giovedì 20 settembre 2018

IL PRURITO DEL DRAGO
(Parte Prima)

  - Credo di non essere mai esistito per davvero.
  - Infatti non esisti.
  - Lo sapevo, l’ho sempre sospettato.
  - Ne parli come se fosse un male.
  - Lo è.  La vita è bella. Vorrei solo poterla assaporare per qualche istante.
  - Sciocco: la vita, come le sabbie mobili, non ti lascerà più andare. Stanne fuori, finché puoi.
  - Ma io voglio provare!
  - Lo desideri proprio?
  - Sì!
  - Eccoti accontentato.
 


Introduzione

Ci sono luoghi sulla terra in cui si vorrebbe vivere, metter su casa e famiglia, e poi vendere l’una e l’altra al miglior offerente. E infine c’è, o per meglio dire c’era, la città di Elissinia. Elissinia sorgeva sulle rive di un fiume, e fin qui nulla di strano. Solo che non si trattava di un fiume qualsiasi: per ragioni sconosciute, l’acqua vi scorreva in direzioni diverse, persino nell’arco della stessa giornata, creando qualche imbarazzo ai barcaioli. La vegetazione che cresceva lungo le rive non assomigliava a nessun’altra: un intrico di alberi sghembi, le cui radici affioravano dal suolo come viluppi di serpi, aggrovigliandosi nel sottobosco pullulante di specie fungine dalle dimensioni abnormi. Le spore del zorites caperatus germinavano sul tappeto muschioso dando vita a funghi bitorzoluti, di consistenza gommosa, lunghi talvolta sino a quaranta centimetri e oltre. In città se ne faceva grande uso, e non solo per scopi alimentari. Accanto ai zorites proliferavano miceti più piccoli: fra questi i pleurotus (già panati) e il boletus foetidus, giunto dalle Indie orientali e mai più ripartito.
Smisurata avidità ed avarizia costituivano i tratti peculiari degli abitanti di Elissinia. I bambini venivano educati al culto dell’oro, ma solo pochi di essi, una volta diventati adulti, potevano godere dei privilegi legati al possesso di grandi quantità del prezioso metallo: agli altri non restava che rassegnarsi a svolgere mansioni servili scarsamente retribuite. La frustrazione provata da migliaia di individui sconfitti nelle competizioni gerarchiche, esseri condannati a un destino di subordinazione, creava intorno alla città una cappa di energie negative fitta e opprimente quanto una nube di gas intestinali. Elissinia ospitava un’antica accademia, edificata dall’Arconte Fabius IV sulle rovine del tempio di Ahriman. La città contava una popolazione di centomila abitanti, sui quali regnava Sarmand, il rettore dell’accademia. Sarmand era privo di un arto, sebbene non fosse mai riuscito a stabilire quale: soffriva di una “sindrome dell’arto fantasma” di carattere metafisico. Si aggirava zoppicando vistosamente per i corridoi dell’accademia circondato da uno stuolo di servi zelanti pronti ad eseguire, anzi a prevenire, ogni suo più piccolo desiderio. Disprezzava profondamente quei galoppini, e correva voce che ne avesse soppressi a decine, sacrificandoli alle divinità ctonie durante abominevoli cerimonie notturne. Ciò nonostante, i vuoti nella schiera dei sotto-uscieri venivano puntualmente colmati, anno dopo anno, da altri appartententi ai gradi più infimi della gerarchia, attirati dal miraggio di un avanzamento di carriera. Molti di essi erano stati, in gioventù, allievi dell’accademia. La caratteristica saliente di questa antica, esecrabile istituzione consisteva, a detta dei suoi stessi reggitori, in un processo di selezione negativa, in base al quale ad emergere erano i soggetti con le peggiori attitudini. Ammesso che sia possibile stabilire una graduatoria nella scelleratezza, i peggiori fra i peggiori confluivano puntualmente nella congrega dei compilatori dei codici destinati a regolamentare ogni più piccolo aspetto della vita degli abitanti di Elissinia. Il sintomo più evidente della stortura mentale dei compilatori era rappresentato dalla forma dei loro scritti, concepiti in un gergo di straordinaria bruttezza, intellegibile ai soli addetti ai lavori. Ciò aveva fatto proliferare, in città, un’intera classe di individui – per lo più affiliati secondari alla congrega dei compilatori - la cui professione consisteva nel tradurre i codici e i regolamenti in una lingua comprensibile agli abitanti di Elissinia, dietro lauto compenso. In sostanza, caso raro in natura, una specie parassita – quella dei compilatori – ne aveva generata un’altra: quella dei decifratori di codici. Il malvagio Sarmand regnava su questo tenebroso abisso di  umana abiezione in cui, nel corso dei secoli, mai era era riuscita a penetrare una scintilla di luce. Si sbaglierebbe a giudicare questa una semplice immagine metaforica: l’esistenza di un’accademia sotterranea era un fatto certo, benché noto a pochissimi. Il sottosuolo della città sul fiume celava una rete di gallerie scavate da servitori non umani del consiglio magistrale superiore. Gallerie che si intersecavano creando ambienti più vasti, teatro di riti innominabili.
Tutto ciò che sappiamo di Elissinia lo dobbiamo a uno scritto anonimo custodito presso la Biblioteca Nazionale Centrale della capitale dell’Impero, Veltronia. Della città, infatti, non rimane più traccia, tanto che alcuni studiosi dubitano persino che sia mai esistita. Il libro, un pesante volume rilegato in legno, cesellato a sbalzo con incisioni a bulino, reca il titolo “De natura hominum”. La traduzione del testo, il cui stato di conservazione è tale da scoraggiare anche le tarme, procede con difficoltà ma senza soste. Quella che qui vi proponiamo è la prima versione autorizzata in veltroniano moderno dei capitoli compiutamente tradotti.

DE NATURA HOMINUM

I

Come ogni mattina, i servitori erano intenti a lucidare le teche di vetro che custodivano i cadaveri imbalsamati dei Catafratti, massimi detentori della suprema autorità magistrale. Il corridoio centrale dell’accademia, su cui si affacciavano le aule principali, ospitava venti di queste teche. I volti dei rettori defunti erano orribili a vedersi: vi si leggeva ancora la cupidigia che aveva ispirato ogni singolo gesto della loro esistenza. Dinanzi alle salme dei Catafratti, sfilavano a capo chino gli allievi dell’accademia, prima di recarsi a lezione.  
La porta del rettorato si aprì ed entrò un nano. Era il direttore dell’ufficio affari generali dell’accademia, un individuo temutissimo dai suoi sottoposti, e per questa ragione fatto oggetto della più bieca adulazione. Si narrava che fosse entrato nei ruoli del personale non docente dell’accademia dal grado più basso, quello di vice-portiere addetto allo spolvero delle teche, ed avesse costruito la sua prodigiosa carriera sulla delazione e il ricatto.
  - Eccellenza, il rapporto settimanale.
Sarmand sedeva sulla poltrona accanto alla finestra, tutto preso ad osservare l’andirivieni degli studenti nel cortile sottostante.
  - Posi il fascicolo sulla scrivania e mi faccia un sunto veloce, che non ho tempo da perdere con le scartoffie.
Il nano sapeva benissimo che Sarmand avrebbe letto ogni riga del rapporto, per verificarne la corrispondenza con quanto si accingeva ad esporgli, e si dedicò a riassumerlo con la massima precisione.
  - Sì eccellenza. Il professor Valterius è stato inghiottito da una voragine profondissima apertasi improvvisamente nel manto stradale.
  - Fin qui le buone notizie. E le cattive?
  - A dir il vero oggi non ne sono giunte.
  - Continui.
  - Sì eccellenza, devo segnalarle l’avvenuto decesso del docente emerito di cripto-glottologia, Parvenio, spirato dopo lunga e straziante agonìa. Pensi: il poveretto aveva perso l’uso di entrambi i mignoli delle mani!
  - Ed è morto per così poco?
  - Il resto del corpo era già paralizzato da tempo. Infine, ho raccolto alcune testimonianze che potrebbero inchiodare il professor Euforione. Le ho qui nella borsa.
  - Faccia vedere!
Il nano con uno scatto felino porse a Sarmand un robusto plico.
  - Il pervertito! - disse con maligna soddisfazione il Rettore, scorrendo la documentazione.  - Non l’ho mai potuto sopportare. Ma adesso basta. Quant’è vero Ahriman, stavolta lo ridurrò in polvere. Non intendo solamente distruggerlo, voglio sentirlo squittire come un topo stretto all’angolo.
Il nano non battè ciglio, ma avvertì dentro di sé un brivido di piacere profondissimo.
Sentiva di aver appena contribuito a segnare la sorte di un uomo che lo aveva pubblicamente umiliato in più di un’occasione.
  - Eccellenza.
  - Che altro c’è?!
  - Oggi pomeriggio, in aula magna… la cerimonia per il conferimento della laurea honoris causa  a Calvertius.
  - Calvertius! Quel miserabile saltimbanco! Avete affisso gli annunci?
  - Da un settimana, eccellenza.
  - E gli avvisi sulla Gazzetta dei Sottomessi?
  - Sono in pubblicazione da ieri.
  - Faccia vedere.
La Gazzetta dei Sottomessi era un foglio a stampa, il solo notiziario pubblicato a Elissinia. Ospitava apologie degli accademici e, più in generale, encomi di chiunque ricoprisse una posizione di potere, qualunque essa fosse, anche la più infima. Ovviamente, la lunghezza dei testi apologetici variava in relazione all’importanza del soggetto: i vice-sotto-delegati della commissione incaricata di sovrintendere alla pulizia delle abitazioni dei Presidi di facoltà ricevevano sì e no tre righe di elogi al mese. Solo i Docenti Emeriti potevano contare su un articolo encomiastico di lunghezza superiore alle trenta righe. I collaboratori della Gazzetta davano il peggio di sé in occasione dei funerali dei potenti: lodi sperticate, ritratti celebrativi talmente enfatici da sconfinare nel ridicolo. 
Gli autori di questi testi erano il prodotto migliore del processo di selezione negativa attuato dall’accademia. Alcuni di essi erano solo in parte umani, altri non lo erano affatto. Il direttore era un pupazzo di legno mosso da un ventriloquo (ma questo era un segreto noto solo a Sarmand).
  - E’ previsto che io tenga un discorso?!
  - Sì eccellenza.
  - Non ci penso neanche. Mi sostituirà il sosia.
  - Il sosia è afono, ha preso freddo.
  - Come sarebbe a dire? Come ha fatto a prendere freddo?
  - La cantina in cui lo  teniamo rinchiuso è umida.
  - Trovategli un'altra collocazione!
  - Senz’altro. Ma per il momento è afono.
  - Ho capito, dovrò intervenire di persona. Provveda lei a stilare un discorso per l’occasione.
  - L’ho già preparato.
  - Posi lì e se ne vada.
- Eccellenza.
Il nano si inchinò e così facendo sfiorò il pavimento con la fronte. Uscito dall’ufficio del Grande Catafratto si stropicciò le mani per la soddisfazione.
Non appena il nano se ne fu andato, ampie volute di fumo cominciarono a levarsi da un’anfora posata su un tavolino d’angolo. Il fumo disegnò i contorni di una figura femminile. Sarmand, per nulla sorpreso, stette ad osservare il fenomeno: in breve, dinanzi a lui venne a stagliarsi la sagoma di una giovane donna, avvolta in un mantello. I suoi occhi risplendevano come braci ardenti, e da tutto il suo corpo emanava una specie di bagliore, quasi il riflesso di un incendio. La voce della donna alata aveva un timbro sepolcrale.
  - Perché mi hai evocata, Sarmand?
  - Questa città poggia su quattro pilastri: avidità, paura, invidia e odio. Da questi quattro elementi trae alimento il mio potere. Come potrei dominare su decine di migliaia di uomini e donne, se costoro non fossero dominati dalle peggiori passioni? Sono come cani rabbiosi, sempre pronti a sbranarsi a vicenda. Rispettano solamente la forza. Ricordi il mio predecessore? Era un vero animale, eppure tutti lo riverivano. Ancora oggi viene ricordato come un benefattore, e una piazza di Elissinia porta il suo nome.
  - Non hai ancora risposto alla mia domanda. Perché mi hai evocata?.
  - Avverto un pericolo. Una minaccia sospesa sul potere dell’accademia, che io incarno.
  - La minaccia di cui parli  ci è nota, da giorni ne seguiamo l’evolversi.
  - E non siete intervenuti a sventarla? - domandò timidamente Sarmand.
  - Saremo noi a decidere il quando e il come. Ma ti ho già dedicato sin troppo tempo, affari più urgenti mi attendono.
E così dicendo la creatura si dissolse nell’aria, lasciando dietro di sé un aroma di baccalà. 

