domenica 19 novembre 2023


UN SALMO MANICHEO
E UN CONFRONTO SINTETICO
TRA MANICHEISMO E CATARISMO 

Adoriamo lo Spirito del Paracleto. 
Benediciamo il nostro Signore Gesù che ci hi inviato lo Spirito di Verità. 
Egli è venuto e ci ha separato dall'Errore del mondo, 
egli ci ha portato uno specchio, noi vi abbiamo guardato e abbiamo scorto in esso l'Universo.

Quando lo Spirito Santo ci ha rivelato la Via della Verità,  
ci ha insegnato che ci sono due Nature, quella della Luce e quella delle Tenebre,
separate l'una dall'altra dall'Inizio.

Il Regno della Luce, da una parte, consiste di cinque Grandezze,
ed esse sono il Padre e il suoi dodici Eoni, e gli Eoni degli Eoni,
l'Aria Vivente, la Terra della Luce; il Grande Spirito che respira in essi,
nutrendoli con la sua luce.

Ma il Regno della Tenebra consiste di cinque magazzini,
che sono il Fumo e il Fuoco e il Vento e l'Acqua e l'Oscurità;
il loro Consiglio che striscia in loro,
muovendoli ed incitandoli a far guerra gli uni contro gli altri.

Ora, come essi stavano guerreggiando gli uni contro gli altri,
essi osarono fare un tentativo sulla Terra della Luce,
pensando che sarebbero stati capaci di conquistarla. 
Ma essi non sapevano che ciò che avevano pensato di fare sarebbe ricaduto sulle loro teste. 
 
Ma c'era una moltitudine di angeli nella Terra della Luce, che avevano i poteri necessari per farsi avanti
a soggiogare il nemico del Padre, al quale piacque che tramite la sua Parola,
che avrebbe mandato, dovesse soggiogare i ribelli che desideravano esaltare se stessi
al di sopra di ciò che era più esaltato di loro. 

Come a un pastore che vede un leone giungere a distruggere il suo ovile,
egli usa l'astuzia e prende l'agnello e lo colloca come un'esca che lo possa catturare:  
così con un solo agnello egli salva il suo ovile. 
Dopo di ciò egli risana l'agnello che è stato ferito dal leone:

Proprio questa è la via del Padre, che inviò il suo figlio forte; 
ed egli produsse da se stesso la sua Vergine dotandola di cinque poteri,

affinché ella potesse combattere contro i cinque Abissi della Tenebra.  

Quando l'osservatore stava sui confini della Luce, egli mostrà a loro la sua vergine
che è la sua anima; essi si agitarono nel loro abisso, desiderando esaltarsi sopra di lei,
e spalancarono le loro fauci per inghiottirla.

Egli mantenne saldo il potere di lei, egli la sparse sopra di loro, come una rete sui pesci,
egli la fece piovere sopra di loro come nuvole di acqua purificata, ella fece irruzione tra di loro
come una folgore perforante. Ella strisciò nelle loro parti interne, ella li legò tutti,
ed essi non se ne accorsero.

Quando il Primo Uomo ebbe finito la sua guerra, il Padre inviò il suo secondo figlio. 
Egli venne ad aiutare il suo fratello fuori dall'Abisso; egli stabilì questo intero mondo fuori dalla mistura che ebbe luogo tra Luce e Tenebra. 

Egli diffuse tutti i poteri dell'Abisso su dieci cieli e otto terre,
egli li rinchiuse dentro questo mondo in una volta, egli lo rese una prigione per tutti i poteri delle Tenebre, 
e al contempo un luogo di purificazione per l'Anima che era stata inghiottita in essi.

Egli fondò il sole e la luna, egli lì collocò in alto, per purificare l'Anima.  
Ogni giorno essi prelevano la parte raffinata dell'Altezza, ma tuttavia raschiano la feccia. . .  
(ad essa) mescolata, essi la trasportano in alto e in basso.

Questo intero mondo sussiste solido per una stagione, essendovi una grande costruzione
che viene costruita al di fuori di questo mondo. Così, non appena il costruttore finisce, l'intero mondo si dissolve e mette sul fuoco ciò che il fuoco può sciogliere.

Tutta la vita, dovunque sia la reliquia della Luce, egli raccoglierà per se stesso facendone un dipinto
e un'immagine. E anche il Consiglio della Morte e tutta la Tenebra, egli raccoglierà insieme e ne farà una sembianza di se stesso, di ciò e del Condottiero.

In un attimo lo Spirito Vivente verrà. . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . egli soccorrerà la Luce. Ma egli rinchiuderà il Consiglio della Morte e della Tenebra  nella dimora che è stata stabilita per lui, in modo che vi sia incatenato in eterno. 

Non esiste altro mezzo per incatanare il Nemico oltre a questo mezzo; perché egli non sarà ricevuto 
nella Luce in quanto è straniero ad essa: e neppure può essere ancora lasciato nella sua terra di Tenebra, in modo che non possa condurre una nuova guerra più grande della prima.

Un nuovo Eone sarà costruito al posto del mondo che si dissolverà, che potrà regnare nei poteri della Luce, perché essi hanno rappresentato e realizzato la volontà dell'intero Padre, essi hanno soggiogato l'Odiato, essi anno. . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . sopra di lui per sempre.

Questa è la Conoscenza di Mani, adoriamolo e benediciamolo.
Benedetto è ogni uomo che avrà fede il lui, perché egli è colui che vivrà con tutti i Giusti.
Gloria e vittoria al nostro Signore Mani, lo Spirito di Verità, che proviene dal Padre,
che ha rivelato a noi l'Inizio, il Mezzo e la Fine.
Vittoria all'anima della benedetta Maria, Theona, Pshaijmnoute.

Salmo CCXXIIII della Festa di Bema, testo manicheo 


Il ruolo della Festa di Bema era centrale nel Manicheismo. Si trattava dell'anniversario della morte di Mani. Sappiamo molto poco su come si svolgesse e quali riti comportasse, ma disponiamo di un certo numero di salmi che venivano cantati in quell'occasione. 
Quando fermenti protocatari cominciarono ad apparire in Occidente, la Chiesa di Roma cercò di identificare la religione che stava emergendo con il Manicheismo quale era stato descritto da Agostino di Ippona. Come conseguenza, coloro che interrogavano i primi Catari facevano costante riferimento alla festa di Mani, cercando in tutti i modi, anche con la tortura, di strappare una qualche confessione a questo proposito. Ma l'apparato liturgico e scritturale dei Buoni Uomini era di origine evangelica, non manichea, e il Bema era sconosciuto. 

Eppure, nonostante un nesso diretto tra Manicheismo e Catarismo non possa essere provato con facilità e sia anzi rifiutato da molti autori, negli Inni del Bema esistono suggestioni e modi di dire che si ritrovano nella predicazione di Peire Autier. L'idea di un'invasione dei Cieli ad opera del Dio del Male o di un suo angelo ripercorre l'intera storia della Fede dei Buoni Uomini, sia dei Dualisti Assoluti che dei Dualisti Mitigati. Non trova invece nessuna corrispondenza all'interno dello Gnosticismo. Lo Gnosticismo è una forma di Dualismo Mitigato, ma non contempla l'idea di un Demiurgo in grado di occupare e di contaminare il Pleroma. Persino Marcione, un dualista radicale in quanto ad odio verso l'opera del Dio Malvagio, non si pose realmente mai il problema teologico della cosmogonia. Alcuni dei suoi successori anzi optarono per l'idea gnostica della semplice creaturalità del Demiurgo, originatosi da un difetto del Mondo di Luce. 

L'idea di un principio maligno coevo alla Luce ed eternamente in lotta contro il Dio Buono è in ogni caso un'idea di chiara origine manichea, nata dai tardi sviluppi del Mazdeismo, ed ebbe modo di diffondersi grandemente nei territori dell'Impero Romano già nel tardo III secolo. Alla luce di tutto ciò, non è in alcun modo possibile condividere le teorie di coloro che reputano il Dualismo Cataro come un prodotto autogeno dell'Europa basato unicamente su un'interpretazione particolare dei Vangeli. Ulteriori discussioni su questi argomenti saranno presentate in seguito con maggior dettaglio, in modo tale che non possano sussistere dubbi. 

