistenziale mina l'intero edificio cosmologico del personaggio, minacciando di provocarne il crollo. Egli ha visto tali e tanti orrori durante la crociata e l'imperversare della peste, da non avere più la granitica certezza dell'esistenza di Dio. Cerca in ogni modo di salvare la propria fede, perché se Dio non esistesse, tutto sarebbe un immenso vuoto senza senso alcuno. Tale è la sua disperazione che spera di ottenere lumi dalla Morte. Non riuscendo ad averne, si spinge anche più in là nella sua ricerca angosciosa. Quando una giovane strega sta per essere condotta al rogo dai soldati, il Cavaliere si avvicina con prudenza a lei e la interroga, chiedendole di poter parlare col Diavolo per chiedergli informazioni su Dio e sulla vita oltre la morte. Subito scoprirà che la donna è semplicemente folle e febbricitante, che nessuna delle parole da lei pronunciate ha alcun senso. Il Diavolo, che la strega afferma essere presente, rimane invisibile agli occhi del cavaliere. Il conflitto interiore di Antonius Block può essere visto come una metafora del XIV secolo, periodo cruciale in cui hanno cominciato a manifestarsi gravi inquietudini spirituali, la cui conseguenza è stata una prima crepa nell'edificio della Cristianità.    


Lo Scudiero, a differenza del Cavaliere, è sostanzialmente un uomo moderno e pragmatico. Nichilista, materialista e ateo, non crede alla Weltanschauung dell'uomo medievale. Tutto ciò che ha visto lo ha indurito. Del resto, tutte le argomentazioni sulla religione sullo Spirito non avevano su di lui alcuna presa già prima della partenza per la Terra Santa. Non gli difetta un certo acume, dato che riesce a smascherare gli inganni dei religiosi. Così ritrova il teologo Raval che ha indotto il Cavaliere ad arruolarsi e a partecipare alla crociata: lo riconosce e lo vede trasformato in un volgare ladro dedito allo sciacallaggio. Incontra un pittore e lo trova intento a dipingere una danza macabra, così si mette a discutere con lui, esprimendo i suoi dubbi su tale opera, colpevole a sua detta di spingere ancor più la gente disperata tra le braccia dei preti. L'artista, nichilista come il suo interlocutore, fa notare di rimando che quel dipinto rappresenta la realtà delle cose e che ognuno è libero di trarne le conclusioni che vuole. Sempre arguto, Jöns fa notare a una donzella che potrebbe violentarla ma che l'atto lo stancherebbe troppo. Nessuna Asia Argento-Giovanna d'Arco in vista in Danimarca, quindi la libertà di battuta è sacrosanta.


La Morte non fornisce alcuna informazione. È un immane buco nero concettuale, che tutto inghiotte senza restituire nulla. Se Stephen Hawking teorizza la possibilità di fuga di qualche radiazione e di informazione da un buco nero nato dal collasso di una stella, allora dobbiamo pensare che la Morte antropomorfa incontrata dal cavaliere sia ancora più nera di un buco nero. Pirandello sosteneva l'impossibilità di penetrare i misteri della nostra condizione a partire dalla nostra visuale: "Non possiamo comprendere la vita, se in qualche modo non ci spieghiamo la morte. Il criterio direttivo delle nostre azioni, il filo per uscir da questo labirinto, il lume insomma deve venirci di là, dalla morte." Eppure quando la Morte sentenzia e dialoga col Cavaliere, non le sfugge alcuna affermazione che possa fare chiarezza. "Forse è così, forse non esiste", afferma parlando di Dio, come se non potesse definire altrimenti il problema, lasciando l'interlocutore annichilito ma capace di proferire una grande verità: "Allora la vita non è che un vuoto senza fine. Nessuno può vivere sapendo che dovrà morire un giorno come cadendo nel nulla, senza speranza." E ancora in un altro luogo del film essa afferma di non sapere alcunché: "Non mi serve sapere." La cosa ha una sua logica. Infatti alla Morte non serve conoscere. Essa arriva per ghermire la sua preda, non per discutere.

 

Il Guitto ha un'indole sognante ed è spesso colto da visioni allucinatorie, che tuttavia gli consentono talvolta di vedere cose che agli altri sfuggono. La moglie Mia lo schernisce, perché sa che egli ha l'abitudine di mentire e di parlare in modo iperbolico. Resta il fatto che non tutte le visioni del bizzarro saltimbanco sono del tutto vane. Se non possiamo credere che la Vergine Maria si sia davvero mostrata a lui nell'atto di incedere col Bambinello zampettante, verso la fine delle sequenze qualcosa cambia. Soltanto Jof è in grado di vedere la Morte che gioca a scacchi col Cavaliere, mentre gli altri credono che l'uomo conduca una partita solitaria. Il guitto, che riesce a percepire la presenza di Thanatos con gli occhi di carne, alla fine ne scorge la triste figura salire su un colle con il Cavaliere, lo Scudiero e tutti gli altri in fila, che procedono in una danza macabra verso la soglia da cui non c'è ritorno, verso l'annientamento. 