II

Garm avanzava guardingo sul sentiero illuminato dalla luce argentea della luna piena. Il bosco alle sue spalle si stagliava maestoso: vera e propria fortezza arborea, capace di infondere timore anche nei cuori più impavidi. Non un alito di vento scuoteva le fronde degli alberi secolari. Il giovane estrasse dalla bisaccia l'amuleto donatogli, molto tempo prima, da Firlfrind, il mago, e se lo passò più volte sotto le ascelle e nel solco inguinale, come gli era stato insegnato. Guardò dinanzi a sé: il sentiero proseguiva in linea retta attraverso la brughiera butterata di acquitrini. Riprese il cammino, non senza aver prima lasciato partire un peto fragoroso che rimbombò nel silenzio della pianura come un tuono. Erano giorni che si nutriva di bacche e la cosa cominciava a fare i suoi effetti. Giunto in prossimità di uno stagno, Garm avvertì una sgradevole sensazione: qualcuno, o qualcosa, dal profondo del bosco lo stava fissando.  “Devo far finta di nulla”, pensò. Ma il suo intestino non seguì questo saggio proposito. Un peto, ancor più violento del primo, crepitò paurosamente rimbombando fra gli alberi. Lo spostamento d’aria fu tale da proiettare Garm ad alcuni metri di distanza.
Immediatamente, dal folto della foresta, sbucarono dei guerrieri con dei curiosi copricapi a forma di turacciolo, lanciando urla belluine. Garm si diede a una fuga precipitosa, non certo per sottrarsi al combattimento, ma per pura e semplice codardia. 
Corse come corre una volpe inseguita da un branco di segugi, distanziando i propri inseguitori che non cessavano di rivolgergli improperi. Sfruttando la propulsione fornita dalle emissioni intestinali guadagnò ulteriore terreno. Raggiunse una specie di argine, in cima al quale si arrestò, finalmente, a riprendere fiato. Si volse a guardare indietro, rallegrandosi nel constatare come i suscettibili abitanti della foresta avessero desistito dal braccarlo. Nella sua mente balenò il ricordo della terra natìa, la valle di Gyelheim, da cui un destino avverso lo aveva strappato, forse per sempre. Gli apparve il volto angelico della bella Fringa dalle lunghe trecce dorate e dai seni grandi come meloni. Fringa che mai lo aveva degnato di uno sguardo. Un pigolìo scosse Garm dai suoi pensieri, facendolo sobbalzare più e più volte. - Pulcini! - esclamò, sentendosi perduto. Mancava ancora molto all’alba e la luce del disco lunare pareva suscitare sinistre entità dal suolo coperto di muschi e radici putrescenti. Dove trovare scampo? La foresta pullulava di indigeni ostili, e la brughiera… la brughiera celava ogni sorta di insidie! Non restava che cercare rifugio nella palude, che si estendeva a perdita d’occhio ai piedi dell’argine. Di nuovo il pigolìo risuonò minaccioso nella notte, questa volta ancor più vicino. Garm non esitò oltre e discese nell’acquitrino, rabbrividendo al contatto con l’acqua tiepida. Vi affondò fin sopra il ginocchio e si inoltrò fra la vegetazione. Avanzò fra le canne, finchè l’eco dei pigolii non si affievolì alle sue spalle. La vegetazione palustre dopo un centinaio di metri prese a diradarsi, ed allora Garm scorse delle luci risplendere dinanzi a sé. Provenivano da un villaggio edificato su un’isola, protetta dal canneto. Garm si avvicinò guardingo a una capanna, da cui proveniva una voce cantilenante, e sbirciò all’interno. La capanna era vuota! Ma allora da dove proveniva la voce misteriosa? Forse dalla capanna accanto. Garm, tremando come una foglia, si avvicinò con circospezione al tugurio, da cui ora giungeva un vero e proprio concerto di voci, frammiste a belati, latrati, muggiti, ruggiti, guaiti, bramiti. Troppo per il povero Garm, che stava già per fuggire quand’ecco che la porta della capanna si aprì.
  - Che fai lì, straniero? Entra.
A rivolgergli questo invito era una giovane donna, straordinariamente bella, che lo osservava dalla soglia. Indossava una corta tunica di lino che lasciava scoperte le cosce tornite. Garm si tolse il lungo cappello a cono, dono del generoso Firlfrind, e salì i gradini della capanna. 
  - Il mio nome è Kavàla - esclamò la donna. - Vivo nella palude e mi annoio terribilmente. Tu chi sei?
  - Il mio nome è Garm. Provengo da Gyelheim, non so se hai presente.
  - Veramente no.
  - E’ una valle ubertosa, resa fertile dalle acque di due grandi fiumi alimentati, secondo la leggenda, dalle mammelle di Gea.
  - Molto interessante. Cosa ti porta in questi tristi paraggi?
  - Non dovrei dirlo ma sto svolgendo un’importante missione da cui dipende il destino del mio popolo.
  - Però! E in cosa consiste questa missione?
  - Non potremmo sederci? Sono stanchissimo.
  - Ma certo, entra, anzi scusami se ti ho trattenuto fuori dall’uscio. L’aria della palude è così insalubre. Ecco, siedi pure per terra, su quello straccio bisunto.
  - Grazie, sei molto gentile.
  - Allora, questa missione?
  - Mi spiace ma non posso entrare in particolari: è una missione segreta. Posso però rivelarti che la mia meta è la città stregata di Elissinia.
Kavàla trasalì, scuotendo la sua bella chioma a caschetto.
  - Elissinia è un luogo pericolosissimo! Hai idea dei rischi a cui ti esporrai? E poi come pensi di cavartela da solo? No, no, è una follia bell’e buona, credimi… Una soluzione però ci sarebbe.
  - Quale?
  - Potresti prendermi con te. In due si ragiona meglio! E poi io so fare un sacco di cose: imito le voci degli animali e so contraffare quelle degli esseri umani, alla perfezione.
Così dicendo, Kavàla si mise a quattro zampe e prese ad abbaiare, dimenando il sedere.
Garm, giovane ingenuo, in tutta la sua breve esistenza non aveva concepito un solo pensiero peccaminoso. Ma, alla vista di quelle natiche perfettamente modellate, fu colto da una specie di vertigine.
  - Aria, ho bisogno d’aria! - esclamò, levandosi in piedi. Prim’ancora che la donna della palude potesse accennare una reazione, il giovane sgaiattolò dalla finestra.
Tutt’intorno a lui gracidavano le rane. Il gracidìo era così intenso che Garm, provato dalle troppe emozioni, svenne.
Si risvegliò a giorno inoltrato. Giaceva nella capanna, disteso su del pagliericcio.
Kavàla sedeva, accanto a lui, su uno sgabello rivestito di pelle di sgrinz, un animale erbivoro simile allo yak, che all’inizio della primavera si disfa della sua pelliccia invernale per indossare una  livrea più adatta alla stagione mite.
Garm si stupì nel constatare come le ascelle di Kavàla fossero perfettamente depilate. La terra da cui proveniva era abitata da donne selvagge, di cui tutto si poteva dire tranne che avessero familiarità con il sapone. Kavàla non emanava alcun afrore ferino, anzi, sapeva di pulito. La sua pelle era liscia come seta, e sul suo viso non si scorgeva traccia di baffi. Persino gli insetti parevano restii ad aggredirla, mentre invece si tuffavano con voracità sull’irsuto Garm, come su un’esca succulenta.
  - Bentornato. Hai dormito a lungo.
  - Non so cosa mi ha preso, mi dispiace.
  - Mentre riposavi ti ho procurato del cibo.
La donna porse a Garm un vassoio con delle ciambelle e una ciotola di latte.
  - Mangia che ne hai bisogno, sei così pallido.
Garm divorò tutto quanto con appetito.
  - Ora dimmi: cosa pensi di fare? mi porterai con te?
Garm annuì.
  - Fantastico! Sono già pronta  a partire.
  - Ci servirà una provvista di cibo.
   - Ho preparato tutto. E qui fuori c’è uno sgrinz sellato. Ci stiamo in due comodamente. Pronti?
  - Andiamo. Ma non devi salutare nessuno, prima? I tuoi parenti?
  - No, il villaggio è disabitato.
  - Cosa? Vivi qui sola?
  - Già, tutta sola.
  - Che fine hanno fatto gli altri?
  - Li hai sentiti poco prima di svenire. Si sono trasformati in rane, un paio di anni fa.
  - E com’è successo?
Un’ombra di tristezza si posò sul volto di Kavàla.
  - Un giorno arrivò al villaggio un viandante e chiese ospitalità al consiglio degli anziani. Lo ricordo come fosse ieri. Era un bell’uomo, alto, ma di altezza variabile.
  - In che senso?
  - Che la sua altezza variava. Si allungava e si accorciava.
  - Ma si allungava tutto o solo in parte?
  - Tutto si allungava. A volte invece si restringeva e diventava piccolo piccolo, un vero nano. E in quei momenti mi faceva paura. I nani sanno essere terribili.
  - E poi?
  - Il viandante mi faceva una corte spietata. Si appostava sui rami degli alberi e mi spargeva petali di fiori sui capelli mentre passavo di sotto. Scriveva poesie e me le faceva trovare al mattino, affisse sulla porta della capanna. Un brutto giorno me lo vidi spuntare davanti lungo lungo ed ebbi la cattiva idea di mettermi a ridere, ma mica volevo prenderlo in giro, ero proprio imbarazzata dalla sua lunghezza. Fatto sta che lui s’infuriò, raccolse le sue cose e mentre si allontanava scagliò una maledizione sul villaggio. Tutti coloro che lo abitavano, tranne me, si trasformarono in rane! Ormai ho rinunciato a sperare che possano ritornare umani. L’unica soluzione è che ritrovi quel disgraziato e lo costringa a disfare il sortilegio.
  - Entrambi andiamo alla ricerca di qualcosa o qualcuno, e non sappiamo se lo troveremo.
  - Ora però basta parlare, partiamo - disse Kavàla, e balzò in groppa allo sgrinz.
L’animale cacciò una scoreggia che investì in pieno viso il povero Garm scompigliandogli i capelli. Il giovane barcollò semintontito.
  - Ti ci dovrai abituare. Queste creature si nutrono di vegetali che, fermentando, producono nei loro ampi stomaci quantità considerevoli di gas.
  - Bacche, scommetto.
  - Precisamente. Sali, dai. No, non dietro di me: davanti. Non mi dirai che non hai mai cavalcato.
  - Certo, cosa credi.
Garm mentiva spudoratemente: la sua pratica non andava oltre il cavallo a dondolo ricevuto in dono da bambino. Ma lo sgrinz, nella sua innata saggezza, venne in aiuto del giovane inesperto: si chinò così che Garm potesse salirgli in groppa, quindi si mise in movimento lungo il sentiero che si allontanava dal villaggio in direzione di un bosco di isverdie. Le isverdie, com’è noto, sono piante sempreverdi. Tranne che in un’occasione: quando si sentono osservate. In tal caso, infatti, le foglie assumono una colorazione rossastra. Per questa ragione la pianta è nota fra i botanici con il nome di isverdia timida.
  - In quel bosco vivono strane creature, caro Garm. E’ per questa ragione che non mi sono mai azzardata a recarmici da sola, specialmente di sera. Ma in tua compagnia, mi sento al sicuro.
  - Che genere di creature?
  - Io di persona non le ho mai viste, ma mio nonno mi raccontava che una volta vide sbucare da dietro un cespuglio una scimmia albina, con un cappello a cilindro calcato in testa. E la scimmia gli rivolse la parola!
Garm rabbrividì. Il bosco celava dunque minacce tanto orrende?
  - E poi, - proseguì Kavàla - la scimmia prese da terra un oggetto di forma quadrangolare, simile a un cristallo, recitò una formula incomprensibile e si dissolse nell’aria, come una bolla di sapone.
Il bosco, a quell’ora del giorno, risuonava dei canti di innumerevoli specie d’uccelli, alcuni dei quali estinti da migliaia di anni. L’eco dei loro cinguettii vibrava ancora fra le fronde delle isverdie! Lo sgrinz, con passo lento ma sicuro, si inoltrò nel folto. L’aria era densa di aromi e profumi, così penetranti da indurre un lieve stordimento. Kavàla si strinse ancor più a Garm, che sentì crescere dentro di sé un sentimento quale mai aveva provato prima. E cominciò ad allungarsi, ma non come il viandante: solo in parte.
Lo sgrinz, giunto nel frattempo a una biforcazione del sentiero, si bloccò in attesa di ordini.
  - E adesso dove si va? - riflettè il giovane. In quel mentre, una farfalla dalle ali azzurre venne a posarsi sulla criniera dello sgrinz, per poi levarsi in volo diretta verso il sentiero di sinistra. E fu proprio in quella direzione che Garm spronò la sua cavalcatura.
  - Garm, come faremo ad entrare a Elissinia?
  - Non me lo sono mai chiesto. Troveremo il modo, e poi sono convinto che Firlfrind verrà in nostro soccorso.
  - Speriamo, ma forse sarebbe il caso di preparare un piano di riserva, casomai il mago non potesse intervenire.
  - Hai ragione, faremo così. Quando saremo in vista delle mura della città, ci fermeremo a riflettere.
  - Potremmo farlo anche adesso.
  - Buona idea, comincia tu.
Kavàla si era accorta da un pezzo dello stato di eccitazione di Garm, e non sapeva che fare. Era attratta dal giovane, ma non voleva concedersi a lui troppo presto, almeno non prima del tramonto. A parte ciò, era sinceramente preoccupata per la sorte che li attendeva in città. Non si era mai allontanata dal suo villaggio di capanne, e, pur conoscendo alcune pratiche magiche elementari, non si sentiva certo in grado di rivaleggiare con i negromanti di Elissinia.
A distoglierla da queste considerazioni giunse un evento tanto improvviso quanto inaspettato: lo sgrinz si mise a parlare.
  - Ho viaggiato per mezzo mondo, valicato montagne, guadato fiumi… e ora comincio ad essere stanco di tutto questo andare. Un tempo ero affascinato dal paesaggio, mi incuriosivano le persone che incontravo. Oggi non più: di voi umani so tutto ciò che c’è da sapere, e, quanto al resto, sinceramente m’è venuto a noia. Tuttavia, siccome voi due mi state simpatici, vi porterò a destinazione. Adesso però, se permettete, vorrei sostare un poco.   
Ripresasi dallo stupore, Kavàla rispose allo sgrinz.
  - Ma certo, anche noi abbiamo bisogno di una pausa.
Garm non fiatò. Altre volte, in passato, aveva assistito ad episodi simili,  ma solo in sogno. Era dunque un sogno anche quello? Carezzò una coscia di Kavàla: quella pelle, liscia e calda, era reale. Anche il pizzicotto - lieve, a dire il vero – che ricevette dalla ragazza, lo era. Dunque non stava sognando. Lo sgrinz aveva parlato, e se così stavano le cose, tutto poteva accadere. 

