martedì 3 settembre 2019


AMAKUSA SHIRO TOKISADA -
THE REBEL 

Titolo originale: Amakusa Shirō Tokisada
AKA:
The Revolutionary; The Christian Revolt 

Anno: 1962
Lingua: Giapponese
Paese: Giappone
Regia:
Nagisa Ō
shima
Genere: Drammatico, storico
Durata: 100 min
Colore: B/N
Formato: Scope
Produzione: Hiroshi
Ōkawa per la Toei di Kyoto
Produttori associati: Yoshino Mori, Yurin Nakamura,
     Kimiharu Tsujino  
Distribuzione: Toei Kyoto 
Sceneggiatura: Nagisa
Ōshima, Toshirō Ishidō
Fotografia: Shintar
ō Kawasaki
Montaggio: Shintarō Miyamoto
Musiche: Riichir
ō Manabe
Trucco: Masanobu Hayashi
Interpreti e personaggi: 

    Hashizō Ōkawa: Amakusa Shirō Tokisada
    Ryûtar
ō Ōtomo: Shinbei Oka
   
Tetsuo Ashida:
Zanemon Yama 
    Minoru Chiaki: Sō
ho Tanaka 
    Tokue Hanazawa: Yozaemon 
    Ch
ōichirō Kawarasaki: Tamezō 
    Yoshi Katō
: Il nonno di Zanemon Yama 
    Mikijir
ō Hira: Katsuie Matsukura 
    Rentarō Mikuni: Uemonsaku 
    Sue Mitobe: Maki 
   
Kikue Mōri: Maruta 
    Takamaru Sasaki: Jinbei 
    Satomi Oka: Sakura (moglie di Shinbei)
    Kei Sat
ō: Taga Mondo 
    Rokk
ō Toura: Rōnin (samurai senza padrone)
   
Junko Matsukawa: Okiku (accreditata come Sayuri
          Tachikawa)
   
    Takao Yoshizawa
   
Mieko Kiuchi 


Trama: 
Siamo nel Giappone dell'epoca Edo, sotto il dominio dei Tokugawa, nella prima metà del XVII secolo. I fatti si svolgono dal dicembre 1637 all'aprile 1638. La penisola di Shimabara, proprio come la popolosa città di Nagasaki, era abitata da una popolazione in prevalenza cristiana. Per questo motivo c'erano gravi attriti sociali. I feudatari erano ferocemente anticristiani e opprimevano il volgo in modo crudele, tassandolo fino a ridurlo in condizioni di povertà estrema. La rapacità del fisco era insostenibile, al punto che il governo Monti sarebbe stato considerato una manna! Gli esattori pretendevano una tassa in riso, lasciando ai sudditi soltanto poche patate. Gli armigeri dello Shogunato compiono irruzioni nei villaggi e catturano i cristiani, gettandoli nelle segrete, scorticandoli a forza di frustate e torturandoli fino a rendere loro la vita impossibile. Coloro che si rifiutano di abiurare vengono messi a morte con supplizi atrocissimi. Il popolo giapponese è indomito e fiero, quale che sia la sua religione. Così quando l'estremo limite della sopportazione viene superato, la rivolta ha inizio. A guidare la ribellione è il giovane Amakusa Shirō Tokisada (nato Masuda Shirō, figlio di Masuda Jinbei). Gli insorti assediano ed espugnano un castello dopo l'altro e il loro numero cresce giorno dopo giorno fino a raggiungere le proporzioni di un esercito. La sorte sembra arridere loro, ma segni luttuosi di morte violenta e di sterminio iniziano a manifestarsi...


Recensione: 
Il film mi è piaciuto, anche se devo rilevare spaventose sproporzioni nella narrazione. Troppo spazio dedicato a conversazioni serrate, che il regista deve aver ritenuto più importanti della stessa rivolta e della sua repressione. Va detto che ho potuto visionare la pellicola soltanto nella versione originale in giapponese, senza alcun doppiaggio né sottotitoli in inglese. Del resto sono dell'idea che un film giapponese debba essere visto in lingua originale, anche a costo di capire poco o nulla dei dialoghi! Poi si scopre che spesso le parole degli attori sono superflue, visto che nella maggior parte dei casi l'unica cosa che conta è l'azione. Quando questo non accade, è divertente cercare di riempire i buchi narrativi con qualche inadeguata costruzione mentale.  Quello che ho più apprezzato è l'ambientazione cupissima, claustrofobica, tanto che nelle scene notturne la storia sembra ambientata su un pianeta nel cui cielo un sole nero irradia una tenebra aggressiva. A un certo punto, alla piena luce del sole, vengono bruciati vivi alcuni cristiani e tra questi ci sono anche bambini. I loro corpi vengono avvolti in quelli che sembrano tappeti fatti di sottili canne e di paglia, a cui i carnefici danno fuoco. La maestria del regista è sublime nel rendere l'orrore che stravolge il volto di un vecchio fedele, nascosto nella vegetazione, che assiste alla lenta agonia dei suoi correligionari. 


Un vivido ma fugace affresco dei costumi 

Il signore feudale era un pederasta e aveva un harem di fanciulli vestiti da geisha, su cui sfogava le proprie bramosie sodomitiche penetrandoli selvaggiamente nell'intestino. Il regista allude a questo in poche brevi ma chiare sequenze. Non si trovano molti film, giapponesi o prodotti in altri paesi, che riportino in modo esplicito e approfondito questa realtà, di cui pochi sembrano essere al corrente. Lo stesso Tokugawa Ieyasu e altri daimyō dell'epoca Edo erano dediti alla pederastia e avevano i loro harem di effeminati. Secondo il mio parere, questo punto dolente, che poneva la cultura giapponese in rotta di collisione con la religione cristiana predicata dai missionari, spiega gli sviluppi repressivi dell'epoca Edo. Anche il famoso inquisitore anticristiano Inoue Masashige era un notorio pederasta. Non soltanto: aveva avuto un'educazione cristiana e da giovane per poco non si era fatto prete. Ecco una prova del conflitto stridente tra una dottrina straniera e le inclinazioni sessuali di un uomo che ne poteva capire soltanto la forma. Una lotta i cui risultati hanno avuto portata storica. 


Olandesi volanti 

Gli Olandesi fanno la loro irruzione nel film come folletti infarinati, forse interpretati da attori nipponici truccati e impettiti, tanto che di primo acchito mi sono sembrate quasi caricature di occidentali. Guardando con attenzione i fotogrammi, mi sono poi accorto che non si tratta di un lavoro approssimativo: quelle facce sembrano proprio avere lineamenti batavici! I figli dei Paesi Bassi si manifestano per pochi secondi assieme a un grande cannone che spara una specie di fuoco artificiale. La scena è estemporanea, non integrata nella trama. Sembra quasi che i messaggeri di un mondo alieno invadano la Terra da un buco nel cielo, rompendo l'ordine cosmico come una lancia che dilania le viscere; invece si ritraggono quasi subito e scompaiono senza lasciare traccia alcuna nel tessuto narrativo. Il riferimento è alla nave da guerra olandese Rijp, che cannoneggiò il castello di Hara in cui i rivoltosi si erano asserragliati. Nella pellicola di Ōshima vediamo invece gli Olandesi sugli spalti di un castello. Tutto ciò che è estraneo al Giappone desta stupore misto a scandalo e in qualche modo deve essere isolato, neutralizzato. Sembra di essere di fronte alla reazione di un sistema immunitario vigoroso che aggredisce i patogeni giunti da un'oscena fonte di una sconosciuta infezione. 