La partita a scacchi tra il Cavaliere e la Morte è stata ispirata a Ingmar Bergman da un affresco di Albertus Pictor nella chiesa di Täby. Senza dubbio è in assoluto uno dei motivi più potenti di tutta la storia del cinema. Moltissimi hanno ben presente le figure del Cavaliere e della Morte seduti davanti alla scacchiera, anche se poi non tutti hanno visto il film. In altre parole, queste immagini sono state scorporate dal loro contesto per diventare organismi memetici indipendenti e capaci di agire. Antonius Block crede fermamente di poter resistere alla Morte, di essere in grado, tramite l'intelletto, di ingannarla. Man mano che la battaglia procede, egli finisce logorato e commette piccoli errori che si accumulano, portando alla perdita della regina. Quando il mantello urta i pezzi, la Morte li dispone a modo suo con l'inganno e l'esito è segnato. La critica cattolica è avvezza a vedere nella fatidica partita la vittoria della fede su Thanatos, ma anche se così fosse si tratterebbe di una vittoria di Pirro. Sarebbe utile sapere cosa ne pensava lo stesso Bergman, che non era credente. Interessante la disamina di un wikipediano: "Nella analisi del film si legge che il cavaliere possiede la fede che però è oscurata al dubbio... Cosa sbagliata a mio avviso. Il film tratta della morte-silenzio di Dio, tematica molto legata al materialismo. Di questo sentimento si fa foriero Block e si può facilmente intuire come sia materialista, ancora più di quanto lo sia il suo scudiero, dalla scena, ad esempio in qui (sic) egli si confessa alla morte, chiedendo il perche (sic) appunto della non visibilità di Dio, volendo vederlo, conoscerlo a tutti i costi, poichè lo reputa una sostanza fisica da poter ipoteticamente uccidere. Invece lo scudiero, a mio avviso, rappresenta il raziocino (sic) puro, non contaminato da sentimenti di alcun tipo, cosa che può essere facilmente confondibile con il materialismo più rozzo." 


Anacronismi veri e presunti  

Alcuni sostengono che il Pittore fosse in realtà proprio Albertus Pictor, ma questo è impossibile: l'artista nacque intorno al 1440 a Immenhausen in Assia (Germania) e morì intorno al 1507 in Svezia - a quanto pare le date precise non si conoscono - quindi la sua vicenda terrena si svolse un secolo dopo i fatti narrati nel film. Questo errore è probabilmente dovuto anche al fatto che molti credono che Il settimo sigillo sia ambientato in Svezia, paese in cui Albertus Pictor fu attivo, mentre in realtà si svolge in Danimarca. La rappresentazione della danza macabra è documentata a partire dal XV secolo, ma essendo stata ispirata dalla Peste Nera del 1348 è ben possibile che sia più antica e che i primi dipinti di questo genere siano andati perduti. Non sono quindi sicuro che il tema sia anacronistico. I Flagellanti sono documentati in Danimarca già nel 1339 e non costituiscono un elemento incongruo. Numerose voci si sono levate per definire anacronismo la condanna al rogo della strega, ma questo non è di certo vero. Anche se la persecuzione sistematica delle streghe inizia nel XV secolo, è molto probabile che se ne dessero casi anche nei secoli precedenti, soprattutto in occasione di sciagure collettive. Non va dimenticato che la condanna al rogo delle streghe era già presente in epoca pagana. Nel mito finisce arsa viva Angrboða, lasciando tra le ceneri ardenti il cuore ancora palpitante, poi ingurgitato da Loki. Gli autori antichi ci tramandano che era costume tra i Celti ricercare le donne autrici di malefici e bruciarle vive. Il vero anacronismo, che a quanto vedo sembra sia sfuggito ai critici, è proprio la crociata. In concreto, a quale delle crociate si fa riferimento? Il film deve svolgersi intorno al 1350, perché in quel periodo la peste fece la sua comparsa in Danimarca, giungendo nel giro di poco tempo fino alla terra dei Lapponi. Quindi non si può trattare nemmeno della decima crociata (1271-1272). All'epoca in cui la grande epidemia di peste si diffuse in Europa, gli stati crociati di Oltremare erano da tempo estinti: San Giovanni d'Acri cadde nel 1291. Forse si allude alla cosiddetta crociata alessandrina del 1365? Inutile nascondere che gli eventi non collimano.       