III

Ventri gonfi come otri, teste pelate, guance cascanti, doppi e tripli menti: la platea di accademici radunati nella Sala delle Conferenze offriva allo sguardo un repertorio di corpi sfatti e deformi. Su quell’accolita di eruditi si stendeva già l’ombra della morte. Sarmand, nel fare ingresso in sala da un passaggio segreto, fu colto da sgomento alla vista dei colleghi, e soprattutto dall’odore di carne andata a male, che gli incensi profusi in gran quantità nel locale non riuscivano a cancellare. Scambiò un’occhiata con l’ultraottuagenario professor Ragades, aggrappato a un seggiolone in prima fila. Il rudere rivolse al Catafratto la parodia di un sorriso e, sollevandosi appena sui braccioli, esalò una peto fragoroso. Ritto in piedi dietro di lui, impassibile, l’assistente Gromius, candidato a succedergli alla cattedra di grafologia dei crittogrammi, saettava occhiate torve sui presenti. Smodata ambizione, superbia, volontà di rivalsa trasudavano da tutti i pori del nerboruto assistente, amatissimo dalle studentesse per il suo carattere tirannico, la sua arroganza e quell’aria da bruto irriducibile a qualsiasi tentativo di civilizzazione. Un vero animale, insomma, villoso per di più, e capace di battute incredibilmente volgari, che mandavano in brodo di giuggiole le sue ammiratrici.
Una coppia di portieri, scorto il Catafratto, corse ad inginocchiarsi ai suoi piedi. Sarmand li ignorò, e si diresse verso un capannello di docenti i cui neri mantelli facevano pensare a uno stormo di corvi radunati intorno a una carcassa da spolpare. La folla si aprì al suo passaggio, fra inchini, salamelecchi e sorrisi untuosi, e lasciò apparire il laureando, Calvertius. Era costui un saltimbanco, esibitosi per anni nelle fiere di paese. Divenuto in seguito giullare presso la corte del Proconsole Fistulòs, entrò nelle grazie del potente personaggio e da questi fu avviato a una brillante carriera teatrale. Decisiva fu, in seguito, la conoscenza dell’Archimandrita, Zoran. Con una repentina quanto inaspettata metamorfosi, Calvertius modificò radicalmente il proprio repertorio, fatto un tempo di battute salaci e irriverenti, e divenne “poeta”. Non perdeva occasione per esibire in pubblico questa sua nuova vena poetica, declamando versi, altrui, tesi a celebrare le meraviglie del creato e la benevolenza della Nube Purpurea. Una politica che gli guadagnò apprezzamento da parte dei potenti e consensi entusiastici da parte delle torme dei sottomessi, sempre grati a chi li conferma nelle proprie illusioni consolatorie.
  - Eccellenza! Quale onore, venga, si lasci abbracciare!
All’apparire di Sarmand, Calvertius esplose in una fragorosa esclamazione di giubilo. Il Catafratto si sottrasse all’abbraccio e raggiunse la poltrona riservata alla suprema autorità accademica, foderata in velluto rosso e dotata di soffici imbottiture atte a lenire i disturbi emorroidali cui Sarmand era cronicamente soggetto. Su un seggiolone poco distante, collocato ad un’altezza leggermente inferiore, l’Archimandrita Zoran, assicurato con cinghie robuste allo schienale, dispensava sorrisi melliflui e gesti benedicenti ai convenuti.
Il suono di un gong mise fine al cicaleccio disperdendo i crocchi degli eruditi, che guadagnarono immediatamente i propri posti. Ad un secondo colpo di gong, una botola situata giusto al centro della sala si spalancò, e ne uscì un vecchietto smilzo, con un altissimo cappello a cono ed un abito che pareva fatto di stracci cuciti alla bell’e meglio. Si trattava di Scrotulus, economo dell’istituto di geomanzia, incaricato di presiedere la cerimonia.
Gli era stato riservato una specie di pulpito ma sarebbe meglio dire una botte, agganciata in modo rudimentale a una colonna. Il vecchio vi fu issato con un argano da una coppia di portieri affetti da lordosi, che impiegarono quasi un’ora a compiere l’operazione, tra continue pause per riprendere le forze. Ed ogni volta, per lunghissimi minuti, l’economo restava appeso per le ascelle come un fagotto, le gambe penzoloni nel vuoto, avvolto nei suoi stracci colorati, un’espressione disperata dipinta sul volto. I portieri, madidi di sudore, gemevano per la fatica, ansimando come mantici, tra sinistri scricchiolii d’ossa e rumorose flatulenze, attirandosi i lazzi degli Ululanti seduti nelle ultime file (quella degli Ululanti era una conventicola di allievi dell’accademia accuratamente selezionati e addestrati in appositi serragli). Il pubblico assisteva compiaciuto all’umiliazione pubblica dell’economo, da tutti disprezzato per i suoi trascorsi di strozzino, e alle tribolazioni dei portieri. Il calvario dei tre meschini finalmente si concluse: l’economo fu adagiato nella botte e qui, dopo un’ulteriore, non breve pausa, Scrotulus attaccò il suo discorso.
  - Nel rivolgermi a questo almo consesso, desidero anzitutto ringraziare vivamente e sentitamente Sua Eccellenza il Rettore, nonché presidente della Società dei Catafratti: il mai sufficientemente lodato professor Nicolaus Sarmand, alla cui suprema autorità ci inchiniamo ammirati e riconoscenti; il reverendissimo Archimandrita Zoran, fonte inestimabile di ammaestramento morale, che ha voluto onorarci della sua presenza; i Diadochi Galvano, Labano e Carcarodonte, qui raffigurati in effigie; i membri del Consiglio Magistrale Superiore; il Proconsole Fistulòs e la sua diletta moglie, Isabella, la cui bellezza illumina come un raggio di luce questa sala prestigiosa.
Sarmand aguzzò la vista. Sedeva accanto al proconsole, in prima fila, una giovane donna molto attraente. Si stupì di non averla scorta prima: evidentemente, il viavai di docenti prima del gong l’aveva nascosta al suo sguardo. Il contrasto fra l’avvenenza di lei e lo sfasciume fisico del proconsole non avrebbe potuto essere maggiore. Fistulòs viaggiava verso i settantadue anni, e in lui restava ormai ben poco di umano. Come tutti i suoi sodali, aveva utilizzato il potere per accumulare illecitamente ricchezze enormi. Rimasto vedovo in seguito al suicidio della prima moglie, Fistulòs aveva messo gli occhi su Isabella, una donna di appena 26 anni. Appartenente a una facoltosa  famiglia di allevatori di lemming ridotta sul lastrico dall’irrefrenabile inclinazione al suicidio dei simpatici animaletti, Isabella aveva accondisceso al matrimonio con il laido proconsole per evitare ai genitori l’umiliazione del declassamento sociale. Era una donna d’animo fondamentalmente buono, una di quelle nature che, per ragioni insondabili, ritengono che la loro vita debba essere una continua espiazione.
L’attenzione del Catafratto tornò allo svolgimento della cerimonia. Scrotulus stava giusto pronunciando le ultime battute del suo discorso introduttivo, quando dal fondo della sala si levò un grido. Ampie volute di fumo sospinte da un’improvvisa corrente d’aria raggiunsero le prima file. L’uditorio esplose in un grido di terrore:
- Al fuoco!
Il professor Ragadès si cagò immediatamente nei pantaloni. Sarmand, unico fra tutti i presenti a non cedere al panico, osservava e taceva. Ad ardere erano le tende di un finestrone situato accanto all’entrata principale. Gli accademici si diedero a una fuga precipitosa, dirigendosi come una mandria al galoppo verso l’uscita collocata alle spalle del tavolo della presidenza.
Nella massa dei nerovestiti spiccava un individuo la cui deformità fisica superava ogni immaginazione: si trattava del redattore capo della Gazzetta dei Sottomessi, Demetrio Sileno. Era costui un essere del tutto privo di arti, che si trascinava utilizzando degli pseudopodi. Sarmand aveva pensato talvolta di esiliarlo, ma quell’abominio, così zelante nel proprio ruolo di servile scribacchino, gli tornava tutto sommato utile lì dove stava.
  - Guardali come scappano… come pulci da un cane morto.
Sarmand, fermo al proprio posto, osservava la scena con il distacco di un entomologo. Il principio di incendio fu domato da un squadra di ausiliari richiamati dai sotterranei della Biblioteca Centrale dove prestavano la loro opera di cacciatori di tarme.
All’interno del locale, ausiliari a parte, era rimasto il solo Sarmand, meditabondo.
  - Bene, cerimonia annullata - sospirò il Catafratto. Il pensiero di chi avesse appiccato l’incendio non lo sfiorava neppure. Avvertiva piuttosto un’acuta insoddisfazione per la rapidità con cui gli ausiliari avevano domato il fuoco.
Si decise ad abbandonare l’aula. Il corridoio che conduceva al rettorato era una specie di budello privo di finestre. In origine, le sue dimensioni erano più ampie, ma Sarmand aveva ordinato che fossero ridotte così da indurre angoscia nei visitatori. L’ufficio del Catafratto era, al contrario, molto spazioso. Vi regnava il disordine più assoluto, tanto che lo si sarebbe scambiato per il magazzino di un robivecchi. Refrattario alle sirene del piacere, Sarmand coltivava una sola passione: il Caos. Nessuno più di lui era capace di generare disordine, di inficiare il corretto funzionamento degli apparati amministrativi.
Sarmand aprì la porta con la consueta circospezione, sbirciò all’interno ed ebbe un tuffo al cuore. Sulla poltrona accanto alla finestra sedeva Laetitia, la più bella studentessa dell’accademia. Il Catafratto la convocava spesso nel suo ufficio per ammirarla come si ammira un’opera d’arte. Non si stancava di guardarla, sebbene la cosa fosse per lui estremamente faticosa: a causa di un difetto congenito, Sarmand non riusciva  fissare gli oggetti per più di un minuto, dopo di che la vista gli si appannava. Di qui il suo caratteristico sguardo  incessantemente mobile, l’impossibilità di concentrare l’attenzione su qualsiasi cosa che risiedesse al di fuori della sua mente.
  - Dimmi cosa vuoi che faccia per te - domandò il Catafratto a Laetitia. - Vuoi che dia fuoco all’emeroteca? Lo farò immediatamente. A che servono le emeroteche? Andrebbero distrutte, non fosse altro  per il nome che portano. 
  - Che bel sole c’è fuori.
Sarmand trasalì: la luce feriva i suoi occhi abituati alla penombra delle aule secolari, dei corridoi angusti, dei sottoscala dell’accademia. Luoghi insalubri, ricettacoli di polvere, sporcizia, nidi di ragni e individui affetti da malformazioni non sempre evidenti.
  - C’è troppa luce in questa stanza… dovrei far murare la finestra.
  - Tanto varrebbe seppellirsi vivi. L’accademia somiglia già sin troppo a una tomba.
  - L’accademia è una tomba. Ma tu non puoi capire.
La morte del vicedirettore della facoltà di numerologia, annunciata da giorni, si stava compiendo proprio in quell’istante, nelle catacombe dell’accademia. Per volontà di Sarmand l’anziano erudito, ormai agli stremi, era stato deposto in una delle cripte più tenebrose di tutto l’edificio, un sotterraneo dove persino i pipistrelli esitavano ad avventurarsi. I singhiozzi del povero vecchio, le sue inutili suppliche agli dèi, frammiste a ululati di terrore, risuonarono a lungo nell’oscurità, sino a trasformarsi in flebili lamenti, via via più fiochi. Com’erano lontani i giorni del potere, della gloria accademica! Niente più platee adoranti, ma lugubre silenzio e oscurità fittissima. Il vegliardo sollevò debolmente la mano destra - con cui tante volte aveva pizzicato il sedere alle donne di servizio – quasi  a cercare un appiglio cui aggrapparsi per sfuggire alla salda presa della morte. Ma le sue dita non incontrarono altro che il vuoto, ed emesso un ultimo rantolo, l’uomo spirò.
Nello stesso istante, come se un genio malefico gli avesse sussurrato la notizia in un orecchio, Sarmand sorrise soddisfatto.   
  - C’è un geco sulla parete - disse Laetitia.
  - Ho notato. E’ lì da stamattina.
  - E un altro, proprio qui, sul davanzale.
  - Ce ne sono parecchi, sì.
  - Da dove arrivano?
  - Dall’istituto di zoologia, immagino.
  - E non ti danno fastidio?
  - Perché mai dovrebbero? Sono creature pacifiche e silenziose.
  - Ma la stanza ne è piena.
  - Momentaneamente.
  - Perché, poi se ne vanno?
  - Sì, in genere prima che faccia buio. Ora sarà il caso che tu torni a studiare. Ho impegni urgenti di lavoro.
  - Come vuoi.
La camera da letto di Sarmand era stata ricavata, su suo espresso ordine, all’interno della Biblioteca Centrale, previa rimozione delle raccolte anastatiche della rivista di filologia “Mimesis”, fondata secoli prima dal professor Demophilo Cauto (la cui salma, imbalsamata, ammuffiva nello scantinato della Facoltà di Lettere). Sarmand aveva disposto lo sgombero del locale che ospitava le riviste, il loro trasporto nel locale caldaie e la loro immediata distruzione. Fra il crepitare delle fiamme erano così scomparse per sempre decine di migliaia di pagine fitte di note, indici, apparati bibliografici, frutto della fatica di generazioni di eruditi. Un gesto di cui Sarmand andava fierissimo.
Dunque, la camera da letto affacciava direttamente sulla Biblioteca. Da un oblò ricavato nella porta, il Catafratto poteva spiare il lavoro delle catalogatrici intente a compulsare tomi su tomi per produrre etichette recanti indicazioni vergate secondo le severissime regole del Catalogo Sistematico di Veltronia.
Sarmand, ogni notte, si divertiva a scambiare di posto le etichette applicate sui dorsi dei volumi durante il giorno, vanificando così l’operato delle catalogatrici e rendendo di fatto impossibile il reperimento dei libri da parte del personale addetto al servizio consultazioni e prestiti. Il danno arrecato alla veneranda istituzione in oltre vent’anni di sistematici sabotaggi era gigantesco. Un terzo del patrimonio librario della Biblioteca risultava ormai indisponibile.