È altresì vero che in diversi punti sussistono alcune interessanti differenze tra le dottrine in questione: mentre il Manicheismo attribuisce un ruolo positivo al sole, alla luna e alle stelle, il Catarismo reputa ogni astro creazione di Satana al pari della Terra. I Cieli del Vero Dio sono immateriali e incorruttibili, ben distinti dai cieli transeunti e mutevoli che gli umani possono contemplare. Queste divergenze sono però relative a dettagli, mentre è il nucleo ontologico quello che è trasmigrato da Mani verso la Bulgaria e quindi verso l'Europa. Infatti si può capire come nel corso dei secoli siano avvenute ripetute sintesi di elementi eterogenei, e come in questo complicato processo ci siano state sia perdite di elementi più antichi che formulazioni del tutto nuove.

venerdì 17 novembre 2023



I CATARI DI LEÓN 

Esistevano Credenti Catari e Buoni Uomini anche nella Spagna del XIII secolo. Siccome questo fatto è poco noto al pubblico, penso sia il caso di riportare alcune significative testimonianze in proposito. Questo è quanto scrive Henry Charles Lea, autore protestante americano noto per le sue bizzarre simpatie verso l'Inquisizione e per la sua avversione verso la Conoscenza del Bene - ma la cui opera è in ogni caso un'inestimabile miniera d'informazioni (The History of Inquisition, vol. II, pagg. 180-183):  

Il grande regno di Castiglia e León, che abbraccia la maggior parte della penisola spagnola, non ha mai goduto la benedizione dell'Inquisizione medievale. È stato più indipendente da Roma rispetto a qualsiasi altra monarchia del periodo. Prelati signorili, nobili turbolenti, e città gelose delle loro libertà hanno permesso scarse opportunità per la centralizzazione del potere della Corona. Le persone erano rudi e incolte, e non molto dedite alla vana speculazione teologica. La loro energia superflua, inoltre, ha trovato ampia occupazione nel compito di riconquistare la terra dai Saraceni. La vasta popolazione di Ebrei e di Arabi conquistati ha dato loro problemi particolari da trattare, che sarebbero stati resi più complicati dai metodi dell'Inquisizione, piuttosto che risolti, fino a quando l'unione di Aragona e Castiglia sotto Ferdinando e Isabella, seguita dalla conquista di Granada, ha permesso a questi monarchi di occuparsi seriamente dell'affare, attraente sia per l'arte di governare che per il fanatismo, di costringere all'uniformità della fede. 

È vero che la leggenda domenicana narra di come Domenico tornò da Roma alla Spagna come Inquisitore Generale, con l'incarico di stabilire lì dell'Inquisizione allo scopo di punire i rinnegati Ebrei e Mori convertiti, e di come è stato calorosamente sostenuto da San Fernando III; di come ha organizzato l'Inquisizione in tutto il paese, celebrando egli stesso il primo auto de fé a Burgos, dove sono stati bruciati 300 apostati, e il secondo auto in presenza del re santo, che portava egli stesso sulle sue spalle fascine per la combustione dei suoi sudditi, e i pertinaci disgraziati avrebbero gioito con aria di sfida nelle fiamme che li stavano consumando; di come, dopo questo, stabilì l'Inquisizione in Aragona, dove si era recato dopo essere stato a Parigi e averla organizzata in Francia, di come, nel 1220, mandò Corrado di Marburgo come inquisitore in Germania, e nel 1221 terminò le sue fatiche con la sua fondazione in ogni parte d'Italia. Tutto questo può essere ritenuto dello stesso valore storico della dichiarazione verace di un vecchio cronista e compatriota del Pifferaio di Hamelin, che San Bonifacio era un inquisitore, e che, con il supporto di Pipino il Breve, ha bruciato molti eretici. 

Elenchi dettagliati, inoltre, sono dati dei successivi Inquisitori Generali della Penisola, Frailes Suero Gomes, B. Gil, Pedro de Iluesca, Arnaldo Segarra, Garcia de Valcos, ecc., ma questi sono semplicemente i Provinciali Domenicani di Spagna, che sono stati autorizzati dai papi di nominare inquisitori, e il cui esercizio di questo potere non si estendeva oltre l'Aragona. Anche Paramo, pur cercando di dimostrare che ci sono stati nominalmente inquisitori in Castiglia, è costretto ad ammettere che praticamente non vi era Inquisizione. 

Eppure, anche nella lontana città di León, il Catarismo aveva ottenuto un punto d'appoggio. Il Vescovo Rodrigo, morto nel 1232, espulse un certo numero di Catari, richiamati alla sua attenzione per il fatto di aver fatto circolare una storia per eccitare all'odio verso il clero, raccontando di come una povera donna avesse posto una candela sull'altare in onore della Vergine, e di come un prete l'avesse presa per il proprio uso personale. La notte seguente la Vergine apparve alla sua devota, gettandole cera ardente negli occhi e dicendo: "Prendi il salario del tuo servizio. Non appena te ne sei andata, un sacerdote ha portato via la candela; così come saresti stata ricompensata se la candela fosse bruciata sull'altare, così devi essere punita, dato che per incuria mi hai dato luce soltanto per un attimo". 

Questa storia diabolica, dice Luca di Tuy, un testimone oculare, ha colpito a tal punto le menti dei semplici che la devozione delle offerte di candele è cessata, e ha richiesto due miracoli autentici per ripristinare la fede del popolo. 

Durante l'intervallo tra la morte del vescovo Rodrigo, nel marzo 1232, e l'elezione
del suo successore, Arnaldo, nel mese di agosto, 1234, gli eretici hanno avuto ampia opportunità di mettere in opera la loro volontà malvagia. Un Cataro di nome Arnaldo era stato bruciato, circa nel 1218, in un luogo in periferia utilizzato per il deposito dei rifiuti. C'era in quel luogo una sorgente che gli eretici hanno colorato di rosso, proclamando che si era miracolosamente trasformata in sangue. Molti di loro, simulando la cecità, la zoppia e la possessione demoniaca, sono stati condotti lì, fingendo di essere curati, dopo aver dissotterrato le ossa dell'eretico e dichiarato alla gente che erano quelle di un santo martire. Le persone sono state animate dall'entusiasmo e hanno eretto una cappella, adorando le reliquie con il massimo ardore. Invano il clero e i frati hanno cercato di arginare la marea: la gente li ha denunciati come eretici, disprezzando la scomunica con la quale i vescovi limitrofi hanno accolto l'adorazione del nuovo santo, mentre gli eretici veri hanno fatto molti convertiti raccontando in segreto come la vicenda fosse stata gestita, e segnalandola come un esempio della produzione dei santi e dei miracoli. 

Dio ha visitato i sacrileghi con una siccità di dieci mesi, che non è
stata interrotta fino a che Luca, a rischio della sua stessa vita, ha distrutto la cappella eretica; e quando è giunta la pioggia c'è stata una repulsione di sentimento popolare che gli ha permesso di espellere gli eretici. Tutto ciò sembrerebbe indicare che gli eretici erano numerosi e organizzati, ma di certo dimostra che non c'erano meccanismi per la loro soppressione; tuttavia dopo l'elevazione di Luca alla sede di Tuy, nel 1239, non si sente parlare più di eretici o di persecuzioni. La vicenda, a quanto pare, era una manifestazione sporadica, probabilmente di qualche banda di fuggiaschi dalla Linguadoca, che scomparve senza lasciare seguito. 

Se ciò che Luca ci dice esser vero, che gli ecclesiastici spesso si univano con gioia al ridicolo con cui gli eretici deridevano i sacramenti e il clero, la Chiesa spagnola non poteva dare molto aiuto all'introduzione dell'Inquisizione. Quanto poco i suoi metodi sono stati capiti risulta evidente nel fatto che quando, nel 1236, San Fernando III ha trovato alcuni eretici a Palencia, ha proceduto a marchiarli in faccia, cosa che li ha portati alla ragione e a chiedere l'assoluzione. Nessuno sembrava sapere che cosa fare di loro, tanto che Gregorio IX se ne è occupato e ha autorizzato il Vescovo di Palencia a riconciliarli. Probabilmente non vi è alcuna verità nella comunicazione di alcuni storici secondo cui il re, in diverse occasioni, è stato costretto a prelevare dai suoi sudditi un tributo di legno con cui bruciare gli impenitenti, e la storia serve solo a mostrare come assolutamente vaghe sono state le concezioni correnti del periodo. 

Passaggi poderosi, robusti, non ci sono dubbi, in grado di evocare in poche parole un'atmosfera livida di ignoranza e di brutture, in stridente contrasto con i tentativi di revisionismo tanto diffusi in questi anni. Se la parola "oscurantismo" non è un mero artificio e ha ancora un senso concreto, direi che è proprio quello atto ad etichettare le disastrose condizioni delle plebi ispaniche del XIII secolo, che definire animalesche è dir poco. 

Questo riporta invece, in modo più sobrio, Jean Duvernoy sulla Spagna (La Religione dei Catari, pag. 23): 

La provincia di Leon è stata guadagnata dal catarismo nei primi decenni del XII secolo. Un chierico della diocesi di Leon, che nel 1239 doveva diventare vescovo di Tuy in Galizia, Luca, scrisse nel 1234 un'opera confusa e di mediocre ispirazione, con numerosi imprestiti a Isidoro di Siviglia ed a Gregorio, ma che, nel suo terzo libro, lascia passare qualche informazione esatta sulle opinioni e le manovre dei suoi avversari. 

Due lettere di Gregorio IX, del 1236 e del 1237, rivelano la presenza di catari a Valencia ed a Burgos, come pure un provvedimento preso contro di loro dal re Ferdinando III. 

La Catalogna, per le fonti come per la storia, si ricollega alla Linguadoca. All'est come all'ovest, in effetti, il catarismo è in Spagna un articolo di importazione. 

E ancora a pagina 82, traendo dall'opera di Luca di Tuy sui Catari di León (De Altera Vita, Adversus Albigensium Errores): 

Alcuni fautori degli eretici, spinti dal diavolo, fecero una statua guercia e
sfigurata della santissima Madre di Dio, e lo spiegavano... dicendo che nostro Signore Gesù Cristo aveva spinto l'umiltà fino al punto di scegliere, per la salvezza del genere umano, la donna più spregevole... Essi finsero di essere sofferenti di diverse malattie, davanti a quella statua, per far sembrare di essere guariti miracolosamente. La voce si spargeva, come se si fosse trattato di un fatto vero, per città e castelli. E molti preti, mossi da fervore, fabbricavano statue di questo genere e le mettevano nelle loro chiese. Allora gli eretici, svelando come stava veramente la cosa, su cui avevano a lungo taciuto, si misero a prendere in giro le folle di gente che accorrevano per devozione verso quell'immagine. 