Il settimo sigillo e il paganesimo

Non si deve dimenticare che le vicende narrate dal film si svolgono soltanto pochi secoli dopo l'affermazione della religione cristiana in Scandinavia. Di certo l'antico paganesimo non era così distante come potrebbe sembrare ai moderni. Ne è la prova l'importanza estrema dei portenti, chiamati rund in norreno (da non confondersi con l'omonima parola delle moderne lingue scandinave, rund "rotondo"). Turbamenti dell'ordine naturale sono descritti con forti accenti precristiani: 

«A Farjestad tutti parlavano di sinistri presagi e di altre orribili cose. Due cavalli si erano mangiati l'un l'altro di notte, e nel cimitero si erano scoperte le tombe, e i resti di cadaveri si erano sparsi dappertutto. Ieri pomeriggio sono stati visti quattro soli nel cielo.»

Sarebbe un errore credere che questo materiale abbia sic et simpliciter radici bibliche: all'Apocalisse si sovrappongono reminiscenze più antiche, incorporate nel complesso edificio della fede popolare. Pochi sanno che notevoli resti del paganesimo sono riusciti a perdurare in quelle terre settentrionali persino oltre la Riforma.

Citazioni: 

«Quando l'Agnello aperse il settimo sigillo, nel cielo si fece un silenzio di circa mezz'ora, e vidi i sette angeli che stavano dinnanzi a Dio e furono loro date sette trombe.»
(Apocalisse 8,I)

«Questa è la mia mano, posso muoverla, e in essa pulsa il mio sangue. Il sole compie ancora il suo alto arco nel cielo. E io... io, Antonius Block, gioco a scacchi con la Morte.»
(Il Cavaliere)

«Voglio parlarti il più sinceramente possibile, ma il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura. Per la mia indifferenza verso il prossimo mi sono isolato dalla compagnia umana. Ora vivo in un mondo di fantasmi, rinchiuso nei miei sogni e nelle mie fantasie.»
(Il Cavaliere)

«Ma perché, perché non è possibile cogliere Dio coi propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse, e preghiere sussurrate, e incomprensibili miracoli? Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? Che cosa sarà di coloro i quali non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me sia pure in modo vergognoso e umiliante anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto egli continua a essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi?»
(Il Cavaliere)

«Per dieci anni siamo stati laggiù lasciando che le serpi ci mordessero, le mosche ci divorassero, le fiere ci dilaniassero, gli infedeli ci accoppassero, il vino ci avvelenasse, le donne ci infettassero, le piaghe ci dissanguassero e tutto perché? Hah... per la gloria del Signore...»
(Lo Scudiero)

«In queste tenebre dove tu affermi di essere, dove noi presumibilmente siamo... in queste tenebre non troverai nessuno che ascolti le tue grida o si commuova della tua sofferenza. Asciuga le tue lacrime e specchiati nella tua stessa indifferenza...»
(Lo Scudiero)

«Scimmie tanto simili all'uomo da essere stupide quanto lui.»
(Lo Scudiero)

«In alto siede l'Onnipotente così lontano che è sempre assente, mentre il Diavolo suo fratello lo trovi anche al cancello.»
(Lo Scudiero)

«Mia! Li vedo, Mia! Li vedo! Laggiù contro quelle nuvole scure. Sono tutti assieme. Il fabbro e Lisa, il cavaliere e Raval e Jöns e Skat. E la morte austera li invita a danzare. Vuole che si tengano per mano e che danzino in una lunga fila. In testa a tutti è la morte, con la falce e la clessidra. E Skat è l'ultimo e ha la lira sotto il braccio. Danzano solenni, allontanandosi lentamente nel chiarore dell'alba, verso un altro mondo ignoto, mentre la pioggia lava e quieta i loro volti e terge le loro guance dal sale delle lacrime.»
(Il Guitto)

Dialogo tra lo Scudiero e il Pittore:
- Che cosa dipingi?
- La danza della morte.
- E quella è la morte?
- Sì, che prima o dopo danza con tutti.
- Che argomento triste hai scelto...
- Voglio ricordare alla gente che tutti quanti dobbiamo morire.
- Non servirà a rallegrarla...
- E chi ha detto che ho intenzione di rallegrare la gente? Che guardino e piangano.
- Aaah, invece di guardare chiuderanno gli occhi...
- E io ti dico che li apriranno... Un teschio, spesso interessa molto di più di una donna nuda.
- Se li spaventi però...
- ...Li fai pensare
- E se pensano...
- ...Si spaventano ancora di più.