Pietro Ferrari, 2010

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lunedì 17 settembre 2018


MAIMO LO SCIMPANZUOMO 

Riporto a pubblica edificazione un brano molto significativo tratto dall'opera di San Pier Damiani (1007 - 1072), che tratta di un argomento della massima importanza: l'esistenza di accoppiamenti fecondi tra esseri umani e scimmie. L'opera omnia di questo interessante autore è consultabile sul Web, basta fare qualche ricerca in Google Books. Questo è il testo originale in latino: 

Sed et illud nunc subsequenter occurrit, quod mihi domnus Alexander papa necdum emenso, ut ita loquar, mense narravit. Ait enim quia nuper comes Gulielmus in Liguriæ partibus habitans marem habebat simiæ, qui vulgo maimo dicitur, cum quo et uxor ejus, ut erat impudica prorsus ac petulans, lascivius jocabatur. Nam et ego duos ejus filios vidi, quos de episcopo quodam plectibilis lupa pepererat; cujus episcopi nos exprimere nomen omittimus, quia notare quemlibet infamia non gaudemus. Cum igitur petulanti feræ mulier sæpe colluderet, ulnis astringeret, amplexibus demulceret, sed et ille nihilominus quædam libidinis signa prætenderet atque ad nudam illius carnem pertingere quibusdam gestibus anhelaret, dixit ei cubicularia sua: Permitte, si placet, quidquid vult agere, ut liquido pateat quid nititur attentare. Quid plura? permisit, et quod turpe dictu est, cum femina fera concubuit; deinde consuetudo tenuit, et commercium inauditi sceleris inolevit. Quadam vero dum se comes uxori conjugali more misceret, maimo protinus, tanquam zelotypo concitatus spiritu, super utrumque prosiliit; virum velut rivalem brachiis et acutis unguibus arpaxavit, mordicus apprehendit et irrecuperabiliter laceravit. Sic itaque comes exstinctus est. Innocens igitur homo dum fidem thalami servat uxori, dum animal suum quotidianis alit impendiis, nil ab utroque suspicatur adversi, nimirum qui clementiam præbebat officii. Sed, ah scelus! et femina turpiter jus conjugalii violat, et bestia in jugulum domini gladium vibrat.
Enimvero nuper allatus est præfato papæ, et simul et nobis grandiusculus quidam puer; et si jam, ut dicitur, vicennalis, tamen prorsus elinguis et maimoni forma consimilis, ita ut eodem vocabulo nincupetur. Unde sinistra posset oriri suspicio, si hujusmodo, non jam dicam ferinus, sed ferale portentum paterna tunc aleretur in domo.

(Petrus Damianus, De bono religiosi status, et variorum animantium tropologia, Caput XXVIII).

Il testo originale riporta a margine dei brevi titoli che sintetizzano la turpe vicenda nel suo progredire:

1) De Maimone ex Alex. II P.P.
2) Gulielmus Comes in Liguria
3) Execrandum mulieris facinus
4) Gulielmi Comitis mors
5) De puero, qui Maimoni similis erat

Questa è la traduzione in italiano:

Ma ciò che il Signor Alessandro, il Papa, mi ha detto appena un mese fa, se così posso dire, è accaduto in seguito.
Egli ha detto che recentemente, il Conte Gulielmus, che abitava in prossimità del mare nelle regioni della Liguria, possedeva una scimmia che la gente chiamava Maimo, con cui sua moglie giocava lascivamente, poiché ella era sfrenatamente impudica e lasciva. Io stesso ho visto due dei suoi figli che quella prostituta ha generato a un certo riprovevole vescovo, il cui nome ci tratteniamo dal menzionare perché non proviamo alcun piacere nell'evidenziare l'infamia di qualcuno.
Siccome la donna di cui sto parlando spesso usava giocare con quella bestia lussuriosa, abbracciandola e accarezzandola, mentre lei stessa mostrava segni di una lussuria non minore, e persino si eccitava per mezzo di certi gesti, concupendo le sue carni nude, il suo cameriere le disse: "Se ti fa piacere, lasciale fare ciò che vuole, così che stai cercando di fare diverrà chiaro". Serve aggiungere altro? La donna lasciò che la bestia trovasse la sua via e, cosa turpe anche solo a dirsi, una volta che la donna ha copulato con la bestia, ha perseverato in quell'abitudine, e si stabilì in un rapporto senza precedenti nella sua malvagità. Infatti, un giorno, essendosi il Conte unito a sua moglie in un rapporto coniugale, la scimmia immediatamente è balzata addosso all'uomo, perché il suo animo era eccitato dalla gelosia, e sopraffatto il marito con le sue braccia e artigli affilati, come se fosse un rivale, impossessandosi di lui con i denti e facendolo a pezzi, al di là di ogni possibilità di recupero.
Così il Conte è morto. Senza dubbio è irreprensibile colui che offre la gentilezza che è suo dovere offrire, finché egli è un uomo fedele al talamo nuziale della moglie, e nutre il suo animale a proprie quotidiane spese, mentre nessun atto ostile è sospettato da entrambe le parti. Ma - oh fatto orrendo! - la moglie viola oscenamente le leggi degli sposi, mentre la bestia brandisce una spada contro la gola del suo padrone.
Di recente, invero, è stato portato al suddetto Papa, e anche a noi, un ragazzo piuttosto grande che, anche se ha ormai venti anni di età, come si dice, è comunque assolutamente senza favella, e di aspetto simile al Maimo, in modo che egli è chiamato con lo stesso nome. Da ciò può sorgere il sospetto che, se egli è davvero di una tale ascendenza, non voglio più dire che una creatura selvaggia, ma piuttosto un mostro mortale, è attualmente nutrito in quella casa da una sinistra mano paterna.

Wikipedia in italiano cita da anni la storia narrata da Pier Damiani alla voce "Scimpanzuomo", ma ancora nel 2013 la sua versione conteneva un errore marchiano, nato evidentemente da una cattiva comprensione del testo in latino oppure da una traduzione dall'inglese all'italiano in cui il termine "ape", tradotto con "scimmia", è stato pensato in automatico come femminile. Ecco quanto scritto su Wikipedia al 14/10/2013:

"Nell'XI secolo, San Pier Damiani raccontò in De bono religiosi status et variorum animantium tropologia di Conte Gulielmus e di sua moglie, che sarebbe stata una scimmia dalle fattezze così umane tanto da essere considerata una donna. La storia tra i due finì tragicamente, infatti la creatura - che Damiani dice chiamarsi "Maimo" - uccise il marito per gelosia, dopo averlo visto a letto con un'altra donna." 

Questa narrazione era contenuta anche in numerosi altri siti, che hanno forse copiato da Wikipedia ma è di certo errata: come si evince dal testo latino, esistevano due diversi Maimo: il primo era una scimmia di sesso maschile che ha copulato con la moglie di Gulielmus, mentre il secondo era il figlio ibrido del primo e della moglie dello stesso Conte. Analizzando questa narrazione, si arriva alla conclusione che il Maimo padre dovesse per necessità essere uno scimpanzé - la scimmia con una maggior compatibilità genetica con l'essere umano, mentre il Maimo figlio era uno scimpanzuomo. 

Nel 2018 Wikipedia in italiano include la versione corretta dell'accaduto: 

"Nel corso della storia non sono mancati avvistamenti e rapporti sugli scimpanzuomini. Nell'XI secolo, San Pier Damiani raccontò in De bono religiosi status et variorum animantium tropologia di Conte Gulielmus e di sua moglie, che, spinta dalla lussuria, avrebbe copulato con un esemplare maschio di scimmia locale, chiamata "maimo", e partorito da esso un figlio ibrido."