Il pittore folle (e profetico)  

Alla corte del signore feudale dedito alla pederastia con i travestiti, viveva un pittore. Il suo incarico ufficiale consisteva nel dipingere elaborati ritratti del suo mecenate. La sua figura era ben singolare per essere un nipponico, al punto che a prima vista lo scambiai per un occidentale, forse uno spagnolo o un portoghese. Invece si trattava proprio di un nativo del glorioso paese di Yamato. Nessuna traccia di plica mongolica, i suoi occhi erano enormi e fissi come quelli di un cuculo. La pelosità abbondante indicava la discendenza da popolazioni aborigene pre-nipponiche, Ainu o Emishi. Quando viene scoperto che è un cristiano, viene sottoposto a una devastante bastonatura continua. Già in passato aveva avuto problemi per la sua religione: come il suo dorso viene messo a nudo, spicca un vistoso marchio a forma di croce, testimonianza dell'opera di un precedente carnefice che lo aveva lavorato col ferro rovente. Liberato dalla prigionia, lo stravagante pittore vaga nella notte in preda alla follia, come Re Lear nella tempesta. L'ultimo suo dipinto mostra un paesaggio annientato e pieno di gente crocefissa in mezzo alle fiamme, con colombe bianche che salvono verso il cielo nero. Un luogotenente dell'armata cristiana vede l'opera e capisce all'istante che è una funesta profezia di rovina, così in preda alla furia la fa a pezzi con la katana e uccide l'artista. Lo colpisce prima alla schiena, poi gli infligge profondi tagli al petto. Il sangue, simile a denso fango, esce copioso dalla bocca della vittima, che si accascia al suolo.


Un finale precipitoso  

Amakusa Shiro impugna la katana e il Crocefisso. Intorno a lui garriscono vessilli cristiani, simili a rozze bandiere spagnole o portoghesi con una croce in campo bianco. Vessilli crociati. Schegge di Occidente incastonate in Oriente. Molti dei contadini insorti hanno una massiccia croce di legno legata al cranio: a quanto pare consideravano quel manufatto una protezione soprannaturale. Pregano incessantemente. Quando l'esercito si incammina verso il suo destino, ecco che lo schermo grigio si pietrifica e compare un quadro di fitti ideogrammi. Senza dubbio è un riassunto del finale, che non vedremo mai: i rivoltosi di Shimabara, una volta espugnato il castello di Hara, sono stati tutti decapitati. Per secoli è rimasta impressa nell'eroico popolo nipponico l'immagine di quella montagna di teste recise. E io che mi pregustavo lo scontro finale e la carneficina! Niente da fare. La gestione del tempo e dell'azione da parte dei registi e degli sceneggiatori giapponesi non è affatto simile a quanto ci aspetteremmo. Non segue la stessa nostra logica. Non è euclidea, non è lineare. 

Curiosità varie 

Una donna cristiana sconvolta dal rogo di uomini, donne e bambini, esibisce vistose otturazioni d'oro agli incisivi - cosa impossibile nel Giappone del XVII secolo. Siamo di fronte a un anacronismo.

Amakusa Shirō è considerato un santo da molti cattolici giapponesi, ma non è mai stato canonizzato. Già quando era in vita gli venivano attribuiti miracoli. La Chiesa Romana non ha mai usato i fatti di Shimabara per la sua propaganda, adducendo una sconcertante ragione: gli insorti avrebbero avuto soprattutto motivazioni "materialistiche", come la protesta contro la tassazione. 

Amakusa Shirō è mostrato nel film come un uomo adulto, mentre aveva solo 17 anni quando è stato giustiziato dai carnefici dello Shogunato. La sua testa, spiccata dal busto, è stata esibita al pubblico come monito. L'impatto del personaggio nel mondo dei manga è stato notevole.

Viene mostrato il ruolo primario del riso nel Paese del Sol Levante. L'insurrezione cristiana ha inizio proprio con un atto di spreco in apparenza incoprensibile: viene scagiato a terra il vaso che contiene il riso raccolto come tributo per il feudatario. Ovvio. Quel riso appartiene al Demonio e quindi non può essere usato per l'alimentazione. Quando una dimora feudale viene espugnata, le donne cucinano il riso delle riserve signorili. Viene cotto fino a divenire una massa collosa, che i bambini stremati dalla fame divorano con avidità.  

Il film ci mostra il duello tra Amakusa e un suo luogotenente traditore, Yamada Emosaku. Nella realtà storica le cose sono andate diversamente: il traditore è stato l'unico superstite di quasi 40.000 ribelli. 

Note sulla pronuncia del giapponese  

Quando ero giovane ci si cullava in un'illusione puffesca: si credeva che la lingua giapponese avesse una fonetica elementare e che fosse facilissima da pronunciarsi. La vulgata corrente si fondava su un principio quasi banale per pronunciare le sillabe traslitterate in caratteri romani (romaji): vocali all'italiana e consonanti all'inglese. Per quanto riguarda l'accento, veniva collocato sulla penultima sillaba, a meno che la parola non finisse con un dittongo o con una vocale lunga, nel qual caso l'accento cadeva sull'ultima sillaba (con poche eccezioni per lo più dovute all'errata trascrizione di una vocale lunga come breve). 

I manuali suggerivano di pronunciare il verbo ausiliare onorifico gozaimashìta "è stato" come /gozaima'ʃita/, con l'accento sulla penultima sillaba. Con grande stupore, con gli anni, mi sono accorto che quei manuali erano stati scritti da incompetenti, che non solo inventavano una sillaba inesistente, ma collocavano anche su di essa l'accento. In realtà si deve pronunciare /go'zaimaʃta/, con l'accento sul dittongo. C'è un bel gruppo consonantico, tanto che dovremmo trascrivere la parola in caratteri romani come gozaimashta. Poi ho scoperto l'arcano. Quando una vocale breve i o u è compresa tra due consonanti sorde, o finale di parola preceduta da una consonante sorda, allora non si pronuncia affatto. In qualche trattato si dice che le vocali in questione sono sorde ma in grado di fungere da nuclei sillabici. Non ne sono affatto convinto: mi paiono semplicemente inesistenti. 

Il verbo desu "è" non si pronuncia /'desu/, bensì /des/. La vocale finale non si percepisce nemmeno, per quanti sforzi si facciano.
Il verbo ausiliare onorifico gozaimasu "è" non si pronuncia /gozai'masu/, bensì /go'zaimas/. L'accento è sul dittongo e il suono finale è una sibilante /s/

Allo stesso modo, il nome Amakusa non è affatto /ama'kusa/ con l'accento su una vocale u. Invece si deve dire /a'maksa/. Piaccia o no, nella parola c'è un bel gruppo consonantico /ks/.