Reputo interessante citare anche il lavoro di Jack Markwardt (2000) sul cosiddetto crocifisso cataro, un'altra singolare invenzione dei Catari di León prodotta allo scopo di schernire la teologia nicena. L'originale in lingua inglese si trova a questo link: 

L'autore riporta innanzitutto l'esistenza di un gruppo ben organizzato di Catari a León, concordando con H. C. Lea nell'attribuire la loro origine a fuggitivi dalla Linguadoca. Si dilunga poi nella descrizione dell'opera di Luca di Tuy, in cui il canonico spagnolo riferisce di un tipo di crocifisso prodotto dai Catari in un modo insolito per l'epoca. A quell'epoca, il crocifisso ortodosso consisteva di quattro bracci, ossia pezzi di legno che insieme formavano uno stipes verticale, un patibulum orizzontale, un titulus sopra la testa, e un infine suppedaneo che sosteneva il corpo ai piedi. I Catari avevano rimosso proprio il patibulum del crocefisso ortodosso, e stando a Luca di Tuy, l'avrebbero fatto con la maliziosa intenzione di mutilare il segno della croce. A detta dell'ecclesiastico, i bracci del crocifisso costruito in modo tradizionale avrebbero avuto un significato simbolico, rappresentando le quattro regioni della terra e riflettendo il simbolo che aveva ornato le corone imperiali. Per fornire al volgo illetterato la prova di quanto andava affermando, egli arrivò a citare le stigmate di Francesco d'Assisi come prova. Un'altra innovazione che ha destato l'ira di Luca di Tuy è l'uso di tre soli chiodi nel crocifisso, essendo un unico chiodo infilato nei piedi incrociati (raffigurazione che è tipica del crocifisso gotico, oltre che corrispondente al supplizio usato dai Romani). Queste osservazioni spingono Markwardt ad interrogarsi sul motivo che avrebbe spinto i Catari di León a fabbricare un simulacro, arrivando infine a mettere assurdamente in discussione l'idea del Docetismo. Stando a Markwardt, dato che i Catari di León hanno prodotto crocifissi, avrebbero dovuto credere alla reale sofferenza di Gesù Cristo in un corpo fatto di carne e di sangue. Quello che tale autore non riesce bene a comprendere è che il motivo è esattamente lo stesso che li ha spinti a simulare miracoli per combattere contro la belluina ignoranza del popolino e dei canonici. 

mercoledì 15 novembre 2023


ARMANNO PONGILUPO, IL SANTO CATARO 

Correva l'Anno del Signore 1269, 16 dicembre, tre giorni dopo Santa Lucia. Moriva a Ferrara Armanno Pongilupo. Il suo trapasso era avvenuto in odore di santità. Dopo mesi passati nella preghiera, a confessarsi e a ricevere la comunione, il Santo si era spento. Così infatti lo conoscevano ormai dovunque nelle terre di Lombardia, e la sua fama aumentava di giorno in giorno a causa dei molti miracoli che iniziarono a registrarsi. I ciechi giunti al suo sepolcro riacquistavano la vista, gli storpi si rimettevano a camminare dopo averlo pregato. La salma fu tumulata in una cappella del Duomo di Ferrara che presto si riempì di ex voto. Un lussuoso sepolcro fu fatto arrivare da Ravenna per contenere le spoglie del Santo, e si diceva che fosse stato costruito per l'Imperatore Teodosio. A perorare la causa per la santificazione era proprio il Vescovo della città, Alberto, che aveva fama di condurre vita esemplare - cosa che all'epoca per un prelato della Chiesa di Roma era abbastanza eccezionale. 

Ma chi era veramente Armanno Pongilupo? Il suo nome di famiglia (secondo altri era un soprannome) è riportato con diverse varianti: Pongilupo, Pungilupo e Punzilovo. L'ultima forma è chiaramente dialettale, essendo
lovo la forma schiettamente settentrionale corrispondente al toscano lupo. Da una ricerca è risultato che non esiste al giorno d'oggi nessuno in Italia con questo cognome. Entrambi i suoi genitori erano credenti catari, e lui stesso era stato allevato nella religione dei Buoni Uomini. Aveva contratto matrimonio con una donna che era a sua volta di famiglia catara. Nel 1254 era incappato nelle maglie dell'Inquisizione: i Domenicani lo avevano imprigionato e sottoposto a tortura, costringendolo ad abiurare per aver salva la vita. Una volta tornato libero, si era subito recato a Verona dal Vescovo della Chiesa di Bagnolo San Vito, di cui era membro e si era fatto impartire il Consolamentum. Anche la moglie era una Consolata, anche se risulta che ricevette il Sacramento in una diversa circostanza. Pur aderendo formalmente al Cattolicesimo per sviare i sospetti dell'occhiuto apparato burocratico pontificio, Armanno Pongilupo era uno dei membri più attivi della Chiesa Catara: si era distinto nella sua opera di assistenza di credenti e Buoni Uomini prigionieri. 

Se il clero di Ferrara sosteneva Armanno Pongilupo a spada tratta e raccoglieva dovunque testimonianze sulla sua santità, si fece avanti un avvocato del diavolo: un domenicano conosciuto come Frate Aldobrandino. Armanno parlava spesso di lui ai suoi amici, definendolo un lupo rapace e dicendo che aveva fatto scempio del suo corpo: era proprio l'inquisitore che lo aveva sottoposto a torture aberranti per obbligarlo a credere nello sconcio della transustanziazione. Frate Aldobrandino era animato da un odio cieco ed assoluto: come ogni domenicano era programmato per l'annientamento totale del Catarismo, perseguito tramite la cremazione fino all'ultimo Buon Uomo, vivo o morto che fosse. Una determinazione che non aveva nulla da invidiare a quella delle SS, anzi, ancora più malvagia perché non si rivolgeva soltanto ad esseri viventi: perseguitava in egual modo anche i cadaveri! Non per nulla i Domenicani sono chiamati Cani del Signore. Sono infatti uomini perversi, assolutamente maligni, peggiori dei cani feroci. Orbene, questo frate diabolico cominciò a riportare testimonianze di spie e di canaglie, al fine di screditare il Pongilupo. 

L'Inquisizione presentò così ben ventisei capi di imputazione.
Tra questi vi erano i seguenti: 

1) Che egli era un eretico 
... 
4) Che egli aveva affermato che non c'era salvezza nella Chiesa di Roma, ma solo tra gli eretici 
5) Che egli parlava male del corpo di Cristo 
6) Che egli diede e ricevette il Consolamentum da e a eretici secondo il loro rito 
7) Che egli aveva amicizia, familiarità e conversazione con eretici 
8) Che egli diceva cose eretiche, parlando male dei ministri della Chiesa, chiamandoli lupi e demoni perché perseguitavano i Buoni Uomini, cioè gli eretici 
... 
10) Che egli ricadde nell'eresia dopo che egli aveva giurato di obbedire all'Inquisizione 
11) Che egli aveva abiurato l'eresia in precedenza nel 1254 
... 
13) Che egli era un messaggero per gli eretici, prendendo loro pane benedetto da eretici 
... 
16) Che gli eretici vennero da lui a riverirlo dopo la sua morte 

Tra le testimonianze, emersero alcuni toccanti episodi che illustrano quanto Armanno Pongilupo seguisse fino in fondo l'autentica Via degli Apostoli.
  Quando il Consolato Martino di Campitello fu condannato al rogo, proprio a Ferrara, Armanno lo confortò e lo assistette fino all'ultimo, incarnando la pietà dell'Evangelio. Quando i boia lo posero sulla pira, non poté trattenersi oltre, ed esclamò: "Vedete, cosa sono queste azioni, bruciare questo vecchio Buon Uomo! La terra non deve sostenere quelli che fanno tali cose!" 

Il processo si trascinò tra alterne vicende per circa vent'anni. Iniziato nel 1270, si concluse soltanto nel 1288, la sentenza definitiva essendo pubblicata solo nel 1301. I malvagi inquisitori ebbero la meglio sul clero locale e sui devoti del Santo, ed eseguirono l'orrida sentenza. I resti del Pongilupo furono esumati di notte e dati alle fiamme, quindi le ceneri furono disperse nelle lutulente acque del Po. La cappella fu smantellata e tutti gli ex voto distrutti. 

Si ricorda l'eroismo di Donna Spera, damigella del Marchese d'Este. Era una casta credente che, costretta dagli inquisitori a dir male di Armanno Pongilupo, si rifiutò di cedere alle minacce e alla forza bruta, e morì da Martire arsa sul rogo. 

Questo caso illustra come la maligna Chiesa di Roma perseguitò in modo abominevole uomini la cui vita incarnava in modo totale il messaggio di Cristo, non esitando a macchiarsi dei crimini più atroci e delle colpe più indegne pur di far valere il suo potere infame, che è la Prigione di Ferro Nero. Gli atti del processo furono resi noti nel XVIII secolo da Ludovico Antonio Muratori, che però non può aver merito - in quanto si macchiò di una colpa innominabile, componendo opere piene dell'odio più belluino verso la Vera Chiesa di Dio. Egli osò chiamare Armanno Pongilupo "faina" e coprirne il ricordo di contumelie. Questo modo di esprimersi verso le vittime del carnefice pontificio, del tutto ingiustificato, dimostra soltanto la natura non umana dell'autore, appartenente al Creatore Malvagio anima e corpo. 