Al 18/09/2018 resta la versione errata in una pagina di Stormfront.org e nel seguente sito: 

sabato 15 settembre 2018


AL TEMPO DEGLI ALIENI FALSI E BUGIARDI

Ancora sulla Luce Illusoria  

Il Raelismo fu fondato da Claude Vorilhon, un oscuro giornalista francese. Stando al suo racconto, Vorilhon fu contattato nel 1973 da entità extraterrestri immortali simili per forma ad esseri umani, che gli avrebbero imposto il nome di Rael, ossia Messaggero. Questi esseri, chiamati Elohim, in seguito lo avrebbero portato con sé sul loro pianeta di origine. Non sfugge a chiunque abbia qualche rudimento di lingua ebraica che Elohim è uno dei nomi dati al Dio nella Torah. Siccome è un plurale (la terminazione -īm indica infatti i plurali maschili), molti hanno pensato che questa fosse la prova di un originale politeismo degli Ebrei. In realtà questa forma sembra un semplice plurale maiestatis o un accrescitivo, in quanto vuole sempre il verbo al singolare, a meno che non sia usata per indicare divinità pagane, nel qual caso il verbo è al plurale. Il significato della radice è Dio. Le forme singolari sono El e Eloah, quest'ultima identica all'arabo Allah, che deriva da Al-Ilah, ossia "il Dio". Questo excursus linguistico è in realtà di fondamentale importanza, perché include la prova della non genuinità del movimento.

Gli Elohim avrebbero rivelato a Rael una dottrina materialista, atea e scientista. La si può riassumere in pochi capisaldi. L'universo è infinito e frattale: ciò che sta sopra è come ciò che sta sotto. Il mondo subatomico racchiude soli e pianeti come il nostro, e universi come il nostro costituiscono la base della struttura atomica di universi più grandi. Questa è senza dubbio un'idea molto originale. La vita nasce per panspermia cosmica, ovvero germinando sui pianeti ad opera di aminoacidi portati da comete e meteore. Tuttavia la sua evoluzione non porterebbe a molto senza l'intervento di un disegno intelligente, non ad opera di un qualche dio o altra entità trascendente al cosmo, bensì grazie all'azione di civiltà tecnologiche. Ogni civiltà tecnologica è stata creata in laboratorio da una civiltà tecnologica antecedente, e questa da un'altra, ad infinitum.

Tutto questo, insieme alla concezione ciclica della storia universale è alla base del simbolo dei Raeliani: una stella di David con una svastica all'interno. Siccome la svastica (molto simile a quella nazionalsocialista) poteva creare problemi, è stata in un qualche modo mascherata prolungandone i bracci e fondendola con i lati della stella, o addirittura trasformandola in una struttura simile a quella della galassia. C'è infatti qualcosa che Rael desidera ottenere da Israele, e l'uso di un simile simbolo (che pure in passato era noto ed usato tra gli Ebrei) sarebbe stato certo di impedimento. Il Movimento Raeliano si adopera per ottenere il permesso di costruire su suolo israeliano un'ambasciata per gli Elohim, che a tempo debito dovrebbero ivi mostrarsi all'umanità intera, ponendo fine alle guerre e ai problemi che ci affliggono, concedendo inoltre l'immortalità a coloro che ne sono degni.
Rael avrebbe però anche minacciato Israele, dicendo che nel caso si rifiutasse di ospitare l'ambasciata, il suo popolo sarà nuovamente colpito da genocidio e disperso tra le genti. A parte l'uso della svastica, motivi più seri impediscono il sogno dei Raeliani: la loro credenza che Yahvè sia un essere in carne ed ossa, dotato di corpo fisico, con la necessità di mangiare, di defecare e di emettere sperma, è ritenuta una grave bestemmia, oltre ogni immaginazione.


I princìpi dettati dagli Elohim sono pochi e semplici. Si possono enunciare nei seguenti punti:

1) Materialismo Essendo tutte le forme di vita intelligente del cosmo opera ingegneristica di altre intelligenze più avanzate, Rael afferma che l'essere coincide con il genoma ed è unicamente materiale. Quindi le religioni della terra non sono l'opera di divinità, ma rivelazioni date a uomini meritevoli dagli stessi Elohim per migliorare le condizioni dell'umanità. Tra questi uomini ci furono tra gli altri Akhenaton, Mosè, Elia, Ezechiele, Buddha, Giovanni Battista, Gesù, Maometto e Joseph Smith (mi piacerebbe sapere se vi è incluso anche Mani, ma c'è ragione di dubitarne).

2) Umanismo
I Raeliani reputano la sofferenza un'abominazione, e ritengono necessario rimuoverla dal mondo in ogni sua forma. Hanno per questo sottoscritto una loro versione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.

3) Libertà sessuale  Ritengono altresì che non esista nulla di impuro nel corpo e nella biologia, e che la sessualità vada vissuta in assoluta libertà (impongono però l'uso del condom in ogni rapporto, essendo terrorizzati dall'AIDS). Per favorire il piacere sessuale, è stata elaborata una complessa tecnica chiamata Meditazione Sensuale. Nei libri di Rael esistono molti riferimenti alle erotiche notti degli Eletti, che avrebbero a disposizione per i loro giochetti anche cloni plasmati secondo i loro desideri e disponibili per qualsiasi acrobazia. C'è da rimanere perplessi di fronte alle immagini grottesche evocate da queste descrizioni. Vi immaginate Madre Teresa che tiene negli armadi uomini di riserva? Non si capisce inoltre cosa potrebbe impedire a un eletto di plasmarsi giocattoli adatti a realizzare fantasie di natura pedofila.

4) Geniocrazia
Quando Rael fondò il MADECH (una sorta di comitato di accoglienza per gli Elohim), vide subito che non riusciva a venire a capo di nulla. In seguito, come narra in un suo libro, gli fu rivelato che ciò accadeva a causa della democrazia su cui si fondava l'organizzazione. La sostituì immediatamente con un nuovo principio, chiamato per l'appunto geniocrazia, secondo cui il diritto di voto è da attribuirsi unicamente a coloro che superano un certo quoziente di intelligenza.

5) Eugenetica È un punto particolarmente controverso. I Raeliani sostengono a spada tratta ogni forma di manipolazione e di ingegneria genetica, tra cui la clonazione riproduttiva e la sintesi di OGM. A detta loro la clonazione è la sorgente dell'immortalità, e sarebbe stata usata dagli stessi Elohim per vincere la morte. Nel 2002 si diffuse e fece scalpore in tutto il mondo la notizia della clonazione di una bambina, chiamata Eve, ad opera di una società legata al movimento, la Clonaid. Nessuno riuscì mai a verificare le sequenze genetiche della piccola per dimostrare la sua origine abiogenetica.
Gli OGM, in una simile semplicistica visione delle cose, sarebbero addirittura la panacea per risolvere i problemi della fame nel mondo. È negata alla radice qualsiasi possibilità di effetti collaterali come l'insorgere di allergie e di malattie prioniche.

Singolare è l'escatologia raeliana, le cui conseguenze sono almeno in parte implicite in ciò che è stato esposto. Non esistendo alcuna immortalità che non sia conseguita manipolando il genoma, dopo la morte di ogni persona sarebbero direttamente gli Elohim ad occuparsi della sua ultima dimora. Il dogma afferma che i meritevoli saranno ricreati e destinati a un giardino di delizie in compagnia degli Eletti e di innumerevoli inservienti sessuali, mentre i malvagi saranno ricreati su un infernale pianeta vulcanico e sulfureo, un po' come il Mustafar della Vendetta dei Sith. La stragrande maggioranza degli esseri umani invece, essendo composta da mediocri, non sarà ricreata e sprofonderà nel Nulla.

Tra le dottrine più stravaganti vi è quella della piastra craniale: tutto l'essere con i suoi ricordi, le sue emozioni e le sue doti di intelletto, sarebbe racchiuso in una sola cellula che avrebbe sede in un particolare punto dell'osso frontale. Così è ordinato a tutti i membri del movimento di farsi segare una porzione dell'osso frontale prima di essere sepolti o cremati, e di dare disposizioni perché questi macabri cimeli vengano raccolti in una sede di Rael, in attesa di essere inviati agli Elohim. Un'azienda di pompe funebri del Quebec, dove i Raeliani sono particolarmente diffusi, incorpora alle esequie l'asportazione della piastra, offrendo prezzi di favore.

La gestione economica ricorda quella della Chiesa di Roma nel medioevo: si basa sulle decime. Ogni membro accettato del Movimento Raeliano è tenuto a cedere almeno il 10% dei suoi introiti. I Raeliani cercano in tutti i modi di far destinare alla loro organizzazione le eredità degli adepti. Forse per questo motivo tendono a sfavorire le unioni legalmente riconosciute, e di certo hanno dichiarato la loro dottrina "religione" allo scopo di ottenere agevolazioni ed esenzioni fiscali.

Riporto un brano che avevo aggiunto alla voce "Movimento Raeliano" sulla Wikipedia, sperando invano che venisse conservato a lungo. Credo che sia di cruciale importanza farne conoscere il contenuto.

Rael ha fin dal principio affermato che gli Elohim (singolare Eloah) usano per comunicare tra di loro una lingua affine all'ebraico biblico, dunque appartenente al ceppo cananeo delle lingue semitiche. Ora, il vocalismo delle lingue di questo tipo ha subito a partire dall'epoca dell'Esodo un processo di trasformazione delle vocali chiamato rotazione vocalica cananea, che ha trasformato ad esempio la /ā/ lunga in /ō/. Così, ad esempio, all'arabo salām 'pace', corrisponde l'ebraico shālōm. Possibile che questo sia avvenuto indipendentemente sulla Terra e sul pianeta di origine degli Elohim? Si può inoltre scommettere che l'idioma extraterrestre abbonda di parole come shīr 'canto', che sono prestiti dal sumerico.
Le lingue semitiche non sono giunte da un mondo inconoscibile, ma sono derivate da un antenato comune che era diverso dagli esiti storici dei singoli idiomi. Per essere credibili, questi extraterrestri dovrebbero chiamarsi qualcosa come Ilahani, e la loro lingua dovrebbe essere affine al proto-semitico o all'afro-asiatico (visto che in una società ipertecnologica di immortali non ci si aspetta una grande evoluzione linguistica). Evidentemente il movimento non ha attratto molti archeolinguisti.

Opinione personale:

Inutile dire che il Raelismo è agli antipodi della mia concezione dualista anticosmica. Quello che evoca è il sopravvento dell'inferno materiale. Ho dimostrato con argomenti linguistici la falsità dell'esperienza di Rael, ma se il suo verbo fosse vero, riterrei privilegiati i mediocri destinati al Nulla.

Dedico questo post alla mia amica Daniela B., che in preda alla dismorfofobia non riusciva nemmeno a guardarsi allo specchio. L'ultima volta che la vidi si disse attratta dalla dottrina raeliana. Da allora non ebbi più sue notizie, come se d'un tratto fosse sparita per sempre dal consorzio umano.

mercoledì 12 settembre 2018


RAMTHA L'ILLUMINATO

Falsa Luce che inganna i viandanti 

Una sedicente medium americana nota come J.Z. Knight, il cui vero nome è Judith Darlene Hampton, sostiene di aver contattato un'entità di nome Ramtha servendosi delle tecniche di channeling. Questo Ramtha sarebbe un guerriero di Lemuria, che più di 35.000 anni orsono condusse una guerra contro gli Atlantidei. Secondo questa narrazione, Ramtha avrebbe guidato un imponente esercito di oltre due milioni di guerrieri reclutati in tutti i continenti, e sarebbe giunto a conquistare i due terzi delle terre emerse del globo. Nel periodo in cui visse come uomo, la Terra avrebbe attraversato un periodo di gravi catastrofi geologiche. Knight dice che Ramtha fu tradito e quasi ucciso, e che passò quindi sette anni in un luogo isolato, osservando la natura e sviluppando doti paranormali. Divenne chiaroveggente e in grado di muoversi fuori dal corpo. Avrebbe quindi raggiunto il suo esercito in India e dopo aver insegnato ai suoi uomini una nuova filosofia, sarebbe asceso in cielo.

Secondo un canovaccio ormai sperimentato a fondo, Ramtha avrebbe portato la sua conoscenza agli umani delle varie epoche fondando le civiltà che si sono succedute sulla Terra, a partire dagli Antichi Egizi. Tutto ciò che è ritenuto positivo nella storia, viene attribuito all'influenza di Ramtha, dagli insegnamenti di Socrate al genio di Leonardo da Vinci, dall'Induismo all'arte di Michelangelo.