Non posso nascondere un fatto scabroso. Esisteva anche un'altra scuola di pronuncia italianizzata del giapponese, che affermava la seguente aberrazione: non c'è una sillaba che ha un accento deciso e prevalente, perché ogni sillaba porta un accento proprio. Ricordo che in uno squallido programma domenicale, Pippo Baudo presentò alcuni giapponesi di Osaka e affermò che il nome della città avrebbe avuto tre accenti. Si sarebbe dovuto pronunciare Ò! SÀ! KÀ! Quando però il presentatore interrogò il nipponico sulla reale pronuncia del toponimo, incontrò non poche difficoltà. Quando gli chiese se si dovesse pronunciare Osakà (ovviamente con la sonora /z/), l'uomo del Sol Levante recisamente gli disse di no. Segnaliamo quindi l'abitudine tipicamente italiana di realizzare la /z/ fonemica giapponese, traslitterata in caratteri romani con z, come un'affricata sonora /dz/, ad esempio nella parola kamikaze. Infine c'è il mitico Luca Giurato, quello del Mudo li Merlino, che usa addirittura un'affricata sorda /tts/: nella sua pronuncia i kamikaze diventano KAMIKAZZI!  

domenica 1 settembre 2019


THE FALL

Titolo originale: The Fall
Lingua originale: Inglese, rumeno, latino
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, India
Anno: 2006
Durata: 117 min
Rapporto: 1,85:1
Genere: Fantastico, avventura, drammatico
Regia: Tarsem Singh
Soggetto: Valeri Petrov
Sceneggiatura: Tarsem Singh, Dan Gilroy, Nico Soultanakis
Produttore: Tarsem Singh, Roberto Bakker, Laurette Marais
Produttore esecutivo: Tommy Turtlee, Ajit Singh
Casa di produzione: Absolute Entertainment, Deep Films,
    Googly Films, Kas Movie Maker, M.I.A. Features, Radical 
    Media, Tree Top Films Inc.
Distribuzione in italiano: Eagle Pictures
Fotografia: Colin Watkinson
Montaggio: Robert Duffy
Musiche: Krishna Levy
Scenografia: Ged Clarke
Costumi: Eiko Ishioka
Interpreti e personaggi 
    Catinca Untaru: Alessandria
    Lee Pace: Roy Walker / Bandito Mascherato
    Justine Waddell: Infermiera Evelyn / Sorella Evelyn
    Marcus Wesley: Uomo del ghiaccio / Otta Benga
    Michael Huff: Dr. Whitaker
    Robin Smith: Collega di Roy / Luigi
    Jeetu Verma: Uomo delle arance / Indiano
    Kim Uylenbroek: Dottore / Alessandro il Grande
    Leo Bill: Infermiere / Charles Darwin
    Daniel Caltagirone: Sinclair / Governatore Odious
    Emil Hostina: Padre di Alessandria / Bandito Blu
    Julian Bleach: Paziente anziano / Mistico
Doppiatori italiani 
    Stefano Valli: Dr. Whitaker
    Luigi Ferraro: Charles Darwin
    Alessandro Ballico: Otta Benga
Box office (mondo intero): 3,67 milioni di dollari US 


Trama: 
Una bambina romena di stirpe zigana, chiamata Alessandria in onore di Alessandro il Grande, è caduta da un albero mentre raccoglieva arance su ordine dei suoi genitori. Così è stata portata in un ospedale gestito dalle suore, dove il braccio rotto le è stato ingessato. Qui conosce un giovane artista morfinomane, Roy Walker, paralizzato in seguito a una ben più grave caduta che gli ha spappolato le gambe (la caduta che dà il titolo al film). Roy ha una mente fantasiosa e ama raccontarle ad Alessandria storie mirabolanti. Favole variopinte. Nulla di più consistente di una bolla di sapone, ma la piccola ne viene rapita e vive le parole create dal tossicomane come se fossero la realtà di veglia, quella che le genti chiamano "realtà vera". Sprofonda così in un'avventura onirica molto intensa. 

Il governatore spagnolo Odious è Satana sulla Terra. La sua è un'essenza di puro ed assoluto sadismo. Si illustrano in modo succinto le caratteristiche dei personaggi coinvolti nella vicenda: 

Il Bandito Mascherato e il Bandito Blu
Sono due fratelli gemelli con una sola missione nella vita: uccidere il governatore Odious. Per sfuggire alla condanna a morte che grava su di loro sono costretti a separarsi. In seguito il Bandito Blu viene attirato in un'imboscata dall'esecrabile tiranno, torturato e ucciso. Il Bandito Mascherato, arrivato troppo tardi, urla il suo dolore al cielo e giura vendetta.  

Il Mistico 
È un uomo che viveva in una dimensione soprannaturale, separato dal tumulto del mondo. La sua casa era una foresta sacra, che a un certo punto il governatore Odious ha fatto distruggere fino all'ultimo albero. Distrutto dal dolore per aver assistito alla trasformazione di quel paradiso incantato in un deserto senza un filo d'erba, il guru si unisce alla compagnia del Bandito Mascherato.

Luigi il Bombarolo  
È un uomo eccellente che tiene alto l'onore dell'Italia, esportando nella lontana India le sue utili arti di esperto in esplosivi. Proprio questo italico genio desta la stizza e l'invidia del governatore Odious, che decide di mettere in atto una singolare strategia. Non può bloccare Luigi servendosi dei militari, perché quello farebbe saltare in aria tutto. Così lo paralizza inducendo il prete cattolico da cui si confessa abitualmente a non somministrargli più alcun sacramento. Per Tarsem Singh, come per ogni suddito di Sua Maestà Jimmy Savile, noi italiani saremmo tutti cattolici e mummy boys pieni di complessi. Non immaginerebbe mai che proprio in Italia allignino feroci nichilisti. 

Charles Darwin  
È proprio il famoso naturalista inglese, da giovane. Veste abiti di piume sgargianti, che lo fanno somigliare a un gigantesco pavone dalla livrea in parte albina e in parte purpurea. Si trovava in India assieme alla sua scimmietta Wallace per cercare una farfalla rarissima, non riuscendo a trovarla da nessuna parte. Il governatore Odious gli ha inviato una missiva in cui c'era proprio un cadavere dell'inestimabile lepidottero, seviziato con uno spillo. 

Otta Benga 
È un mandingo colossale, con muscolatura poderosa (e ovviamente una terza gamba). Sconvolto dal dolore per la morte del fratello aggiogato assieme a lui e distrutto dalle fatiche in una piantagione del governatore Odious, si è liberato dalle catene e si è dato alla fuga. Ha giurato vendetta e odio eterno. Indossa un elmo nuragico con grandi corna ed è un arciere provetto.


L'Indiano  Silenzioso  
È un principe che teneva la moglie segregata nel suo palazzo, impedendo a chiunque di vederla. Il governatore Odious è riuscito comunque a incontrarla, vestito da lebbroso, ed è stato preso da bramosia. Così l'ha rapita, ma siccome lei non voleva concedersi, l'ha gettata nel Labirinto della Disperazione, spingendola quindi al suicidio.  Per questo l'Indiano ha giurato di non guardare mai più un'altra donna e di ottenere vendetta.  