Come ultima cosa, faccio notare come molte fonti pur autorevoli riportano erroneamente come data di morte di Armanno Pongilupo il 26 dicembre, e tra queste c'è anche Grado Merlo. Mi trovo costretto ad emendare questo errore, forse nato dalla singola cattiva battitura di un numero e poi propagatosi a dismisura. Fanno fede le testimonianze della successione di miracoli attestati nel corso del 1269 e all'inizio del 1270: 

19 dicembre: Madonna Nova, figlia di Mainardino da Maderio, e moglie di Giovannino da Achille, della parrocchia di Santa Maria in Vado, Ferrara, ha giurato alla presenza del Sire Alberto, Vescovo di Ferrara, e dei Signori Federico, arciprete, Ferrarino, canonico, e del nobile Aldigerio Fontana, di Petrocino Menabuoi, di suo figlio Pietro e di molti altri, di dire la verità a proposito della sua infermità e della sua cura, confermando sotto giuramento, che ella ha sofferto per circa nove anni nel suo occhi destro e che da circa otto giorni la tumefazione e il dolore in quell'occhio sono cresciuti, al punto che ella non poteva più vedere. E oggi è venuta di persona alla cattedrale, dove giace il corpo di Armanno, l'Uomo di Dio, e tre volte con devozione si è inginocchiata davanti alla sua tomba, devotamente pregando Dio Padre, affinché attraverso i meriti di Armanno potesse curarla della sua infermità e restituirle la vista. Avendo detto ciò, ella fece un'offerta e presto la tumefazione è svanita ed ha recuperato la vista. 

Lo stesso giorno, alla presenza della sopracitata testimone, Gisla, vedova di Castellano, della parrocchia di Santa Maria in Vado, una testimone giurata, ha detto sotto giuramento che aveva conosciuto Nova da sette anni, e che aveva visto l'afflizione del suo occhio. 

20 dicembre: Gisla, in precedenza di Lendinara, moglie di Stefano da Villanova, che vive nella parrocchia di Borgonuovo, ha giurato alla presenza del Signor vescovo, del Sire Federico arciprete, di Amedeo e di Ferrarino canonici, del cappellano Alberto e del mansionario Cossa, e su giuramento ha detto che per diciotto anni è stata storpia nel suo braccio destri, fino a oggi, e che non era in grado di sollevarlo fino alla bocca, e neppure di stringere qualcosa. E oggi ha fatto voto a Dio e al Beato Armanno che offrirà sulla sua tomba un braccio di cera e una candela della forma di una donna anziana, e che durante la sua vigilia digiunerà per il resto della sua vita a pane e acqua, e veglierà sulla tomba quella notte. E, avendo formalmente fatto questo voto, essa è venuta alla tomba del Beato Armanno e ha vegliato tutta notte in pura devozione e reverenza. E questa mattina, mentre il corpo di Cristo veniva elevato dal prete della cattedrale, Gisla, che era ancora lì, stette in reverenza ed ha alzato entrambe le sue braccia ed è stata liberata dall'infermità. 

28 dicembre: Marinello, calzolaio di Boccacanale, ha giurato alla presenza del Signor Vescovo e dei Signori Federico arciprete,  Ferrarino e Amedeo canonici, e ha pronunciato un giuramento affermando che per diciotto mesi egli era immobilizzato a causa della gotta, dai suoi lombi ai piedi, finché non è passata la vigilia di Natale. Con difficoltà era in grado di girarsi nel letto, ed era molto tormentato nelle gambe e nelle anche, e non aveva remissione né di giorno né di notte. La vigilia di Natale, prima dell'alba, egli è stato portato alla tomba del Beato Armanno, ed è stato là supplicando in devozione tutto il giorno fino all'ora nona, pregando Dio di guarirlo dalla gotta, tramite i meriti del Beato Armanno. Quando la campana ha suonato, egli si è sentito libero dal dolore alle anche e alle gambe, e ha cominciato a camminare liberamente e senza bastone, cosa che prima non era capace di fare. 

Gennaio 1270: Madonna Candiana, moglie di Petrocino di Mazzo della parrocchia di San Romano, Ferrara, alla presenza del Signor Vescovo e di molti altri, chierici e laici, ha giurato di dire la verità a proposito dell'infermità e alla guarigione di sua figlia Tommasina, di due anni, che è stata mostrata al Signor Vescovo. Sotto giuramento ella ha confermato che sua figlia è stata per quattro mesi afflitta da ulcere multiple su entrambi i lati delle sue anche, cosicché era disperata di poter avere remissione. E così elle è rimasta afflitta fino a che la vigilia di Natale non fu passata. A questo punto Candiana ha votato la sua bambina a Dio e al Beato Armanno, promettendo che se fosse stata guarita, avrebbe portato alla sua tomba un'immagine di cera con le sue fattezze. Avendo fatto questo voto, il giorno di Natale Tommasina è stata liberata, le ulcere sono state guarite. Ed ella ha mostrato le ulcere, che sono apparse totalmente guarite, al vescovo e a un gran numero di persone. 

Lo stesso giorno, Mastro Enoch, medico e cittadino di Ferrara, come testimone giurato, ha asserito sotto giuramento che aveva avuto in cura quella bambina, figlia di Candiana, che era lì presente, e che aveva fatto di tutto per oltre un mese per liberarla e guarirla. Ed egli sapeva per certo che era afflitta da terribili dolori a causa delle ulcere. Quando egli ha visto che la sua infermità era incurabile, l'aveva scaricata e abbandonata, dicendo alla madre della bambina di fasciarla e fare il meglio che potesse. E questo avveniva proprio prima che il Natale fosse trascorso. 

Mi auguro di cuore che la città di Ferrara presto erigerà un monumento ad Armanno Pongilupo, anche se le sue vere fattezze ci sono sconosciute. 

Chi vorrebbe distruggere lo Spirito non può distruggere il Ricordo...

sabato 11 novembre 2023


I GLORIOSI MARTIRI DI MONTSÉGUR
 
Una luce imperitura nell'Inferno del mondo 

Montségur è un piccolo paese dell'Ariège famoso in tutto il mondo per il suo castello, sito a 1207 metri sul livello del mare. Il suo nome deriva dal latino Mons Securus, ossia Monte Sicuro, e deve la sua ragione al fatto di descrivere un sito difficilmente accessibile: si trova proprio sulla cima di un'altura rocciosa (pog in lingua occitana). Fu il teatro dell'estrema resistenza dei Catari in quell'impervia regione dei Pirenei, il simbolo stesso della fulgida e irriducibile lotta di una Fede pura condannata dai poteri maligni delle nazioni. 

I castelli pirenaici furono progettati come luoghi di guardia, ed erano formati da singole torri edificate su dirupi inespugnabili. Erano adatti all'invio di segnali luminosi, che potevano essere scorti anche a grande distanza. Il questo modo nacque Montségur, senza alcun particolare di rilievo rispetta a molte altre fortezze della regione. In un secondo tempo, intorno alla torre sorsero le mura, atte ad offrire rifugio a guerrieri e alla popolazione civile. Fu così che questa torre originaria fu chiamata
mastio (maschio), mentre venivano aggiunte sempre nuove strutture abitative e di stoccaggio di generi alimentari.


Non si deve dar credito alle voci che vogliono il castello di Montségur come luogo di un improbabile culto del Sole ereditato da un remoto passato celtico. Il Catarismo riteneva la luce del sole come un elemento temporale al pari di ogni altra componente dell'universo materiale, quindi opera di Satana. Qualcuno ha ipotizzato la sopravvivenza nella zona di comunità pre-catare, parlando di residui di Druidismo o addirittura di Manichei sopravvissuti dall'epoca imperiale. ma non si hanno testimonianze attendibili a questo proposito, cosicché queste voci vanno relegate al rango di mere illazioni. Montségur divenne un estremo avamposto del Catarismo nel terzo e nel quarto decennio del XIII secolo, quando molti Buoni uomini in fuga dall'Inquisizione vi furono accolti assieme a cavalieri erranti e a feudatari i cui beni erano stati espropriati dalla Chiesa di Roma per le loro simpatie eterodosse.  


La situazione precipitò nel 1242, quando il 28 maggio ad Avignonet due inquisitori furono assaliti di notte e massacrati a colpi di scure con il loro seguito. Da quello che fu accertato, gli incursori che avevano ucciso i frati oppressori provenivano proprio da Montségur. Questa temeraria impresa ebbe un grandissimo impatto, e diede speranza al popolo occitano di liberarsi dal giogo straniero. Sorsero focolai di ribellione spontanea, ma la repressione fu durissima. A causa delle complicità del potere dei feudatari, il Conte di Tolosa Raimondo VII fu umiliato e scomunicato. Sotto la minaccia di una nuova e devastante crociata, i nobiluomini dovettero chinare il capo al potere del Re di Francia. Il destino di Montségur era segnato.