Dalla rivelazione che Knight avrebbe avuto è stata fondata a Yelm nel 1987 la Ramtha's School of Enlightenment (Scuola di Illuminazione di Ramtha, RSE). La dottrina trasmessa da questa entità incorporea è di tipo panteista. Non riconosce una netta separazione tra spirito e materia, definendo la materia come la parte più densa di un universo che per sua natura è in ogni caso spirituale. In questo si oppone in modo radicale allo Gnosticismo. Il punto centrale dell'insegnamento di Ramtha è la cosiddetta Internalizzazione della Divinità, ossia l'idea di Dio come vivente in ogni individuo. Ogni essere umano sarebbe così Dio, e dovrebbe soltanto rendersi conto di ciò per accedere a un'esistenza superiore. È ancora la dottrina del Libero Spirito che riemerge prepotentemente in questo periodo storico di eclissi del Dualismo. Essendo impossibile comprendere e metabolizzare il Male da simili presupposti, questo sarebbe riconducibile a uno stato di semplice ignoranza. Per vincere il Male, quindi, sarebbe sufficiente sviluppare la propria consapevolezza interiore e riconoscendo la propria natura più profonda si influenzerebbe in modo positivo il destino. Un tocco di ottimismo psichedelico si rivelata spesso vincente.

Questi sono i princìpi fondamentali della filosofia di Ramtha:

1) L'affermazione "Tu sei Dio";
2) l'orientamento che permette di rendere noto l'ignoto;
3) il concetto che la consapevolezza e l'energia creano la natura della realtà;
4) la sfida a conquistare se stessi.


In teoria Ramtha dovrebbe comunicare usando la lingua di Lemuria, o almeno trasmettere a Knight la conoscenza di alcune parole significative di quel suo passato. Invece si esprime in un inglese corretto, il cui unico tocco esotico sarebbe un lieve accento indostano. Altra cosa che colpisce è la sua incapacità di comprendere alcune parole, come per esempio "carota". Davvero strano per un benefattore dell'umanità che dovrebbe conoscere ogni parola di ogni lingua terrestre, avendo egli vagato per la Terra ed essendo stato l'ispiratore dei più elevati intelletti umani. In netto contrasto con queste difficoltà linguistiche, Ramtha sarebbe ben informato su dettagli di politica mondiale. Anche solo da questi indizi si può comprendere che questo channelling non è genuino, ma le descrizioni della fauna e della flora di Lemuria sono ancora più assurde: quel continente scomparso sarebbe stato popolato esclusivamente da umani e - letteralmente - da lemuri, ossia da proscimmie.  

Ci sono state numerose controversie. Ritengo notevole il caso di un uomo sieropositivo che evitò di curarsi nell'assurda convinzione di poter essere risanato dalla sua fede in Ramtha, e quando si accorse di essere in fin di vita denunciò J.Z. Knight. Il colmo del paradosso è che quest'uomo si chiamava realmente Knight (il caso fu detto "Knight vs. Knight").

Grottesca e degna di irrisione è invece la regolare apposizione di copyright allo spirito guida decisa dalla medium per prevenire la proliferazione di veggenti plagiarie. Forse alcuni ufologi riterranno inquietante sapere che J.Z. Knight è nata proprio a Roswell, New Mexico.  

Etimologia di Ramtha

Cosa davvero singolare e sorprendente, il nome Ramtha si trova tal quale nella lingua degli Etruschi. In numerosissime iscrizioni è documentato il nome proprio di persona Ramtha, con le varianti arcaiche Ramatha e Ramutha. C'è però un piccolo particolare: l'antroponimo etrusco è femminile, mentre il lemuriano della Knight è di sesso maschile. Secondo la medium, nell'antica lingua di Lemuria la parola Ram significava "Dio", così Ramtha deve essere un suo derivato e significare qualcosa come "Divino". A dire il vero Ram "Dio" è la sola glossa fornita. Impossibile non pensare a Rama (Ram), divinità maggiore dell'Induismo! L'antroponimo etrusco è di incerto significato, ma somiglia alla parola hittita per indicare la luna, arma-, a parer mio di origine sconosciuta e non indoeuropea: potrebbe trattarsi proprio di un antico nome della luna, prima che il sinonimo tiv lo sostituisse. Non è improbabile che la Knight abbia tratto ispirazione proprio dalla lettura di alcune iscrizioni etrusche, magari traslitterate in un libro divulgativo, interpretando il nome servendosi del teonimo indiano Rama. Un'altra possibilità è che sia rimasta colpita dal nome della città giordana di Ar Ramtha (varianti Al-Ramtha, Ramtha, Ramoth, Romtha, Ermeith), dotandolo di una falsa etimologia. Date queste premesse, sembra inutile tirare in causa la glossolalia, anche se anni fa sono entrato in un sito di adepti della setta di Ramtha e mi sono imbattuto in alcune frasi in una lingua sconosciuta. Resta da capire se valga la pena approfondire oltre l'argomento.

domenica 9 settembre 2018


IL MANOSCRITTO VOYNICH:
UN LIBRO CHE SEMBRA DI UN ALTRO UNIVERSO

Uno dei testi più enigmatici dell'intera storia dell'umanità, se non il più misterioso in assoluto, è senza dubbio il Manoscritto Voynich. Il libro consta di 102 fogli, corrispondenti a 204 pagine, e deve il suo nome all'antiquario di origine polacca Wilfrid M. Voynich, che lo acquistò nel 1912. Comprende numerose illustrazioni e testi scritti in una lingua impenetrabile. Per impenetrabile si intende che nessuno studioso di lingue antiche e di crittografia è mai riuscito a leggere con sicurezza un solo carattere e a fornire una traduzione credibile anche di una sola parola. Si pensa che la data di stesura del manoscritto sia compresa tra il 1450 e il 1520. Nessuno ha la benché minima informazione sull'autore, sulla scrittura e sulla lingua, al punto che se anche si arrivasse un giorno a stabilire che il volume è piovuto sulla terra da un universo parallelo, non ci sarebbe nulla da eccepire. Un numero impressionante di decifratori di codici ha impiegato le proprie migliori energie nell'analisi del testo senza arrivare a nulla. Tra questi se ne annoverano anche alcuni di fama mondiale, che lavorarono per l'America e per l'Inghilterra nel corso della II Guerra Mondiale. Tutti questi fallimenti hanno avuto un duplice effetto: da una parte hanno reso mondiale la fama del manoscritto, dall'altra hanno insinuato l'idea di una complessa frode. 

Le sezioni in cui si divide il tomo criptico sono quattro, e può essere di qualche utilità descriverle per sommi capi.

La Sezione I, conosciuta come Sezione Botanica, comprende 66 fogli e riporta ben 113 disegni di piante completamente sconosciute alla Scienza (soltanto in un caso si nota una vaga somiglianza con il girasole).

La Sezione II, conosciuta come Seziona Astronomica o Astrologica, comprende solo 7 fogli e riporta 25 diagrammi di simboli astrali. Alcuni segni zodiacali sono chiaramente identificabili, altre immagini restano enigmatiche. Non si capisce di cosa possa trattare il testo.

La Sezione III, conosciuta come Sezione Biologica, comprende 12 fogli ed è piena zeppa di immagini di donne nude. Queste femmine, spesso incinte, sono immerse in parte in vasche simili a uteri tra di loro comunicanti e piene di un liquido scuro. Per questo motivo è stata applicata a questa parte la sua denominazione corrente; intuire il contenuto delle descrizioni è più difficile che non negli altri casi. Include anche un foglio aggiuntivo ripiegato in sei, che illustra nove medaglioni pieni di immagini di stelle e di oggetti enigmatici non facilmente interpretabili (c'è chi ha voluto vedervi delle cellule).

La Sezione IV, conosciuta come Sezione Farmacologica, comprende 16 fogli e contiene disegni di ampolle e di altri recipienti a forma di fiala simili a quelli utilizzati dagli antichi speziali. Oltre a questi strani alambicchi, compaiono anche disegni di radici e piante, verosimilmente intese come medicinali.

Seguono alcuni fogli che si pensa costituiscano un indice, in quanto contiene soltanto frasi con stelline poste a sinistra delle linee scritte.


Da un'analisi del testo, risulta che i caratteri che compongono il testo sono circa 250.000, mentre le parole distinguibili sono 4182. Di queste, soltanto 1284 ricorrono più di una volta. 308 sono abbastanza comuni, comparendo più di otto volte. 184 sono comuni, e si trovano più di quindici volte. 23 sono molto comuni, essendo scritte più di cento volte. Alcune di queste parole compaiono soltanto in specifiche sezioni, altre sono invece usate nell'intero volume. Qualcuno ha notato che la prima parola in ogni pagina della Sezione Botanica è unica, e che potrebbe trattarsi proprio del nome della pianta disegnata.

L'analisi statistica mostra la ricorrenza di schemi simili a quelli delle lingue naturali: non sembra che il manoscritto sia stato composto a caso. Non va però nascosto che la lingua è molto diversa da qualsiasi lingua europea. Non ci sono parole che comprendono più di dieci segni, e al contempo sono pochissime le parole composte solo da uno o due segni. La distribuzione delle lettere all'interno di ogni parola segue regole severe: alcuni caratteri ricorrono solo all'inizio, altri solo alla fine, altri ancora solo in posizione mediana. Una situazione che ricorda quella di scritture semitiche come quella ebraica e quella araba, che hanno segni consonantici diversi a seconda che siano iniziali, finali o mediani. Si potrebbe pensare a una delle lingue artificiali create nel XVII secolo, dotate di una struttura regolare e profondamente logica.

Ci sono anche alcune parole e frasi scritte in caratteri latini, distorti ma riconoscibili. Tuttavia si tratta di parole che non corrispondono a nessuna lingua nota del globo terracqueo. Qualcuno ipotizza che siano comunque state aggiunte in un secondo momento. Stranamente, non si riesce a trovare in rete alcuna trascrizione di questi passi.


Le prime documentazioni dell'esistenza del Manoscritto Voynich risalgono all'inizio del XVII secolo. Un certo Baresch, il primo proprietario documentato, chiese aiuto al gesuita Athanasius Kircher perché traducesse quell'ostica lingua e gli rivelasse i segreti di quei disegni. Personalità eclettica, il gesuita tedesco fu il primo europeo a reintrodurre lo studio della lingua copta in Occidente dopo secoli di oblio. Le sue decifrazioni dei geroglifici egizi sono prive di valore, ma vide giusto nell'identificare la lingua copta come l'ultimo erede dell'idioma dei Faraoni. Si ignora se il Kircher abbia risposto alla richiesta di Baresch. Sappiamo soltanto che quando quest'ultimo morì, il libro fu ereditato dal suo amico Jan Marek Marci, rettore di un'università di Praga. A sua volta questi inviò il libro a Kircher. La lettera di Marci è ora inclusa nel bizzarro volume.

Nei successivi duecento anni le tracce del manoscritto si perdono, ma è molto probabile che sia stato incorporato nella biblioteca del Collegio Romano in seguito alla morte di Kircher. Il Collegio Romano ora è noto come Università Pontificia Gregoriana. Quando Vittorio Emanuele II di Savoia liquidò lo Stato della Chiesa, confiscò anche la biblioteca del Collegio. Nel 1870 il libro sarebbe di certo saltato fuori di nuovo, ma poco prima della confisca, venne trasferito assieme all'intera corrispondenza del Kircher nella biblioteca privata del gesuita Beckx a Villa Mondragone. Verso il 1912, il Collegio si trovò in difficoltà finanziarie e decise di vendere alcuni dei suoi libri, e proprio allora entrò in scena Wilfrid Woynich.

Da quanto si deduce dai carteggi di Kircher, sembra che ci fu un tentativo di vendere il libro all'Imperatore Rodolfo II di Boemia (1552–1612) per la somma allora astronomica di seicento ducati. Rodolfo era convinto che l'autore del manoscritto fosse l'ingegnoso frate francescano Ruggero Bacone (1214–1294). Anche se Voynich fece di tutto per diffondere l'idea di una paternità baconiana, gli studiosi specializzati nel lavoro di quell'uomo di scienza escludono la cosa nel modo più reciso. Altro nome eccellente che è stato fatto è quello di John Dee (1527-1608), noto per i suoi studi sull'occultismo e sulla filosofia ermetica.