La Principessa 
 È una dama sofisticata dalle lussuose vesti di porpora, che viaggia in una grande carrozza rossiccia trainata da schiavi. La accompagna un altezzoso nipote che sembra un Dalai Lama bambino. All'inizio la nobildonna ammalia il Pirata Mascherato. Poi si scopre che è la fidanzata del governatore Odious... 

Il Grande Giuramento
A un certo punto, il Bandito Mascherato e i suoi compagni giurano il loro odio eterno e la loro volontà di distruzione non soltanto verso il Governatore, ma contro tutto ciò che è spagnolo.

Presto si svela l'arcano: il callido Roy ha attratto a sé la bambina gitana e l'ha affascinata con un secondo fine, per procurarsi il prezioso oppiaceo che inibisce il dolore e che rende l'esistenza sopportabile come per incanto. All'inizio ho pensato che il giovane anglosassone fosse un pedofilo, che bramasse la giovinetta. Poco dopo ho capito cosa voleva veramente. Desiderava porre fine a quell'orrore che la sopravvivenza quotidiana ineluttabilmente comporta! 


https://i.postimg.cc/XJ9N54W9/Tarsem-Singh-The-Fall-1.jpg

Recensione: 
Il film è stato proiettato al mitico Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 20/12/2010. Purtroppo non mi è stato possibile assistere allo spettacolo. The Fall è il secondo film del regista indiano Tarsem Dhandwar Singh, che ha esordito nel mondo cinematografico con lo spettacolare The Cell

Questi sono i luoghi dove il film è stato girato: 
1) Il complesso Jantar Mantar di Jaipur;
2) L'area del Sossusvlei nel deserto del Namib;
3) L'hotel Jag Niwas sul lago Pichola di Udaipur;
4) Lo stagno all'interno dell'hotel Jag Niwas;
5) Il lago Pangong sulla catena dell'Himalaya;
6) Buland Darwaza di Fatehpur Sikri;
7) Le abitazioni blu di Jodhpur;
8) Il Forte Mehrangarh a Jodhpur;
9) Villa Adriana a Tivoli;
10) Chand Baori vicino a Jaipur;
11) Il Taj Mahal ad Agra;
12) La Isla del Pescado del Salar de Uyuni;
13) Il ponte Carlo di Praga;
14) Il Palazzo Umaid Bhawan a Jodhpur. 


Pensate, la pellicola è stata girata in ventotto paesi in un periodo di ben quattro anni!

Tutto splendido, variopinto e sgargiante. Onirico. Certe sequenze colpiscono, come quella di Alessandro il Grande che versa la poca acqua contenuta in un elmo, la sola riserva idrica in uno spietato deserto. La morale di Alessandro è questa: "Se nessuno può avere abbastanza acqua, me ne privo io stesso!" Non dobbiamo fissarci troppo sull'esattezza storica, ad esempio sul fatto che in India fossero i Portoghesi a dare fastidio, non gli Spagnoli. In fondo chi potrebbe esigere che una favola per bambini sia verosimile? Purtroppo in un secondo tempo sono venuto a conoscenza di un dettaglio non proprio edificante: il film è un remake fabbricato a partire da una (semi)sconosciuta pellicola bulgara, intitolata Yo ho ho (Zako Heskiya, 1981). Certo, il regista Sikh ha apportato non pochi cambiamenti nell'ambientazione: a quanto ho potuto apprendere, Yo ho ho è un film bucanieresco, che si svolge tra pirati dei Caraibi. Non sembra facile poter reperire questa pellicola prodotta da un contesto così isolato e remoto dal nostro. Ho potuto soltanto raccogliere qualche dato tecnico, che riporto volentieri. 


Titolo originale: Yo Ho Ho (Йо-хо-хо)
Regista:
Zako Heskiya
Anno: 1981
Produttore:
Nikola Vulchev
Scenografia: Stefan Trifonov
Costumi: Elka Todorova
Effetti speciali: Atanas Mitzev, Dimo Pavlov
Decorazione del set: Pancho Atanasov
Editing del film: Ventzeslava Karanasheva
Design di produzione: Aysidora Zaydner

Interpreti e personaggi:  
   Kiril Variyski: Attore; Pirata Nero
   Viktor Chouchkov: Leonid
   Iliya Penev: Governatore
   Anani Anev: Gogo; Toro Seduto 
   Sonya Djulgerova: Sorella Tzetzi, Tzitziliya
   Kirill Kavadarkov: Van Lun
   Georgi Bakhchevanov: Rosko
   Trifon Dzhonev: Luidzhi
   Boris Lukanov: Professore
   Rut Spasova: Madre di Leonid 
   Vasil Stoychev: Collega dell'attore
   Boyka Velkova: Ex moglie dell'attore
   Yordanka Lyubenova: Figlia del Governatore
   Rumen Dimitrov: Genero del Governatore
   Vladimir Yochev: Scaricatore


Il titolo Yo ho ho trae origine da una canzone piratesca. Se i ricordi d'infanzia non m'ingannano, è quella resa in italiano con Quindici uomini nella cassa da morto, o qualcosa del genere. Si noterà che Luidzhi è una trascrizione slava dell'italiano Luigi. Se non ho capito male, mentre il regista Sikh si è rifatto alla figura di Alessandro il Grande, Heskiya aveva tratto ispirazione dal glorioso condottiero spartano Leonida (Leonid in bulgaro). Duole constatare che ormai non ci sia praticamente più nulla di originale a questo mondo. "Nihil sub sole novum" (cit.)

Curiosità varie

La scimmietta di Charles Darwin prende il nome da Alfred Russel Wallace, naturalista che sviluppò l'idea di evoluzione in modo indipendente. A un certo punto, sull'Isola della Farfalla, Darwin chiude la sua scimmietta in un sacco e borbotta: "Noi... Io ho un'idea". Ecco, questo è sottile umorismo Sikh. Allude al fatto l'evoluzionismo è accreditato al solo Darwin, non essendo Wallace conosciuto quasi da nessuno.  

Il nome del governatore spagnolo Odious, pronunciato Odius nella versione in italiano, è semplicemente l'aggettivo inglese odious "repellente, ripugnante" - pronunciato /'ɔdɪəs/ nella lingua della Regina - senza nemmeno un adattamento ortografico. La lingua di Shakespeare è fortemente dissociativa: una delle sue principali caratteristiche è quella di sfoggiare un immenso numero di aggettivi le cui radici non si trovano nel linguaggio comune di origine germanica, bensì nel latino e nel greco. La lingua italiana ha un certo grado di dissociatività, ma molto minore di quello dell'inglese. Così deriviamo odioso da odio, che è parola del linguaggio corrente. In inglese odious non punta ad alcun sostantivo del lessico di base, pur avendo un chiaro suffisso aggettivale -ous; oltretutto vi esiste il quasi sinonimo hateful "odioso; detestabile", costruito con genuini ingredienti anglosassoni. Domanda: perché Tarsem Singh non ha scelto un nome spagnolo per un governatore spagnolo?