Riporto a questo punto un dettagliato resoconto del funesto assedio alla roccaforte dei Perfetti, preparato con grande cura dalla carissima Krak, che ringrazio di cuore:

- Nel maggio 1243, appena 15 giorni dopo la chiusura del concilio di Béziers, che decretò la definitiva e orrenda condanna a morte per il popolo Cataro, Ugo di Arcis, siniscalco di Carcassonne, condusse alcune centinaia di cavalieri francesi nella valle dell'Ariège, ai piedi della rocca di Montségur. Il castello, edificato in una posizione inacessibile, appariva conquistabile solo con un lungo assedio, lo si poteva prendere solo nel modo più orrendo ovvero per fame e per sete. L'abbietto siniscalco non aveva fatto i conti con l'astuzia e l'eroismo del popolo Cataro. La difesa della fortezza era affidata ad una guarnigione composta da un centinaio di uomini, tutti di fede Catara, tra cui alcuni cavalieri con i loro scudieri, sergenti e soldati, comandati dal signore del luogo, Raimondo di Perella, al quale era alleato un altro signore, Pietro Ruggero di Mirepoix. A queste forze regolari si aggiungevano circa 200 perfetti pronti a morire per la loro fede. Erano inoltre presenti il vescovo tolosano Bertrando Marty, quello del Razès, Raimondo Aguilher, e alcuni diaconi. Montségur era costituita principalmente da un maschio il cui pianterreno comprendeva una sala di circa cinquanta metri quadrati,contiguo ad una vasta cinta muraria di più di 500 metri quadri, in cui si trovavano i magazzini, le scuderie, le sali d'armi e le camere dei difensori.

L'estate del 1243 fu eccezionalmente calda e trascorse senza combattimenti, i difensori se ne stavano al fresco dietro le grandi mura mentre i "crociati" vagavano attorno alla fortezza in cerca di un po' d'ombra. In questi mesi le fila dell'esercito assediante aumentarono fino ad arrivare ad un numero esorbitante, si parlò di 10 mila effettivi. Ciò divenne un problema per gli approvvigionamenti, razziati costantemente nei villaggi vicini. Si diffuse il malcontento tra la popolazione, costretta ad alimentare suo malgrado un esercito invasore per cui non nutriva nessuna simpatia.

Quando iniziò a fare meno caldo, nel mese di settembre, vi furono brevi combattimenti all'esterno delle mura della fortezza.L'inverno si stava avvicinando e divennero sempre più frequenti le diserzioni nelle truppe francesi.

In ottobre Ugo di Arcis impiegò un distaccamento di mercenari baschi, uomini abituati agli scoscesi sentieri di montagna. Riuscirono a salire fino alla rocca, sulla stretta piattaforma sulla cresta orientale, poche decine di metri sotto il castello. Durante un combattimento persero la vita eroicamente il sergente Cataro Guiraud Claret e un cavaliere.

In novembre l'esercito francese ricevette nuovi rinforzi dal vescovo di Albi, Durando. Sotto la sua guida, sulla piattaforma fu costruito un potente marchingegno per lanciare pietre. Cominciò così un feroce bombardamento sulla palizzata di legno che proteggeva gli accessi al castello. Verso Natale i francesi riuscirono a raggiungere la torre orientale, attraverso uno stretto passaggio tra le rocce, suggerito da un infame abitante delle campagne circostanti. In gennaio alcuni seguaci dei Catari che vivevano in pianura inviarono loro un artigliere, Bertrand de la Vacalerie. Egli riuscì a scalare il picco di Montsegur senza essere visto dagli assedianti e sistemò in un barbacane una petraia efficiente quanto quella dei cattolici. Fu deciso d'inviare, un drappello di soldati esperti a distruggere la macchina da guerra. Nottetempo gli infami servi di Roma si arrampicarono giungendo ad un posto fortificato, collocato su un angolo della montagna. Sgozzarono all'istante le povere sentinelle, s'impadronirono del forte e senza alcuna pietà passarono a fil di spada tutti. I duelli di artiglieria, i tentavi di assalto degli assedianti durarono fino alla fine del mese di febbraio 1244.

All'alba del 28 febbraio 1244, quando ancora non si era levato il sole, Raimondo di Pereilla e Pietro Ruggero di Mirepoix, che avevano diretto giorno e notte, l'indomita difesa del castello, comparvero sulle mura e diedero l'ordine di suonare il corno... Era la dolorosa resa.

Per decenni quella fortezza protesa verso il cielo aveva rappresentato la loro nostalgia di anime imprigionate in un corpo di carne e sangue, mi inchino con rispetto e onore agli eroici e valorosi difensori di Montségur e della fede Catara. -
Saluti
Krak


Le condizioni della resa comportavano la restituzione degli ostaggi, l'incorporazione della fortezza nelle proprietà della Chiesa Romana, il perdono per chi avesse abiurato e il rogo per chi fosse rimasto fedele alla religione Catara. Non solo i Perfetti si rifiutarono di abiurare, ma i cavalieri e le guardie chiesero di ricevere il Consolamentum, ben sapendo che ciò avrebbe comportato un'atroce agonia tra le fiamme. 

Il 16 marzo 1244 fu eretta un'enorme pira con la legna delle case distrutte in cui i Catari avevano abitato, in ottemperanza alla legge ecclesiastica che imponeva la distruzione delle dimore dei dissidenti religiosi. I Martiri di Montségur non ebbero un solo attimo di esitazione: si consegnarono alle fiamme intonando le preghiere, a testa alta, incontrando serenamente la morte. Se per il fariseo e per l'uomo mondano l'Angelo della Morte è terrore e desta tremito nelle membra alla sola menzione del suo nome, per il Cataro è invece un messaggero di liberazione: la cessazione dell'esistenza terrena porta al Consolato la fine dell'Esilio. Questo eroismo è quanto di più nobile e splendente possa essere concepito, un faro che irradia in mezzo alla densa tenebra dell'iniquità universale. Finché esisteranno esseri umani, che possa conservarsi nei cuori il ricordo di questi prediletti del Dio dei Buoni Spiriti! 

giovedì 9 novembre 2023


NEMESI DI UN GENOCIDA 
 
Dal 1209 l'avanzata del Conte di Leicester Simon de Montfort e dei suoi eserciti era stata inarrestabile, e aveva portato con sé solo sterminio e devastazione in Linguadoca. La conquista del territorio progrediva anno dopo anno attraverso quella che può ben essere chiamata Guerra dei Castelli. Moltissime fortezze sono state sottoposte ad assedio, finendo con l'essere espugnate. I loro nomi corrispondono a stragi inaudite e a roghi di massa: Agen, Albi, Birou, Bram, Cahusac, Cassés, Castres, Fanjeaux, Gaillac, Lavaur, Limoux, Lombez, Minerve, Mirepoix, Moissac, Montégut, Montferrand, Montréal, Pamiers, Penne, Puivert, Saint Antonin, Saint Marcel, Saverdun, Termes. Ovunque i Perfetti affrontarono serenamente le fiamme, testimoniando la loro vittoria sulle miserie del mondo materiale. 

Dopo la terribile e sfortunata battaglia di Muret, nella quale trovò la morte l'eroico Pietro II di Aragona, la potenza di Montfort raggiunse il suo apogeo. Nel 1215 Tolosa fu invasa dalle truppe dei Francesi e la popolazione promise obbedienza al suo nuovo signore. 

Occorre dire qualcosa sulle differenze tra il feudalesimo della Linguadoca e quello delle terre del Settentrione.
Per le genti occitane, il vincolo tra una popolazione e il suo signore era una Convenenza, cioè un patto stipulato da ogni singolo individuo nei confronti del potere che serviva. La natura reciproca della lealtà che questo rapporto comportava era indicata con il termine Parage. Invece per i Francesi il patto feudale era tra la comunità nel suo insieme e il signore, che non aveva quindi nessun obbligo nei confronti dei singoli individui e poteva pertanto comportarsi come uno schiavista. La più sanguinaria e iniqua di tutte le Crociate, l'unica che oppose cristiani ad altri cristiani, mise in risalto le insanabili differenze tra la cultura settentrionale e quella meridionale. È stato più volte notato come non potesse esserci alcuna comprensione tra gli Occitani e i Francesi. 

Il tiranno Montfort non poteva assolutamente capire cosa
l'obbedienza volontaria dei Tolosani potesse significare. Sospettava dovunque tradimenti e complotti. Così non tenne in minimo conto l'umanità dei suoi sottoposti, e iniziò a umiliarli, a spogliarli, a deportare i notabili e ad ucciderli. Questo provocò la reazione delle genti di Tolosa. Di fronte alla rapace crudeltà del feudatario normanno non poteva esistere parola di un qualche valore. Ogni vincolo fu così automaticamente considerato decaduto ed ebbe inizio l'insurrezione. Raimondo VI, l'antico signore della città, venne richiamato, e i crociati iniziarono subito l'assedio. 