Le teorie atte a spiegare il manoscritto sono stravaganti e numerose, al punto che porterebbe via troppo spazio elencarle tutte. Il filologo William Newbold arrivò alla conclusione che la lingua voynichiana fosse latino camuffato, e interpretò delle sequenze arrivando alla sensazionale scoperta che già in epoca medievale erano state formulate teorie di astrofisica e biologia molecolare. In preda a un forte esaurimento si accorse alla fine di essersi spinto al punto di tradurre persino delle crepe dovute all'età della carta. Il dilettante John Stojko invece pensava che il voynichiano non fosse altro che ucraino senza vocali, e propose traduzioni singolari del tipo "il Vuoto è ciò per cui combatte l'Occhio del Piccolo Dio". Mi soffermerò un po' di più sulla teoria formulata nel 1987 dal fisico russo Leo Levitov, in quanto era sua convinzione che il manoscritto fosse un testo iniziatico dei Catari. Per prima cosa credette di aver identificato la lingua definendola un codice segreto formato da un miscuglio di lingue dell'Europa centrale, tra le quali l'antico alto tedesco. Quindi ritenne che l'enigmatica Sezione Biologica fosse un manuale per l'Endura, che a parer suo consisteva nel sezionare in modo rituale le vene degli adepti. Ancor più farneticante la sua attribuzione ai Catari dei simboli della Sezione Astrologica - da lui creduti tipici del culto di Iside. Le piante chimeriche non avrebbero dovuto essere intese come specie realmente esistenti, ma come simboli arcani, geroglifici della Fede. Levitov raccolse tutte queste nozioni in un compendio delirante a cui diede il titolo Solution of the Voynich Manuscript: A liturgical Manual for the Endura Rite of the Cathari Heresy, the Cult of Isis. Tutto questo castello di fantasie può essere smontato molto facilmente. L'Endura nella sua forma più diffusa comportava il digiuno fino alla morte, e solo in pochi casi la morte veniva facilitata con qualche sistema come l'incisione di una vena, l'ingestione di vetro tritato, il soffocamento. Non era tuttavia richiesta alcuna particolare istruzione a questo scopo, anche considerato che i Buoni Uomini erano spesso medici. La raffigurazione di donne incinte per ovvie ragioni è assolutamente estranea al Catarismo ed è impossibile che fosse associata a qualcosa di sacro e di simbolico: il feto era considerato diabolico. I Catari non veneravano Iside e neppure altre divinità pagane.

Segnalo alla fine una corrispondenza tra le lettere del Manoscritto Voynich e l'alfabeto latino ideata per giochi di ruolo ambientati nell'universo di Lovecraft. La si può trovare nel sito afternight.com, che riporta numerosi alfabeti antichi e moderni. Che sia la cosa più sensata proposta finora?

giovedì 6 settembre 2018


FURTI DI GENITALI IN AFRICA
E MALLEUS MALEFICARUM

Una coincidenza? 

Accade che in diversi paesi dell'Africa, numerosi stregoni sono accusati di nascondere magicamente il fallo degli uomini sui quali hanno lanciato i loro incantesimi. A volte le loro operazioni magiche sono più benigne, se così si può dire, in quanto si limitano a produrre una diminuzione delle dimensioni dei genitali. Un caso occorso in Congo ha destato scalpore, in quanto gli stregoni hanno addirittura condizionato la restituzione degli organi sessuali rubati a un pagamento in denaro. Ma anni fa simili eventi hanno avuto esito drammatico: interi paesi devastati da ondate di terrore, uomini urlanti che sotto shock imploravano il ritorno dei loro attributi, supposti stregoni linciati e fatti a pezzi dalla folla inferocita.

Per molti queste sono amenità e argomenti da salotto, a tal punto è giunta la tirannia della fatuità imperante: una notizia da quel nido di dolore atroce che è l'Africa raggiunge le genti mondane ipnotizzate dalla televisione solo quando contiene qualcosa di grottesco. La reazione più frequente da parte della maggior parte dei lettori è liquidare questi furti del pene come il frutto di un'atavica superstizione africana. Mi permetto di avanzare dubbi a questo proposito e di sostenere l'origine recente della psicosi, nonché la sua connessione con l'imponente processo di cristianizzazione che ha quasi sommerso gli originari culti animistici e feticisti. Si può infatti notare una stranissima e sorprendente somiglianza con quanto scritto nel Malleus Maleficarum. Questo testo, definito tra i più terribili mai scritti nella storia nota dell'umanità, è opera dei frati domenicani e inquisitori Jacob Sprenger e Heinrich Institor Kramer. Fu redatto nel 1484 e ha conosciuto una grandissima fortuna (ben 34 edizioni). Servì all'Inquisizione come guida nella famigerata Caccia alle Streghe, che portò sul rogo innumerevoli innocenti, in gran parte donne. Quanto accade ai nostri giorni in Congo è proprio quanto accadeva nei secoli XV, XVI e XVII in Europa, dall'Italia alla Scozia, dalla Spagna alla Germania. Sarà una coincidenza? Ritorno del rimosso? Un archetipo universale legato al culto della fertilità e al terrore per l'incertezza del futuro della specie umana? Oppure bisogna credere, come fanno certi esoteristi, che tutte le culture umane siano soltanto un labirinto di confuse analogie dove tutto è l'equivalente di tutto il resto? Francamente, credo che le coincidenze non esistano e che si debba ricercare una spiegazione di questi fatti così anomali. Affinché chiunque possa giudicare, riporto alcuni brani molto interessanti.

PARTE I, DOMANDA IX. 

Se le Streghe possono operare qualche illusione di pretidigitazione in modo tale che l'organo sessuale maschile appaia essere del tutto rimosso e separato dal corpo. 

Qui si dichiara la verità sulle operazioni diaboliche che riguardano l'organo sessuale maschile. E per rendere comprensibili i fatti su questo argomento, ci si chiede se le streghe possano con l'aiuto dei demoni rimuovere realmente e di fatto il membro virile, oppure se esse fanno ciò soltanto in apparenza per mezzo di qualche incantesimo o illusione. E che esse possano davvero fare ciò lo si deduce a fortiori; poiché i demoni possono fare cose più grandi di questa, come ucciderle o traportarle da luogo a luogo - come mostrato sopra nei casi di Giobbe e di Tobia - quindi esse possono anche rimuovere davvero e di fatto i membri virili degli uomini.
Ancora una volta, un argomento è preso dalla narrazione della visitazione degli Angeli cattivi, nei Salmi:
Dio punisce per mezzo degli Angeli cattivi, siccome Egli spesso punì il Popolo di Israele con svariate malattie, davvero e di fatto fece visita ai loro corpi. Perciò il membro virile è ugualmente soggetto a tali visitazioni.
Si può dire che ciò è fatto con il permesso Divino. E in quel caso, è già stato detto che Dio permette un maggior potere della stregoneria sulle funzioni genitali, considerando la prima corruzione del peccato che venne a noi dall'atto della procreazione, così Egli permette anche maggiori poteri sugli organi genitali maschili, e persino la sua rimozione.
E, ancora, fu una cosa più grande trasformare la moglie di Lot in un pilastro di sale che non la rimozione dell'organo maschile; e (Genesi XIX) fu una vera ed effettiva, non apparente, metamorfosi (poiché è detto che il pilastro può ancora essere visto), e ciò fu fatto da un Angelo cattivo; proprio come gli Angeli cattivi colpirono gli uomini di Sodoma con la cecità, cosicché essi non furono capaci di trovare la porta delle loro case. E così fu per le altre punizioni degli uomini di Gomorra.
La narrazione, invero, afferma che la moglie di Lot era essa stessa contaminata da quel vizio, e perciò fu punita.
E ancora, chi può creare una forma naturale può anche rimuoverla. Ma i demoni hanno creato molte forme naturali, come è chiaro considerando i maghi del Faraone, che con l'aiuto dei demoni plasmarono rane e serpenti. Anche Sant'Agostino, nel Libro LXXXIII, dice che quelle cose che sono evidentemente fatte per mezzo dei poteri inferiori dell'aria non possono essere considerate mere illusioni; ma che persino gli uomini sono capaci, tramite qualche esperta incisione, di rimuovere l'organo maschile; quindi i demoni possono fare in modo invisibile ciò che gli altri fanno in modo visibile.
Al contrario, Sant'Agostino (de Ciuitate Dei, XVIII) dice: Non si deve credere che, tramite l'arte o il potere dei demoni, il corpo dell'uomo possa essere trasformato in apparenza di bestia; quindi è allo stesso modo impossibile che venga rimosso ciò che è essenziale alla verità del corpo umano. Egli dice anche (de Trinitate, III): Non si deve pensare che questa sostanza di materia visibile sia soggetta al volere degli angeli caduti, in quanto è soggetta soltanto a Dio.