Mi rendo conto che si tratta di un particolare di scarsa rilevanza, ma lo riporto per gli amanti dell'ippica. Quasi tutti i cavalli usati nel film appartenevano a Jeetu Verma, l'attore che ha recitato la parte dell'Indiano Silenzioso. 

mercoledì 28 agosto 2019



PERDERE LA TERRA 

Titolo originale: Losing Earth
Autore: Nathaniel Rich

Anno: 2019
Data di pubblicazione: Luglio 2019
Lingua originale: Inglese
Editore: Arnoldo Mondadori Editore 
Collana: Orizzonti
Tipologia narrativa: Narrazione romanzata
Genere: Problemi irrisolti, ecologia, cambiamento climatico   
Sottogenere: Problemi irrisolvibili, illusioni, moralismi alla
     francese, fede nei Puffi e nella bacchetta magica di Harry
     Potter
Classifiche: Posizione n° 13 in Ideologia ambientalista 

Traduzione italiana: M. Faimali
Codice ISBN-10: 8804715200
Codice ISBN-13 (aka EAN): 978-8804715207
Pagine: 176 pagg. (secondo altri 184)
Formato: rilegato
Tipo di copertina: rigida
Peso: circa 1 kg (tutto sulle gonadi)


Risvolto: 

C’è stato un momento, fra il 1979 e il 1989, in cui i rappresentanti politici e la grande industria si sono dimostrati disposti a mettere in primo piano la tutela del pianeta e a collaborare con scienziati e attivisti per affrontare le conseguenze del riscaldamento globale. In più occasioni, durante quel decennio, le maggiori potenze mondiali sono arrivate a un soffio dal condividere un serio impegno sul cambiamento climatico. Ma non ce l’hanno fatta.

Perdere la Terra racconta i retroscena di questo fallimento, concentrandosi sul ruolo di uno dei principali responsabili di emissioni di anidride carbonica, gli Stati Uniti d’America, e ricostruendo l’infaticabile contributo di alcuni eroi che hanno lottato per risvegliare la coscienza pubblica, come Rafe Pomerance, «lobbista per l’ambiente», e James Hansen, astrofisico e climatologo. Il primo si muove attorno al mondo della politica, il secondo parte dalla ricerca scientifica, ma il loro obiettivo è comune: spingere il governo del loro paese ad agire prima che sia troppo tardi, e a farsi promotore di un accordo internazionale vincolante. Le loro vicende personali e professionali si intrecciano con quelle di numerosi altri personaggi: scienziati appassionati e incerti; filosofi ed economisti «fatalisti»; negazionisti senza scrupoli; compagnie petrolifere e del gas, come Exxon, interessate ai benefici economici di un clima stabile e di risorse energetiche alternative; giornalisti alternativamente allarmisti e sprezzanti; giovani politici, come Al Gore, che provano a cambiare le cose dall’interno delle istituzioni; e presidenti degli Stati Uniti, come Ronald Reagan e George H.W. Bush, capaci, con il loro entourage, di alterare da un giorno all’altro il destino del mondo intero.

Quella raccontata da Rich sembra una classica storia americana, in cui buoni e cattivi si danno battaglia a suon di rapporti scientifici e disegni di legge, udienze pubbliche e commissioni, tentativi di censura e campagne infamanti. Ma di questa storia tutti noi, oggi, siamo vittime e insieme protagonisti, perché il finale è ancora da scrivere. Il passato ci insegna che politica, scienza, tecnologia ed economia da sole non bastano a raggiungere una soluzione di fronte al cambiamento climatico. È necessario riportare al centro la dimensione etica del problema. Ora che l’esistenza della nostra civiltà è incontrovertibilmente minacciata, cosa siamo disposti a fare? Siamo disposti a modificare il nostro stile di vita? Riusciremo a scrivere una storia diversa per i nostri figli e nipoti? 

Recensione:  

Non sono contrario all'ambientalismo in quanto tale. Non sono affatto un negazionista climatico: il problema esiste. Non sono un ultraliberista convinto che le emissioni di gas serra portino prosperità. Sono innanzitutto un fisico ambientale e conosco bene le dinamiche del cambiamento climatico, nella misura in cui è dato a un essere umano conoscerle. Proprio per questo mi sento in dovere di assestare al libro di Rich una critica serrata. Non ce l'ho con Greta Thunberg perché ci ricorda che la nostra casa comune, la Terra, sta andando a fuoco. Infatti le stesse cose le penso anch'io, e le facevo notare - irriso e schernito - quando la svedese ingrugnita dalle lunghe trecce ancora poppava il latte materno. Correva l'anno 2006 quando copiai sul mio pc il testo di un articolo trovato nel Web, lo incollai in un file txt che intitolai "I laghi frizzano". Parlava dello scioglimento del permafrost siberiano, mentre le masse pensavano alla vita segreta di Lady Berlusconi e ad altre similari amenità. Solo adesso si sta capendo il potenziale catastrofico del fenomeno. Non ce l'ho con la Thunberg perché è affetta dalla sindrome di Asperger, perché lo sono anch'io. Quello che desta la mia ira e il mio sommo fastidio è l'incapacità mostrata da lei e da ogni attivista ambientalista di fare i conti col Secondo Principio della Termodinamica, l'impossibilità di capire due parole molto semplici e dal suono ben brutto: "IRREVERSIBILITÀ" ed "ENTROPIA"

Premesse innegabili 

Cosa dovrebbero fare i politicanti?
Quale partito vorrebbe avere meno votanti? Quale ministro vorrebbe avere meno influenza e meno potere? "Non seguiteci! Non partecipate alla vita democratica!" Questo dovrebbe essere il nuovo motto di ogni partito. E quale capo politico sarebbe disposto a sostenere un'idea del genere? La politica vuole crescere: sono gli elettori a darle potere. Più la politica cresce, più aumentano le emissioni di CO2. Greta Thunberg, svegliati!


Cosa dovrebbero fare i capitalisti?
Quale azienda vorrebbe avere meno acquirenti per i propri prodotti? Quale plutocrate vorrebbe guadagnare meno? "Non comprate!" Questo dovrebbe essere il nuovo motto di ogni azienda produttrice di beni. E quale amministratore delegato sarebbe disposto a sostenere un'idea del genere? L'economia vuole crescere: sono i consumatori a darle potere. Più l'economia cresce, più aumentano le emissioni di CO2. Greta Thunberg, svegliati!


Cosa dovrebbero fare i religiosi? 
Quale Chiesa vorrebbe avere meno fedeli? Quale setta vorrebbe adescare meno gente? "Non seguiteci!" Questo dovrebbe essere il nuovo motto di ogni religione. E quale capo religioso sarebbe disposto a sostenere un'idea del genere? La religione vuole crescere: sono i fedeli e i figli procreati a darle potere. Più la religione cresce, più aumentano le emissioni di CO2. Greta Thunberg, svegliati! 

Conseguenze ineluttabili

Homo politicus  
Pretendi forse, o svedese ingrugnita dalle lunghe trecce, che i politicanti lascino centinaia di milioni di persone senza luce, senz'acqua, senza carburanti, senza sostentamento e senza farmaci? Non lo faranno mai, perché il loro potere finirebbe di colpo in un nuovo Terrore. Robespierre ritornerebbe!