Riporto a questo punto la splendida e toccante narrazione della carissima Krak, che ringrazio di cuore per questo suo contributo: 


Nell'estate del 1217, facendo rientrare Raimondo VI il Vecchio dalla Spagna, il Dio dei Buoni Spiriti vegliò sulla regione di Tolosa. Il nobiluomo venne accolto calorosamente dal Conte di Comminges, con il quale aveva già combattuto contro Montfort e da altri signori, tra cui il giovane conte Ruggero Bernardo di Foix e Aimerico di Castelnau. 
Qualche mese dopo, nel settembre dello stesso anno, indomito conte, alla testa del suo esercito avanzò verso Tolosa. I cavalli nitrirono l'eco del loro galoppo si propagò nella valle. A La Servetat l'avanguardia si scontrò con un gruppo di sostenitori dell'orrido Montfort. Nel giro di pochi minuti si scatenò una gran mischia. Nei prati s'ingaggiarono feroci corpo a corpo. Da entrambe le parti si fendè, si fecero a pezzi i nemici e li si sgozzò. Alla fine ebbero la meglio gli uomini di Raimondo. Marciando a tappe serrate proseguirono il loro cammino. Approfittando dell'assenza di Montfort l'esercito del conte di Tolosa entrò in città. La popolazione ebbra di felicità corse ad accoglierlo urlando - "Fuori dalle mura, soldatacci del signor Ipocrita! (Montfort). Fuori, la sua brutta razza e la sua brutta genia! Ormai Dio ci ama e il nostro conte esiliato torna da noi. Gloria a lui! Gloria ai suoi cavalieri! Gloria ai prodi di Tolosa!"-. E ognuno, impugnando bastoni, coltelli, lance e pietre, andò per le strade, a braccare i francesi, che stanati vennero fatti a brandelli. Era da così tanto tempo che i tolosani aspettavano il momento di scuotere il giogo dell'uomo che aveva rubato il titolo a Raimondo VI. Avvertito da un messo fece rientro in città Guido, figlio dell'infame conte. Immediatamente gli squadroni si disposero in ordine di battaglia, suonarono le trombe, brillarono le spade _ "Il Conte di Foix si batte come un lupo... Giavellotti, mazze d'arme, spade dal filo tagliente, pietre frecce appuntite e quadrelli di balestre piovono come mortali chicchi di grandine... molti soldati crociati cadono nella polvere, la schiena spaccata le membra a pezzi..."-. Al calar della sera la battaglia era conclusa il nobile e valoroso conte Raimondo aveva vinto. I difensori radiosi trascinarono i loro prigionieri per le strade e li impiccarono con corte corde agli alberi.  

Così appellerà la loro sconfitta Guido di Montfort (fratello di Simone)-"... i Tolosani non hanno forse un giorno chiesto grazia, l'avete dimenticato? Se mio fratello avesse avuto una qualche vera nobiltà e avesse loro aperto le braccia invece di fare il tiranno sanguinario, non saremmo a questo punto..."-. 
 
Dopo aver cavalcato giorno e notte il messaggero partito dalla città giunse nella valle della Drome dove si trovava l'infame Montfort. Egli venne a conoscenza dell'eroico arrivo di Raimondo. Appresa la notizia l'ignobile conte fece radunare l'esercito e marciò verso la Linguadoca. Rivoleva la città ad ogni costo. Cavalcò giorno e notte senza sosta. A Baziége incontrò il cardinale legato Bertrando, uomo assai crudele -" ...da quando l'ha ripresa il suo antico signore, Tolosa si crogiola nei peccati dell'inferno. Schiacciatela senza pietà e farete cosa gradita a Dio. Prendetela saccheggiatela... uccidete senza quartiere, nel più profondo delle chiese, degli ospedali, dei luoghi sacri, uccidete, messer conte...non vi è alcun innocente in questa città, potete senza scrupolo insanguinare le vostre armi"-. Queste parole criminali del legato scateneranno il massacro. Sopra i bastioni, gli arcieri, al riparo di strette feritoie, prepararono le freccie, in basso le donne spingevano pesanti carriole cariche di pietre, sulle mura fluttuavano al vento gli stendardi dorati della casa di Tolosa e quelli vermigli di Comminges. I due eserciti si trovarono l'uno di fronte all'altro, a malapena separati dalle lizze e dai fossati che circondavano la città. Montfort e i suoi furono accolti da una pioggia di proiettili scagliati con l'ausilio di potenti petriere. Dritto in piedi sui bastioni, il conte Bernardo di Comminges reclamò una balestra, venne preparata, consegnata, la caricò con un appuntito dardo d'acciaio, mirò lentamente al cavaliere nemico che comandava l'attacco, che altri non è che Guido di Montfort, scoccò la freccia che trapassò il petto del soldato da parte a parte, nonostante l'usbergo. "...eccovi il benvenuto nella mia contea..."-. "Dappertutto non vi sono che armature e scudi spezzati, cavalieri con smorfie di dolore, fianchi squarciati, braccia e mani spezzate, gambe recise dal corpo, petti trafitti, elmi tutti ammaccati, carni a pezzi, tritate, teste che si perdono gli occhi, rivoli di sangue che zampillano da piaghe vive... Il campo è rosso e bianco di crani spaccati..."- L'ignobile Montfort finalmente scoprì l'amaro sapore della sconfitta. Nella sua tenda schiumò di rabbia.Convocò immediatamente un consigio di guerra... Tra i suoi fedelissimi parlò Alano di Roucy -"... l'arroganza, la superbia, la sete di potere hanno mutato gli angeli in serpenti... il desiderio di vendetta, il disprezzo che avete per la gente, il vostro orrore per il perdono e gli oscuri demoni all'opera nella vostra anima... Pare che il nostro Divino Padre che governa il mondo detesti fortemente la vostra malvagia idea di distruggere Tolosa e massacrarne la popolazione. Il signor cardinal ci vuole convincere a essere duri, feroci spietati. Combattete ci dice, senza curarvi della morte, vi prometto in Cielo assoluta beatitudine! Mille grazie, monsignore, di trattarci come santi. Ci volete in gloria? Ne siamo commossi: Ma siete troppo buono... Davvero troppo: tutti sanno che i beni dei defunti vi finiranno in tasca. E allora che Dio mi perda... se rischierò nuovamente il mio sangue per questa città"-. Per il siniscalco Gervasio, attaccare Tolosa che trabocca di valorosi, con un esercito di sciancati come quello di Montfort che aveva appena perso 160 uomini e lamentava altrettanti feriti era pura follia. Propose di chiudere tutte le vie d'accesso alla città e di costruire una nuova fortificazione. Sin dal giorno dopo ci fu grande attività al campo degli assedianti. Dopo mesi di lavoro, verso la fine del 1217, venne alla luce la "Nuova Tolosa". Conclusa l'"opera" i baroni francesi fremevano per una nuova incursione. All'alba di un freddo mattino di febbraio del 1218 i cavalieri di Montfort si prepararono ad agire. I soldati di guardia alla città dettero l'allarme. Cavalieri e soldati balzarono dal letto, afferrarono le armi e si precipitarono in strada. Ovunque risuonavano le trombe, si brandirono alti gli standardi della casa di Tolosa, il cui esercito guidato dal valoroso Bernardo di Comminges, uscì dalle porte della città. Monfort accompagnato dal figlio spronò i suoi alla carica.-"... I francesi cercano di protteggersi dal diluvio di spade, cadono nei fossati sotto i colpi massacranti, o scappano in un fuggifuggi generale, abbandonando i morti...la mischia si scioglie. Non v'era arto nè corpo che non sanguini o soffra, o zoppichi, o gema. Gli uomini di Tolosa ritornarono ai loro bastioni cantando allegramente vittoria..."-. Montfort incredulo rientrò al Castello Narbonese. Trascorsero i mesi e a poco a poco finì l'inverno. Nell'aprile 1218 mentre gli assedianti tenevano un consiglio di guerra, gli assediati si piazzarono davanti al campo dei "crociati". Vedendoli smisero di discutere e si spaventarono, tutti presero le armi e indossarono la corazza. In pochi istanti il suolo si ricoprì di brandelli di carne, teste che rotolavano sanguinanti e budella sparse.-" Le folle nemiche con gran fragore si mescolano...numerosi cavalieri giacciono a Montoulieu, sul periglioso prato dove l'erba è più rossa di sangue nuovo..."-. Gli scontri durarono per tre o quattro settimane. Giunsero dei nuovi rinforzi tra le fila dei "crociati". L'ultimo assalto era imminente. I Tolosani tennero un consiglio plenario per organizzare la difesa. All'alba il mostruoso Montfort fece svegliare i baroni, che si equipaggiarono e si dispiegarono nei campi circostanti. Suonarono i corni. I difensori dietro i merli, osservarono i francesi, divisero le loro forze in due compagnie uguali una comandata dal conte di Comminges che doveva proteggere le mura e le lizze di difesa l'altra sotto gli ordini di Ruggero Bernardo di Foix uscì dalla città e si appostò sugli argini della Garonna. Ben presto s'ingaggiò battaglia. Gli eroici difensori resistettero, scompaginando le fila nemiche, che si dettero alla fuga. Nelle settimane successive seguirono consigli di guerra da entrambe le parti.  