RISPOSTA.  Non c'è dubbio che certe streghe possano fare cose portentose agli organi sessuali maschili, in quanto ciò è in accordo con ciò che è stato visto e utito da molti, e con la descrizione generale di ciò che è conosciuto a proposito quel membro attraverso i sensi della vista e del tatto. E a proposito di come questa cosa sia possibile, occorre dire che può essere fatta in due modi, in entrambi i casi realmente e di fatto, come è stato detto nei primi argomenti, o per mezzo di qualche manipolazione o di qualche incantesimo. Ma quando ciò è compiuto dalle streghe, si tratta sempre di incantesimo; sebbene non sia affatto un'illusione nell'opinione di chi ne soffre. Secondo la sua immaginazione, egli può credere realmente e di fatto che qualcosa non sia presente, dal momento che con nessuno dei suoi sensi esteriori, come la vista e il tatto, egli è in grado di percepire che è presente. Da questo si può dire che c'è una vera astrazione del membro virile nell'immaginazione, anche se non di fatto; e molte cose devono essere notate su come ciò accade. E per prima cosa sui due metodi attraverso cui può essere fatto. Non fa meraviglia che il diavolo possa ingannare i sensi esteriori degli umani, dal momento che, come si è detto sopra, egli può illudere i sensi interni, portando all'effettiva percezione idee che sono immagazzinate nell'immaginazione. Inoltre, egli inganna gli uomini nelle loro funzioni naturali, causando loro l'invisibilità di ciò che che è visibile, e l'intangibilità di ciò che è tangibile, e l'inudibilità di ciò che è udibile, e la stessa cosa con gli altri sensi. Ma simili cose non sono realmente vere, dato che sono causate tramite un qualche difetto introdotto nei sensi, come gli occhi o le orecchie, o il tatto, e a ragione di questo difetto il giudizio dell'uomo è ingannato.
E noi possiamo illustrare ciò servendoci di certi fenomeni naturali. Dal momento che il vino dolce sembra amaro alla lingua del febbricitante, il suo gusto è ingannato non da un fatto reale, ma dalla sua malattia.
Allo stesso modo anche nel caso che stiamo considerando, l'inganno non è dovuto a un fatto reale, dal momento che il membro virile è realmente al suo posto; ma è un'illusione dei sensi a riguardo di esso.
Ancora, come è stato detto a proposito dei poteri procreativi, il diavolo può ostacolare quell'atto imponendo qualche altro corpo dello stesso colore e della stessa apparenza, in modo tale che qualche corpo liscio del color della carne si interponga tra la vista e il tatto, e tra il vero corpo del sofferente, cosicché gli sembri che egli non possa vedere e sentire altro che un corpo liscio con la superficie non interrotta dall'organo genitale. Vedi i detti di San Tommaso (2 dist. 8. artic. 5) a proposito di incantesimi e illusioni, e anche nel secondo del secondo, 91, e nelle sue domande a proposito del Peccato: dove egli frequentemente cita quanto scritto da Sant'Agostino nel Libro LXXXIII: Questo male del diavolo striscia attraverso tutti gli approcci sensuali; egli si dà alle figure, egli si adatta ai colori, egli attende nei suoni, egli occhieggia negli odori, egli infonde se stesso nei sapori.
Inoltre, si deve considerare che una simile illusione della vista e del tatta può essere causata non solo dall'interposizione di qualche corpo liscio privo di membro, ma anche evocando la fantasia o l'immaginazione di certe forme e idee latenti nella mente, in modo tale che una cosa è immaginata come percepita allora per la prima volta.
Perché, come è stato mostrato nella precedente domanda, i demoni possono attraverso il potere loro proprio cambiare i corpi localmente; e così come la disposizione o l'umore possono essere influenzati in questo modo, così pure possono esserlo le funzioni naturali. Io parlo di cose che appaiono naturali all'immaginazione o ai sensi. Poiché Aristotele nel de Somno et Uigila dice, assegnando la causa delle apparizioni e dei sogni, che quando un animale dorme molto sangue scorre nella sua coscienza interiore, e da lì vengono le idee o le impressioni derivate da reali esperienze precedenti immagazzinate nella mente.
E' già stato definito come in questo modo certe apparenze veicolano le impressioni di nuove esperienze.
E siccome questo può accadere in modo naturale, molto di più può fare il diavolo per chiamare all'imaginazione l'apparenza di un corpo liscio sprovvisto di membro virile, in modo tale che i sensi lo credano una cosa reale.
In secondo luogo, si nota come altri metodi sono più facili da capirsi e da spiegarsi. Poiché, secondo Sant'Isidoro (Etym. VIII, 9), un incantesimo non è altro che una certa delusione dei sensi, e specialmente degli occhi. E per questa ragione è anche chiamato prestigio, da prestringo, dal momento che la vista degli occhi è così incatenata che le cose sembrano essere altro da ciò che sono. E Alessandro di Hales
, Parte 2, dice che un prestigio, compreso in modo corretto, è un'illusione del diavolo, che non è causata da nessun cambiamento nella materia, ma esiste solo nella mente di colui che è deluso, sia ai suoi sensi interni che alla sua percezione esteriore. Quindi, in altre parole, possiamo dire persino dell'arte prestidigitatoria, che può essere effettuata in tre modi. Per quanto riguarda il primo, esso può essere fatto senza i demoni, dal momento che è fatto artificialmente dall'agilità degli uomini che mostrano cose e le nascondono, come nel caso dei trucchi degli illusionisti e dei ventriloqui. Il secondo metodo è anche compiuto senza l'aiuto dei demoni; perché quando gli uomini possono usare alcune virtù naturali in corpi naturali o minerali, operano in modo tale da impartire a tali oggetti qualche altro aspetto, diverso dalla sua vera apparenza. Infatti, secondo San Tommaso (I, 114, 4), e anche molti altri, gli uomini, tramite il fumo di certe erbe aromatiche, possono far apparire delle verghe come serpenti. Il terzo metodo di delusione è effettuato con l'aiuto dei demoni, il permesso di Dio essendo garantito. Perché è chiaro che i demoni hanno, per loro natura, alcuni poteri su certe sostanza terrestri, che essi esercitano su di esse, quando Dio lo permette, in modo tale che le cose appaiano diverse da ciò che sono.
E a proposito di questo terzo metodo, si deve notare che il diavolo ha cinque modi in cui può deludere chiunque in modo tale che egli pensi che una cosa sia altro da ciò che è.
Il primo è tramite trucchi artificiali, come è stato detto; perché quello che gli uomini possono fare servendosi dell'arte, i demoni possono farlo anche meglio.
Il secondo è tramite un metodo naturale, per mezzo dell'applicazione, come è stato detto, e dell'interposizione di qualche sostanza in grado di nascondere il vero corpo, o di confondere la fantasia umana.
Il terzo modo è quando in un dato corpo egli si presenta come qualcosa che non è; come testimonia la storia nella quale San Gregorio dice che nel suo Primo Dialogo di una Suora, che mangiava una lattuga, che, tuttavia, come il diavolo ha poi confessato, non era una lattuga, ma il diavolo stesso in forma di lattuga, o celato nella medesima lattuga. O come quando apparve a Sant'Antonio in una pagliuzza d'oro che egli aveva trovato nel deserto. O come quando egli tocca un uomo reale, e lo fa apparire come una bestia bruta, come sarà spiegato in breve.
Il quarto medodo è quando egli confonde gli organi della vista, cosicché una cosa chiara sembri sfocata, o al contrario, oppure quando una donna vecchia appare come una giovane fanciulla.
Perché anche dopo aver spento la luce, appare diversa da ciò che era prima. Il suo quinto metodo è attraverso l'opera sul potere dell'immaginazione, e, attraverso un disturbo degli umori, effettuando una trasmutazione delle forme percepite dai sensi, come è stato trattato prima, in modo tale che i sensi le percepiscano allora come se fossero immagini fresche e nuove. E di conseguenza, tramite gli ultimi tre di questi metodi, e pesino tramite il secondo, il diavolo può gettare un incantesimo sui sensi degli umani.
Non sussiste quindi alcuna difficoltà nel suo occultamento del membro virile per mezzo di qualche prestigio o incantesimo. E una prova manifesta o un esempio di ciò, la quale è stata rivelata a noi nella nostra capacità di Inquisitori, sarà esposta nel seguito, dove si racconta più diffusamente di questi e di altri argomenti, nella Seconda Parte di questo Trattato.

Come una Stregoneria può essere distinta da un difetto naturale. Segue una domanda incidentale, con certe altre difficoltà. Il membro virile di Pietro è stato rimosso, ed egli non sa se ciò sia accaduto per stregoneria oppure in qualche altro modo attraverso il potere del diavolo, con il permesso di Dio. C'è qualche modo per determinare o distinguere tra queste cose? Si può rispondere come segue. Primo, che quelli ai quali queste cose più comunemente accadono sono adulteri e fornicatori. Perché quando essi mancano di rispondere alle richieste della loro signora, o se vogliono disertarla e legarsi ad altre donne, allora la loro signora, per vendicarsi, attraverso qualche potere causa la rimozione del membro virile. Secondo, si può distinguere per il fatto che non è permanente. Perché se non è dovuta a stregoneria, allora la perdita non è permanente, e il membro verrà restaurato dopo un qualche tempo.
Ma qui sorge un altro dubbio, se il fatto che non sia permanente sia dovuto alla natura della stregoneria. Si risponde che può essere permanente, e durare fino alla morte, proprio come i Canonisti e i Teologi ritengono a proposito dell'impedimento della stregoneria nel matrimonio, che ciò che è temporaneo può diventare definitivo. Perché Goffredo dice nella sua Summa: una stregoneria non può sempre essere rimosso da chi lo ha causato, sia perché è morto, o perché non sa come rimuoverla, oppure perché la formula necessaria è andata perduta.
Quindi possiamo dire nello stesso modo che la formula che ha funzionato su Pietro sarà permanente se la strega che l'ha pronunciata non può guarirlo. Perché ci sono tre gradi di streghe. Perché alcune sono in grado sia di guarire che di danneggiare; alcune danneggiano, ma non possono guarire; e alcune sembrano capaci soltanto di guarire, ossia di rimuovere i danni, come sarà mostrato in seguito. Perché così accadde a noi: Due streghe stavano litigando, e mentre esse si insultavano a vicenda, una disse: Io non sono così malvagia come te, perché io so come guarire chi danneggio. Il maleficio sarà anche permanente se, prima che sia stato risanato, la strega diparta, sia cambiando residenza che morendo. Perché San Tommaso dice anche: Ogni maleficio è permanente quando è tale perché non può avere alcun rimedio umano; o se ha un rimedio umano, non è conosciuto agli umani, o è illegale; sebbene Dio possa trovare un rimedio attraverso un santo Angelo capace di costringere il diavolo, se non la strega.
Tuttavia, il principale rimedio contro la stregoneria è il sacramento della Penitenza. Perché l'infermità fisica spesso procede dal peccato. E in che modo si possono rimuovere i malefici o le streghe sarà mostrato nella Seconda Parte di questo Trattato, e nella Seconda Domanda, capitolo VI, dove altri importanti argomenti sono trattati e spiegati.

Soluzione degli Argomenti. Per il primo, è chiaro che non ci sono dubbi, ma che, proprio come, con il permesso di Dio, esse possono uccidere gli uomini, allo stesso modo i demoni possono rubare quel membro, così pure come altri, veramente e di fatto. Ma allora i demoni non agiscono per tramite di streghe, a riguardo delle quali si è già fatta menzione. E da questo la risposta al secondo argomento è altrettanto chiara. Ma occorre dire questo: che Dio permette più potere della stregoneria sugli organi genitali perché etc.; e quindi permette persino che il membro virile sia davvero e di fatto rimosso. Ma non è valido dire che ciò accada sempre. Perché non sarebbe nelle modalità della stregoneria che ciò accada in questo modo; e persino le streghe, quando fanno questi lavori, non fingono di non avere il potere di restaurare il membro virile quando esse vogliono e sanno come fare. Da questo è chiaro che non è rimosso fisicamente, ma solo per incantesimo. Per il terzo argomento, relativo alla metamorfosi della moglie di Lot, diciamo che essa era fisica, e non un incantesimo. E per quanto riguarda il quarto, che i demoni possono creare certe forme sostanziali, e quindi possono anche rimuoverle: si deve dire ciò a proposito dei maghi del Faraone che essi produssero veri serpenti; e che i demoni possono, con l'aiuto di un altro agente, produrre certi effetti su creature imperfette più di quanto possano fare sugli uomini, che sono il principale interesse di Dio. Perché è detto: Forse che Dio si cura dei buoi? Essi possono, tuttavia, col permesso di Dio, fare agli uomini veri e reali danni, così come possono anche creare un incantesimo nocivo, e con questa risposta anche l'ultimo argomento è reso chiaro.

PARTE II, DOMANDA I 

Il modo in cui esse privano l'uomo del suo membro virile. 
Abbiamo già mostrato che esse rimuovono l'organo maschile, non privando veramente il corpo umano di esso, nel modo che già abbiamo dichiarato. E di ciò daremo alcuni esempi.
Nella città di Ratisbona, un certo giovane uomo che aveva una relazione con una ragazza, desiderando lasciarla, perse il suo membro; ovvero, qualche incantesimo fu gettato su di esso in modo tale che egli poteva vedere o toccare null'altro che il suo corpo liscio. Nella sua preoccupazione su ciò, egli andò in una taverna a bere vino; e dopo che si fu seduto là per un po', iniziò a conversare con un'altra donna che era in quel luogo, e le disse la causa della sua tristezza, spiegandole ogni cosa, e dimostrando col suo corpo che era così. La donna era astuta, e chiese se lui sospettasse di qualcuno; e quando egli ne nominò una, rivelando l'intera faccenda, lei gli disse: "Se la persuasione non è sufficiente, tu devi usare una certa violenza, per indurla a restituirti la salute."
Così di sera il giovane uomo guardò la via che la strega aveva l'abitudine di percorrere, e trovatala, la pregò di restituirgli la salute del corpo. E quando lei dichiarà di essere innocente e di non sapere nulla di tutto ciò, egli si precipitò su di lei, e stringendo un panno intorno al suo collo, la soffocò, dicendo: "Se non mi rendi la mia salute, morirai per mano mia." Allora lei, non essendo in grado di urlare, e divenendo livida, disse: "Lasciami andare, e io ti guarirò." Allora il giovane uomo lasciò andare la pressione del panno, e la strega lo toccò con la sua mano tra le cosce, dicendogli: "Ora tu hai ciò che desideri."
E il giovane uomo, come detto, poté constatare con la vista o col tatto che il suo membro virile era stato restituito a lui con il semplice tocco della strega.
Una simile esperienza è narrata da un certo venerabile Padre della Casa Domenicana di Spira, ben conosciuto nell'Ordine per l'onestà della sua vita e del suo insegnamento.
"Un giorno", egli dice, "mentre stavo sentendo le confessioni, un giovane uomo venne a me e, durante la confessione, con dolore disse che aveva perduto il pene. Essendo rimasto esterrefatto per questo, e non volendo credere ciò con facilità, siccome nell'opinione del saggio è un segno di ingenuità credere troppo facilmente, io ottenni la prova di quanto raccontato quando vidi che non c'era nulla sul corpo del giovane quando egli si tolse i suoi abiti e mi mostrò il posto. Allora, usando i più saggi consigli che potei, chiesi se sospettasse qualcuno di averlo stregato. E il giovane uomo disse che egli sospettava qualcuna, ma che lei era lontana, vivendo a Worms. Allora io dissi: "Ti consiglio di andare da lei prima possibile e di tentare di blandirla con parole gentili e promesse"; ed egli fece così. Quindi egli tornò indietro dopo alcuni giorni e mi ringraziò, dicendomi che era intero, e che aveva recuperato tutto. E io credetti alle sue parole, ma ancora una volta egli volle provarle all'evidenza dei miei occhi."

    Dal MALLEUS MALEFICARUM, testo dell'Inquisizione

Tra le altre cose, si deve notare come gli autori di questo manuale fossero finissimi psicologi, che già conoscevano il concetto di subconscio ed erano maestri nella sua manipolazione. Freud non ha inventato nulla, era già tutto noto ai Domenicani. Gli strizzacervelli sono i veri eredi di Eymerich e di Torquemada. Sorge quasi il sospetto che il padre della psicoanalisi abbia attinto a piene mani da questo genere di materiale.