Homo oeconomicus  
Pretendi forse, o svedese ingrugnita dalle lunghe trecce, che i capitalisti smettano di produrre e di consegnare viveri e ogni genere di bene materiale, lasciando centinaia di milioni di persone nella miseria più assoluta? Non lo faranno mai, perché il loro potere finirebbe di colpo in un nuovo Terrore. Robespierre ritornerebbe! 

Homo religiosus  
Pretendi forse, o svedese ingrugnita dalle lunghe trecce, che i religiosi smettano di sostenere il matrimonio e la procreazione? Pensi che sposeranno la causa dell'Estinzionismo? Non lo faranno mai, proprio loro che nei secoli hanno perseguitato chiunque osasse sostenere l'Estinzionismo, ricorrendo anche alla tortura e allo sterminio! Dovrebbero cambiare rotta proprio adesso? Non lo faranno mai, perché il loro potere finirebbe di colpo in un nuovo Terrore. Robespierre ritornerebbe! 

L'imbroglio delle emissioni di CO2 mancanti 

Nel trattato di Rich si fa a malapena menzione a un fatto alquanto scabroso. Per la rendicontazione delle emissioni di gas climalteranti, si considerano arbitrariamente nulle le emissioni di CO2 da combustione di biomassa (es. legna). Questo è l'artificioso ragionamento addotto dalle teste d'uovo dell'IPCC: quando si brucia della legna o del biogas, la CO2 che ne deriva fa parte del ciclo naturale del carbonio, così per quanta ne viene emessa, altrettanta ne viene assorbita. Il solo carbonio che contribuisce all'effetto serra, affermano gli esperti, è quello proveniente da combustibili fossili, perché è stato fissato in altre ere geologiche. La verità è ben altra: quelli dell'IPCC sono ben consapevoli del fatto che se queste emissioni da biomassa fossero computate nel bilancio, non si potrebbe assolutamente evitare che la temperatura del pianeta cresca oltre i 2 °C rispetto alla media preindustriale nel corso del XXI secolo. In parole povere, dovrebbero ammettere una scabrosa verità, di essere soltanto parassiti che vivono sul groppone dei lavoratori. Veniamo ora al loro "argomento". Essi vogliono far credere ai politicanti che quando bruciamo un albero, da qualche parte del globo ne spunti all'istante un altro identico, grazie ai Puffi o alla bacchetta magica di Harry Potter! Ci vogliono attimi per liberare in atmosfera il carbonio che un albero ha fissato in decenni o addirittura in secoli.

La natura ineluttabile degli Elementi

Per allettare i plutocrati, ecco che le emissioni di CO2 da attività umane sono state ridotte a "quote" per poterne fare commercio. Un tentativo truffaldino che nulla può contro la severità della Natura Matrigna. Così ne è nato un grottesco mercato, con tutta la sua potenza di corruzione e d'inganno. Sono addirittura fiorite società per la vendita di certificati, a detta dei loro gestori capaci di "compensare le emissioni di CO2". Anche quelle di una festa di laurea, di un viaggio in aereo o di un matrimonio. Come? Semplice: selezionando un appezzamento di foresta in qualche paese tropicale - già esistente da secoli - e stampando un pezzo di carta in cui si dichiara che tale appezzamento sarebbe in grado di azzerare le emissioni del cliente. Natura non confundenda

La crisi del permafrost 

Se c'è qualcosa di cui non si parlerà mai abbastanza, è proprio lo scioglimento del permafrost artico a causa dell'aumento della temperatura media globale. Come conseguenza di questo processo, si hanno emissioni di carbonio in atmosfera che rinforzano la crescita dell'effetto serra, dando origine a una diabolica morsa cibernetica, a un anello di feedback da cui non c'è scampo. Molti scienziati hanno lanciato l'allarme, eppure l'IPCC non considera nemmeno questa sorgente di gas climalteranti perché non può essere ridotta a gretti calcoli politici. Non dipendendo dalla volontà umana, il processo è dichiarato irrilevante. Per decreto imperiale. In pratica, vediamo i decisori e altri farabutti mettere la testa sotto la sabbia di fronte all'Idra di Lerna. 

Una diagnosi chiara e ineluttabile:
siamo fottuti

Molti si chiederanno: "Come cavolo è potuto succedere?" Domanda retorica e I - DIO - TA. Risposta semplice: siamo miliardi e continuiamo a crescere, come mosche che razzano nella merda. Immaginiamo di avere sotto mano la bacchetta magica di Harry Potter e di poter come per incanto ridurre le emissioni annue di CO2 del 50%, ossia della metà. Noi attiviamo quella bacchetta mirabile e "puff!", metà delle emissioni di CO2 buttate fuori in un anno spariscono nel Nulla. Che accadrebbe? Che impiegheremmo 20 anni ad arrivare allo stesso livello di compromissione a cui arriveremmo in 10 anni non facendo nulla (posto che il processo sia lineare). Inutile dire che 20 anni o 10 anni sono lassi di tempo assolutamente insignificanti su scala storica. Questo mostra la vanità, l'inanità di tutti i tentativi politici di opporsi al mutamento climatico. Stando le cose come stanno, il genere umano può soltanto crollare sotto il peso di innumerevoli criticità!

L'unica soluzione è considerata un tabù  

Homo sapiens non è davvero una specie intelligente. Non esito a dirlo: è soltanto una specie semi-intelligente. Possiede un linguaggio simbolico e ha tutto un suo universo concettuale, eppure sembra soffrire di profonde carenze logiche. Lamento e lamenterò sempre, fino alla Fine, quello che considero un autentico scandalo: l'unica vera soluzione è sempre stata sotto gli occhi di tutti ma nessuno ne ha mai voluto sentir parlare. Fanno ancora oggi finta che neppure esista, che neppure sia concepibile da mente umana. Ormai è tardi: si potrebbe soltanto proporre una cura palliativa, volta ad alleviare un po' le inevitabili sofferenze. A suo tempo sarebbe bastato smetterla di versare la sburra nel canale vaginale, per apportare un concreto e rapido sollievo al globo terracqueo. Non si sarebbe nemmeno arrivati a una popolazione di più di 7 miliardi di dannati su un pianeta che a stento potrebbe reggerne 1 miliardo. Eppure i copulatori fecondi non si fermano: se nessuno provvederà, presto saremo 8 miliardi, poi 10 e così via, fino al finale col botto. Tutti i porci dell'IPCC tacciono per non dare fastidio ai culti idolatrici della fecondità. Certo, meglio della cura palliativa sarebbe l'Eutanasia Planetaria. Se non fosse che lo stramaledetto DNA non vuol saperne di estinguersi!   