Poi la mattina del giorno di san Giovanni Battista, il crudele Montfort si vestì da capo a piedi e s'apprestò a dare l'assalto. -" Comincia il grande assalto. Quando l'astro del giorno si leva al di sopra delle lontane montagne, si legge l'angoscia sui volti degli abitanti di Tolosa. Durante la notte, di ritorno dall'Aragona, era entrato con discrezione nella città, il giovane conte Raimondo VII. Una gioia immensa invase i tolosani vedendo in lui colui che abbatterà la belva feroce. Subito ingaggiò battaglia sulla sponda sinistra della Garonna incalzò, malmenò gettò in acqua molti francesi...alla fine i "crociati" malconci si ritirano per l'ennesima volta. Montfort riunì di nuovo i suoi baroni. L'indomani mattina all'alba risuonarono le trombe e le chiarine i suoi soldati spinsero la gatta col suo trabocco sotto le mura della città. Prontamente i difensori partirono al contrattacco bombardando la macchina da guerra. Un primo proiettile, fendè l'aria e si abbattè sul tetto di legno devastandolo. Il malefico conte diede l'ordine di ritirata ma era troppo tardi una seconda palla la distrusse completamente. Nel campo dei tolosani, Roberto di Salventine tirò le somme della giornata"... i pedoni sono stati sistemati sulla scacchiera e dobbiamo dare scaccomatto... sapremo presto chi regnerà domani sul trono tolosano... avanti compagni è la nostra ultima battaglia... e quando domani qualcuno dirà Tolosa, si odrà Onore..."-. Alla nuova alba gli assediati sono i primi ad alzarsi e ad attivarsi. I balestrieri e gli arcieri corrono ai fossati e alle lizze. È la battaglia finale.... I difensori escono da dietro le mura repentinamente le loro mazze, le loro lance e le spade vibrarono sull'elmo dei cattolici. -"... tenete ferme le armi...colpite ai garretti...morte al potere diabolico". La zuffa è generale, i baroni francesi uscirono dai loro ripari, precipitandosi a cavallo nella mischia. Mani, teste, braccia cadono nella polvere arrossata dal sangue vermiglio degli agonizzanti. Monfort si trovava al castello Narborese, uno scudiero andò a cercarlo"... la devozione vi rovina... piombate nel disastro: i tolosani massacrano i vostri baroni. Se dura questa carneficina per voi è la fine..."-. L'orrido conte impallidì. Arrivarono alcune centinaia di soldati ne prese la testa suonarono i corni e le trombe. Un arciere, appostato su un parapetto, scorse Guido di Montfort, tese l'arco e lo colpì al fianco sinistro. Il dardo trafisse la veste, conficcandosi nella carne, il sangue gli sgorgava copioso colandogli sulle braghe. Agonizzante si diresse verso il fratello. Nel frattempo alcune eroiche donne di Tolosa, che manovravano una petriera sul cammino di ronda, videro Montfort e tirarono in quella direzione - "La pietra cadde direttamente dove occorreva; essa colpì il conte sull'elmo d'acciaio così forte che gli spezzò gli occhi, il cervello, i denti di sopra, la fronte e le mascelle; il conte cadde a terra molto insanguinato e livido"-


Il mostro era morto... il Dio dei Buoni Spiriti aveva vegliato su Tolosa. Mi inchino con profondo rispetto agli eroici difensori di Tolosa e della Fede Catara. - 
Saluti 
Krak 

La morte di Simon de Montfort segnò la disorganizzazione dei crociati. Il comando della guerra passò a suo figlio Amaury, che non aveva il suo fanatismo e la sua determinazione. La Chiesa Catara a Tolosa mantenne la sua struttura ben salda, al punto che ancora nel 1226 il Vescovo Bernard de Lamothe riunì nel Concilio di Pieusse un centinaio di Perfetti ed istituì la diocesi di Razès. 

Si può vedere da tutti questi eventi che il Catarismo non ha mai predicato l'accettazione passiva degli eventi, la rassegnazione e l'inattività, come molti detrattori ancora credono. 

I Buoni Uomini non incitavano mai alla violenza e alla guerra, ma al contempo è sempre stato dovere dei Credenti difendere la Chiesa di Dio dall'assalto delle forze del mondo, anche impugnando le armi e combattendo. In questo compito, molte vite sono brillate di una gloria che non conoscerà tramonto.

martedì 7 novembre 2023


LA BATTAGLIA DI MURET 

Non di rado gli eventi cruciali che determinano l'essenza più profonda di una civiltà non sono conosciuti al grande pubblico. Solo per fare un esempio, tutti sanno cos'era il Sacro Romano Impero, meno note sono le operazioni belliche di Carlo Magno contro i Sassoni, che sole hanno potuto permetterne la formazione. Secondo il criterio di uno storico, uno scontro armato non si dovrebbe essere giudicato unicamente dal numero di morti o dall'impatto sulla memoria collettiva, ma anche e soprattutto dalle sue conseguenze. Spesso incontrollabili, gli eventi mossi possono arrestare processi culturali in atto o al contrario promuoverli. 

Tra le più importanti battaglie del Medioevo, se ne menziona una che determinò la sconfitta della Linguadoca e innescò l'inarrestabile declino del Catarismo in Occidente: la battaglia di Muret, che fu combattuta il 12 settembre 1213. 

Muret è un borgo molto antico, situato sul versante orientale dei Pirenei, non lungi da Tolosa. Chiamato Mureth in guascone, la sua etimologia è sconosciuta e affonda le sue radici in un'oscura epoca preromana. Agli inizi del XIII secolo, la religione dei Buoni Uomini vi aveva messo radici molto salde: si pensa che a quell'epoca nel Tolosano la maggior parte della popolazione vi aderisse. Quei territori erano possesso feudale dei Conti di Tolosa, vassalli dei Re di Aragona, e tramite questo vincolo feudale, aveva luogo una potente espansione catalana in Occitania. Va detto che per lingua e cultura i due paesi erano molto simili tra loro: il catalano è una lingua sorella dell'occitano, ad essa collegato da moltissime caratteristiche comuni sul piano fonetico, morfologico e lessicale. 

La battaglia del 1213, svoltasi nel corso della terribile Crociata contro gli Albigesi, ebbe tra le conseguenze quella di porre fine all'egemonia aragonese a nord dei Pirenei, in quanto vi trovò la morte Re Pietro II di Aragona. 


Pietro II di Aragona nacque nel 1174 e fu anche detto Pietro I come Conte di Barcellona. Suo padre, Alfonso il Casto, era stato Re di Aragona prima di lui. Sua madre, Sancha di Castiglia, era figlia del Re di Castiglia Alfonso VII. 

Nel 1196 ereditò il trono e la Contea di Barcellona, e appena un anno dopo emise un decreto di persecuzione contro gli eretici.
Chiunque fosse riconosciuto come dissidente religioso aveva soltanto due scelte: lasciare il Regno o perire tra le fiamme del rogo. Nel 1204 si recò a Roma per essere incoronato dal Pontefice, quell'Innocenzo III che di lì a pochi anni avrebbe decretato la guerra di genocidio. All'atto dell'incoronazione, Pietro II giurò obbedienza al Papa. Non si trattava di un atto senza alcun valore o impegno, come gli omaggi che gli attuali politici tributano tutti i giorni al Vescovo di Roma, conducendo poi vite del tutto incompatibili con i princìpi che il Papato stesso dice di rappresentare. Pietro II dovette riconoscere il potere feudale del Papa, pagandogli un tributo, e impegnandosi ad estirpare ogni eresia dai suoi domini. Fu detto quindi il Cattolico e il Difensore della Fede, perché gli fu attribuito il compito di lottare contro i Musulmani. 

Fatte queste premesse, è necessario aggiungere che Pietro II non considerava affatto i Catari come eretici, e non intendeva quindi perseguitarli in alcun modo.
Quando la Chiesa di Roma affermò invece la natura eterodossa del Catarismo, ritenendolo oggetto di persecuzione, il Re di Aragona si rifiutò di sottoscrivere quest'opinione e di procedere di conseguenza. Nella regione di Tolosa giunse Domenico di Guzmán con molti altri predicatori inviati dalla Chiesa di Roma, e ne nacquero gravi tensioni. 

Quando iniziò la funesta crociata, Simone di Montfort iniziò a insanguinare le regioni del feudo di Trencavel, espugnando Béziers e Carcassonne. Pietro II cercò di ristabilire la pace. Assicurò una tregua, quindi cedette le terre dei Trencavel a Simone di Montfort e accettò di combinare un matrimonio tra una figlia del Conte di Leicester e il proprio figlio Giacomo. Neppure questo fu in grado di assicurare una pace duratura. 

Il Re di Aragona dovette impegnarsi in una guerra contro il Califfo degli Almohadi, Miramamolin. Riuscì a coalizzare tutti i sovrani cristiani della penisola Iberica, e nel 1213 a Las Navas le armate del Califfo subirono una disfatta completa. A questo punto gli giunse voce che Simone di Montfort aveva ripreso la sua opera sanguinaria in Linguadoca, devastando le terre di Raimondo di Tolosa. Innanzitutto informò il Pontefice di quanto stava accadendo, e questi non se la sentì di ignorare un simile campione del Cattolicesimo. Così fece pressioni per tenere a freno le orde crociate, arrivando persino ad impedire provvisoriamente la predicazione antiereticale.
Subito il diabolico Legato Pontificio Arnaud Amaury e Simone di Montfort si misero all'opera per rimuovere gli ostacoli che erano stati messi sul loro cammino iniquo: furono capaci di convincere Innocenzo III che il Re di Aragona agiva sotto l'influsso del Demonio e faceva di tutto per difendere l'Eresia. 