Il Fato di Ghilah 

Ora vi racconterò una bella storiella. Molti milioni di anni fa, Venere era un pianeta come la Terra. Era abitabile e abitato. Aveva una rotazione simile alla nostra e identica atmosfera. Vi erano masse continentali e oceani estesi. Ci vivevano gli antenati degli stessi umani che poi hanno popolato anche il nostro mondo. I nomi che davano al loro globo terracqueo erano GHILAH e BELGHIM, a seconda delle lingue. Data l'abbondanza delle risorse, i popoli di Ghilah crebbero senza limite, fino ad innescare una spaventosa crescita dell'effetto serra. Erano un po' come i milanesi: non si fermavano mai. Gravati da religioni fetolatriche e granitiche, hanno potuto soltanto procedere verso la catastrofe. I risultati del loro progresso, del loro sviluppo, della loro morale stupida e opprimente, li possiamo vedere tutti ancor oggi. Se vogliamo conoscere il futuro della Terra, dobbiamo guardare Venere.

sabato 24 agosto 2019

ETIMOLOGIA DI GILOUBIRRO, GILOUBIRRARI 'ERETICO'

Nella vasta produzione letteraria in Antico Alto Tedesco, l'antenato dell'odierna lingua di Germania e di molti suoi dialetti, è citata un'interessante parola per indicare il concetto di 'eretico': giloubirro, con diverse varianti come giloubirri e giloubirrâri. L'origine è dal sostantivo gilouba 'Fede' (attualmente Glaube) e dal verbo irrôn, che significa 'errare', 'sbagliare' (chiaramente un prestito dal latino errare). Così è infatti spiegato il vocabolo con una glossa più estesa: ther sînera gilouba irrit, cioè "colui che sbaglia nella propria Fede", o ther unrehtera gilouba ist, "colui che ha una Fede errata". Si trova persino il quasi sinonimo ungiloubâri, che corrisponde all'italiano 'infedele' o 'ateo'. Per tradurre il concetto di 'Eresia' si usa irrido giloubirra, oppure heidani, che però significa propriamente 'paganesimo'. Siccome queste parole si trovano in vocabolari posteriori all'VIII secolo ma pur sempre altomedievali (ad esempio quello di Notker Labeone il Teutonico, X secolo), la loro presenza resta un mistero. Infatti gli studiosi ci dicono che al tempo di Carlo Magno (742 - 814) l'Eresia era praticamente estinta in ogni sua forma in Occidente: quando nel XI secolo comparvero nuovi fermenti ereticali, le autorità religiose si trovarono sorprese e spiazzate. Allora perché in Germania si è sentita la necessità di coniare un vocabolo nella lingua corrente anziché adottare un comodo prestito tecnico dal latino ecclesiastico?

Già in passato ho fatto notare come nella parola Ketzer, derivata dal vocabolo greco Katharos e tuttora in uso in tedesco con il significato di 'eretico', si nota l'azione dell'Umlaut (metafonesi) palatale che trasforma la vocale tonica -a- in -e-. Orbene, siccome l'Umlaut ha cominciato ad agire nei secoli V e VI, e non si è mai generato in alcune lingue come quella dei Longobardi, si può pensare che la parola fosse già conosciuta ai tempi di Carlo Magno. Se fosse posteriore, non avrebbe subito la metafonesi. Ma questo vuol dire che l'epiteto Catari era in uso in un'epoca in cui nessuno storico si azzarderebbe a proporre l'esistenza di idee dualiste in Occidente. A quanto mi risulta, nessuno studioso ha finora considerato questa stranezza, che pure mi sembra abbastanza palese. Forse i Fundaiti giunti dalla Bulgaria hanno trovato residui di antichi Manichei o Marcioniti in Germania, adottandoli.

CHIESE E BARBE

Così scrive Jean Duvernoy nel suo benemerito volume La Religione dei Catari (pag. 256) a proposito di due antiche denominazioni dei Buoni Uomini, di certo comuni negli ambienti catari: 

Ci sono due termini, di uso corrente presso i credenti, che risultano documentati per una fase più avanzata. Sono quelli di "Chiese", che figura solo in bocca a un pastore e quello di "Barbe" (las bonas barbas), il quale sarebbe poi stato, al maschile, tradizionalmente usato dai valdesi. Questo termine, che si spiega di per sé, deve essere anteriore alla persecuzione, poiché nel periodo in cui viene adoperato i perfetti andavano senza barba. Esso trova riscontro nei connotati del predicatore eretico indicati da San Bernardo nel suo Sermone 65: "senza tonsura ma con tanto di barba", e che Eberardo di Béthune schernisce: "esibendo il pallore del volto, andando in giro senza tonsura, con i capelli lunghi e la barba, o barbarie barbuta!" (*). 

(*) Il testo originale in latino è il seguente: "Praetendentes faciei pallorem, intonsi cum capillorum prolixitate et barbati, o barbata barbaries!" 

Quanto riportato non è del tutto vero, in quanto pecca di incompletezza e contraddice un'altra citazione dello stesso Duvernoy nello stesso volume (pag. 201): egli riporta infatti che Peire Autier, l'Apostolo di Linguadoca, chiamava Chiese i Consolati: 

L'unica Chiesa di Dio sta dove c'è un buon cristiano, perché egli è la Chiesa di Dio". "Egli si vantava di aver vestito a sue spese tredici "Chiese", in quanto chiamava "Chiese" gli eretici vestiti (perfetti). 

La nota in calce ci dà il riferimento: Registre de Jacques Fournier, op. cit., t. I, p. 230, t. II, p. 38

Con queste parole, Peire Autier (chiamato da Duvernoy Pierre Authié) ci fa sapere che ha trasmesso il Consolamentum a un buon numero di Postulanti, facendone altrettanti Successori degli Apostoli, e ci testimonia al contempo che la denominazione Chiese attribuita ai Buoni Uomini non era una cariatide isolata, un hapax legomenon estratto da un manuale eresiologico, bensì qualcosa di vivo e vitale, una locuzione a quei tempi in uso tra i Credenti. Il fondamento scritturale è chiaro e cristallino. Nel Vangelo di Matteo Cristo dice: "Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Con questo, il Figlio di Dio intende che dovunque ci sono Buoni Uomini che han ricevuto lo Spirito, lì c'è la Chiesa di Dio, che non è fatta di pietra. 

A proposito delle Barbe, il linguaggio dei Valdesi ha preso a prestito dai Buoni Uomini questa locuzione, come giustamente accennato dal Duvernoy. Ricordo di aver letto uno scritto di Guido Ceronetti in cui descriveva una Torino spettrale e al limite del sopportabile, oppressa dal culto idolatrico della Sindone e di altri feticci, in cui soltanto alcuni barbèt, ossia Credenti Valdesi, osavano mettere in discussione la natura degli idoli. Così dovremmo chiamarci anche noi Credenti Catari in attesa di poter diventare Chiese. Dobbiamo recuperare questa Tradizione, chiamandoci barbèt

giovedì 22 agosto 2019

DUE INTERESSANTI TOPONIMI: BABUNA E BOGOMILA

Bogomila è il nome di un villaggio della Macedonia situato nell'area di Azot, sul fiume Babuna, il tributario destro del Vardar, ad ovest di Veles. Il significato di questo interessante toponimo è "<villaggio> di Bogomil". Una tradizione attribuisce al villaggio di Bogomila i natali del Pop Bogomil, affermando che ivi si troverebbe la sua tomba, usata come rifugio dai Buoni Uomini durante le persecuzioni. In quel luogo sarebbe custodito il loro Libro Segreto. La cosa sembra piuttosto improbabile: è Bogomila ad essere derivato dal nome Bogomil, piuttosto che non l'inverso. In ogni caso, questa documentazione è oltremodo interessante, attestando una presenza di Buoni Uomini in quelle terre. 

Allo stesso modo, l'idronimo Babuna ha il significato di "<fiume> del Babun", essendo Babun sinonimo di Bogomilo. Questo appellativo compare in molti toponimi della Macedonia. Esiste un Monte Babuna, situato tra Prilep e Veles, ed anche un'area chiamata Babuna nella parte occidentale del Monte Klepa, lungo il bacino del fiume Babuna. Anche in questo caso, sono i toponimi in questione ad aver preso nome dai Dualisti stabilitisi in quelle aree. Queste attestazioni toponomastiche non vanno trascurate, al fine di portare a compimento la difficile opera di ricerca di eredi diretti del Pop Bogomil. Quello che deve essere chiaro è che per rifondare il Catarismo occorre procedere verso la sua sorgente, che si trova in Oriente.  

ETIMOLOGIA DI BABUN 'ERETICO; SATANISTA'

Nome che i Serbi davano ai Bogomili, e che tuttora essi attribuiscono ai Satanisti, il termine babun ha il significato letterale di 'uomo dalla faccia rugosa'. La Regola della Chiesa di Bosnia era severissima e vietava di ridere o anche soltanto di sorridere, così i Buoni Uomini avevano i volti perennemente contratti in espressioni truci. L'origine ultima della parola in questione è comunque incerta. 

Dragojlovic ritiene che l'appellativo babun come sinonimo di 'eretico' e in particolare di 'dualista' sia stato portato da dissidenti religiosi venuti dalla Siria, detti Babini, che sarebbero stati deportati dallo Zar Giovanni Tsimiski come coloni in Tracia e Macedonia. Purtroppo tutto ciò che si sa su questi Babini sembra ridursi al loro nome e alla loro origine geografica.

Secondo un'altra ipotesi, in epoca più antica questa parola sembra aver indicato gli Orfici. Non sono riuscito a reperire una documentazione attendibile, anche se è di per sé meritevole di qualche interesse: gli antichi Orfici aborrivano la carne e il coito ed erano chiamati Katharoi, ossia 'Puri'. La loro presenza nella regione dei Balcani all'epoca dell'Impero è ben attestata. 

In ogni caso epoca medievale, il Bogomilismo era certamente noto ai Serbi come Dottrina Babun. Importato dalla Bosnia, non riuscì mai ad avere fortuna in terra serba, dove a quanto pare abbondavano gli energumeni. Questo riporta Runciman nel suo libro The Medioeval Manichee

"Probabilmente l'estrema bellicosità dei Serbi li rese nel complesso poco suscettibili ad essere convertiti a tale religione. Certamente non fu fino ai tempi del Re Stefan Dushan, verso la metà del XIV secolo, che in Serbia si sentì nuovamente parlare del Bogomilstvo, sotto il nome di Dottrina Babun. Dushan, nel suo gran codice legale, comminò particolari pene agli eretici Bogomili o Babun. Un nobile che predicava le dottrine Bogomile era multato di cento pezzi d'oro, un plebeo invece era multato di dieci pezzi d'oro ma doveva anche essere flagellato. Chiunque desse ospitalità o protezione agli eretici doveva essere punito nello stesso modo. La necessità di queste misure probabilmente non era dovuta tanto alla rinascita dell'eresia in Serbia, ma all'estensione del dominio di Dushan in Macedonia, indugiando nel territorio della Bosnia, il centro del movimento ereticale."  

L'importanza data a Satana nella Teologia Dualista era spesso fraintesa dal popolino come dal clero ortodosso: proprio questo ha portato al moderno slittamento semantico del termine, che nei giorni odierni evoca immagini di tregende e orge diaboliche. Di certo non sarebbe piaciuta a nessun Buon Uomo di Oriente o di Occidente una simile identificazione abusiva, eppure essa ha avuto modo di compiersi in questo oscurissimo mondo animato dalla Perversione.

ETIMOLOGIA DI KRSTJANI 'DISSIDENTI DUALISTI'

Krstjani è il nome slavo dei Buoni Uomini della Chiesa di Bosnia, ossia dei Bogomili o Patereni, la cui dottrina è dualista e attribuisce al Diavolo la creazione del mondo sensibile. Chiaramente questa denominazione slava significa 'Cristiani', senza bisogno di aggiungere altro. Per colmo del paradosso, coloro che abiuravano ed entravano nella Chiesa di Roma dovevano rinunciare a questo titolo. In altre parole, chiamarsi Cristiano era ritenuto un reato contro il Pontefice. Tutto questo dovrebbe far molto riflettere. Se la Chiesa di Roma fosse davvero cristiana, come le genti del mondo ritengono, non avrebbe mai mostrato di avere in abominio il nome di Cristiano, eppure ciò è ben documentato, ad esempio sotto il regno di Innocenzo III: in particolare è documentato e riportato da Lambert che alcuni apostati nel 1203 promisero di non chiamarsi più tra loro Cristiani, ma soltanto Fratelli. In altre parole, veniva meno la condizione che fa il Vero Cristiano, ossia il Sacramento del Battesimo Spirituale. 

martedì 20 agosto 2019

ETIMOLOGIA DEL COGNOME BONOMIO

Bonomio è un raro cognome italiano attualmente presente in due comuni della Lombardia. È di sicura origine catara e deriva direttamente dall'occitano Bonome o Bo Home 'Buon Uomo', denominazione che si trova spesso latinizzata in Bonomius nei testi. L'origine è ovviamente dallo sviluppo occitano della forma latina Bonus Homo, plurale Boni Homines, che indica chi ha ricevuto il Battesimo di Spirito. Possiamo così dedurre che gli antenati dei Bonomio non soltanto erano Catari, ma che provenivano da comunità della Linguadoca, dove deve aver avuto origine il soprannome del capostipite. Anche nella Guascogna esistevano simili denominazioni. 

Il bizzarro caso di San Bonomio

Esiste anche un San Bonomio, ben rappresentato nella toponomastica piemontese (a Curino, a Settimo Rottaro e a Pozzolengo). Il punto è che quando si cercano informazioni concrete su questo santo, si scopre che sembra essere sorto dalla cattiva lettura di San Bononio. San Bononio Abate o Bononio di Lucedio (XI secolo) prese il suo nome dalla città di Bologna (lat. Bononia), di cui era nativo. Improbabile che possa derivare dall'ebraico Benoni 'Figlio del mio dolore', come pure è stato suggerito. In modo sorprendente, il sito santiebeati.it riporta informazioni confuse. Ci si imbatte infatti in una pagina (n. 1648) molto sintetica:

San Bononio

L'onomastico viene festeggiato il 30 agosto in ricordo din (sic) San Bonomio (sic), abate di Bologna, nativo di Lucedio (Vercelli) morto nel 1206.

Sullo stesso sito esiste poi un'altra pagina (n. 92417) dedicata a San Bononio Abate, che riporta informazioni corrette, tra cui la data di morte, il 1026. Evidentemente il 1206 è un errore nato dall'inversione di due cifre. Si specifica anche che il luogo di nascita è Bologna e non Lucedio, dove il santo fu invece abate. 

Qual è l'origine di tutta questa confusione? Forse un autentico San Bonomio il cui nome era sentito come scomodo? Forse è stato oscurato cum dolo