Il Pontefice di rimando ingiunse al sovrano iberico di abbandonare il Tolosano e di non intromettersi più nella crociata per nessun motivo. Non ottenne il risultato sperato.
Pietro II di Aragona decise di scendere in campo. 


Seguiamo gli eventi di quel lontano 1213 attraverso l'intervento della carissima amica Krak:

- All’inizio del 1213 cominciano ad ingrossarsi le fila dei “crociati”. Nel mese di febbraio Luigi, figlio maggiore del re di Francia Filippo Augusto, decise anch’egli d’intervenire a fianco di Simone de Montfort. Nel contempo, anche Pietro II, re di Aragona, scese al fianco di Raimondo VI e dei suoi vassalli, i Conti di Foix e di Comminges, con lo scopo di difendere la memoria de defunto Conte Trencavel e di riprenderne i possedimenti. 

Questo è un estratto dalla Canzone della Crociata Albigese:
 
"In questa fase di guerra che s’annuncia, innumerevoli saranno le belle nuove lance giacenti, spezzate, tra i vessilli insanguinati, innumerevoli le anime strappate alla carne e le dame in lutto, singhiozzanti su rovine! Il re aragonese ha radunato le sue truppe. Ci sono tutti i suoi vassalli. Sono d’aspetto splendido. Il sire Pietro tiene loro, forte e chiaro, questo discorso: “A ben presto andremo a combattere la crociata che devasta e distrugge la ragione tolosana. Il conte Raimondo mi chiama in soccorso. Si devasta la sua terra, la si brucia, la si uccide, pur non avendo egli fatto torto ad alcuno al mondo. Ora, il conte e il suo figlio sono sposi delle mie sorelle. Siamo parenti stretti e non posso permettere che vengano trattati così. Marciamo, dunque monsignori, contro i banditi crociati, che rovinano, diseredano! Contro i ladri di terre!”"
 
Nel mese di settembre del 1213, Pietro e il suo imponente esercito piantarono le tende a Muret, sulla riva sinistra della Garonna, a 20 km da Tolosa. La cittadina era difesa da una guarnigione di crociati, 30 cavalieri e 50 fanti, e si trovava al centro dei possedimenti di Montfort. Gli assedianti di Muret, rifugiatisi in uno dei due borghi della città, inviarono un messaggio al crudele Conte di Montfort che si trovava a Fanjeaux, a otto leghe di distanza. Il 10 settembre, il feroce Simon, alla testa del suo esercito, si diresse verso Saverdun. Per strada incontrò il messaggero che gli riferì l‘accaduto. Il Conte fece una sosta per pregare all’abbazia cistercense di Boulbonne; arrivò a Saverdun con i suoi, accompagnato da sette vescovi e tre abati; proseguì poi il viaggio di notte. All’alba del 11 settembre, il conte chiamò il suo cappellano, si confessò e redasse il suo testamento, assistette quindi ad una messa ; appena terminata, Montfort e suoi si diressero verso Auterive. Il gruppo giunse a Muret a fine giornata, penetrando nella cittadina al calar della sera: arrivarono a loro volta il visconte di Corbeil e alcuni cavalieri. La mattina dopo il 12, mentre il sanguinario Montfort stava ascoltando l’ennesima messa, venne avvertito che alcuni cavalieri avevano fatto irruzione nel borgo. Egli chiese al Vescovo l’autorizzazione a combattere. Gli effettivi contavano ottocento tra cavalieri e sergenti più diversi fanti.
 
Sempre dalla Canzone della Crociata Albigese il racconto di questi tristi giorni: 

"Si, fu una sciagura per la razza degli uomini. Il fior d’oro dell’onore fu infranto in questo luogo e i mondo cristiano insozzato da un’ignobile onta. Ascoltate ora ciò che avvenne. Ecco dunque riuniti sotto le mura di Muret il buon re d’Aragona in vivace corredo, il conte Raimondo, i suoi baroni e i suoi uomini. Sono disposte le petriere. La battaglia comincia. I bastioni son ben presto sfondati, scalati. L’armata dei tolosani si riversa nella città. I francesi sommersi ripiegano disordinatamente, si rifugiano nel maschio si barricano dentro … Il re Pietro tace. – “Tutto ciò conta poco … . So, tramite le mie spie e messaggeri segreti, che arrivano Simone de Montfort e i suoi baroni. Saranno qui domani, entreranno in città e vi si chiuderanno. ... I capi della saranno presi in trappola. Non potranno sopravvivere. Periranno tutti là e nelle nostre terre sofferenti rinascerà l’onore …” - … Subito gli uomini di Tolosa ripiegarono, raggiungendo gli alloggi e le tende da campo e lì, tranquillamente, si sistemarono per cenar… . Terminato il pasto, vedono sul poggio, apparire Montfort che cavalca nobilmente tra le orifiamme e i suoi baroni crociati… Il mattino dopo ... Il buon re d’Aragona dice – “Signori, ascoltate. … Simone è a Muret. Non può scappare. Prima del calare della notte voglio vederlo arreso. Ingaggeremo quindi una seria battaglia. Attaccate senza esitazione, comandate bene i vostri uomini, picchiate, squarciate, tagliate e non indietreggiate ...”- ... “Sire” dice allora il conte di Tolosa – “… facciamo allora innalzare alte palizzate attorno al campo … .Quando attaccheranno, i nostri arcieri comunali li colpiranno così fittamente che faranno dietrofront. Allora, sorgeremo, correremo alle loro calcagna, e li schiacceremo sotto i loro cavalli insanguinati”- … Il consiglio è tolto ognuno va a equipaggiarsi e tutti, con la spada in pugno, irrompono nella città con tale vigore che i francesi non riescono a chiudere il grande portale: mille lance lo bloccano. S’ingaggia un’accanita battaglia sulla soglia. Piedi e giavellotti s’incrociano, perforano, si spezzano. I corpi perdono sangue in tali zampilli che l’ampio portale è tutto vermiglio … Nel frattempo Montfort, divulga quest’ordine … - “Preparate i cavali, andiamo in battaglia”-. ... Ben presto gli uomini d’arme marciano in tre colonne, orifiamme al vento, verso il campo tolosano. … . Il buon re d’Aragona appena li scorge raduna alcuni uomini e si lancia in battaglia ... . I francesi vedono il re caricano direttamente su di lui. Il messere d’Aragona ha un bel gridare il suo nome, non lo ascoltano, lo fendono lo lacerano. Cade da cavallo ed eccolo disteso nell’erba. E’ morto. Il suo sangue si allontana in rivoli dal corpo. I suoi uomini intorno a lui, ne sono spaventati che fuggono, l’animo smarrito. Neanche uno si difende. I francesi li inseguono e si accaniscono su di loro con tanto furore che i superstiti non osano credere alla propria sorte: sono vivi è un miracolo! ... grida Dalmas de Creixel … - “… Il buon re d’Aragona è morto! Mi avete inteso? Morti, mille volte vinti sono anche i suoi baroni! Mai si subì una disfatta tanto terribile!”- …" 

Allora i tolosani, borghesi e popolino ... abbandonano il campo, correndo verso a Garonna in masse sbandate…… Tanti sono gli annegati portati dalla corrente. Tanti sono quelli che giacciono intorno, nella pianura. Per il mondo, già si diffonde la lugubre voce del disastro. Che colpo che fu, che lutto, che terribile dolore quando il re d’Aragona rimase sanguinante in mezzo all’erba! Che perdita la morte di tanti cavalieri! Onta della cristianità aver commesso ciò! La battaglia è finita perduta. I superstiti furenti, stremati, portando con sé la loro grande pena, vanno a rinchiudersi al riparo dei bastioni di Tolosa … (Penosamente) la gente di Tolosa, col cuore greve, l’animo scuro presta dinnanzi a Montfort giuramento d’obbedienza e consegna alla Chiesa ogni potere della città. L’orrido conte di Montfort, non osò marciare sulla città... -

Saluti 
Krak 

La morte del più famoso crociato d'Europa, un Re soprannominato il Cattolico, ucciso da altri crociati, lasciò nello sgomento l'intera Cristianità. Dopo questa uccisione, quale residuo di scrupolo poteva mai rimanere agli assassini? 

Ora possiamo domandarci come sarebbe cambiata la Storia se Pietro di Aragona quel giorno non fosse morto, ma fosse invece riuscito a trionfare sull'invasore. Sono convinto che il corso di questo pianeta sarebbe stato meno infelice. 

domenica 5 novembre 2023

LA DISSIDENZA DUALISTA IN OCCIDENTE:
CRONOLOGIA SINTETICA 

1004 
A Vertus, presso Châlons-sur-Marne, il contadino Leotardo viene punto dalle vespe e la sua vita cambia di colpo. Fa irruzione in chiesa e spezza il crocefisso. Inizia a predicare idee dualiste, raccogliendo un grande seguito. Interrogato dal vescovo Gebuino, i suoi argomenti vengono ridicolizzati ed egli si suicida gettandosi in un pozzo. 

1022 
Molti Protocatari sono scoperti e messi al rogo a Tolosa. Ad Orléans vengono scoperti Protocatari infiltrati in una comunità di canonici, messi sul rogo per ordine del Re Roberto II di Francia. 

1026 
Viene scoperta una comunità di Protocatari a Monforte d'Alba, in Piemonte. L'arcivescovo Ariberto d'Intimiano assedia la loro roccaforte e li fa deportare a Milano. 

1028
La maggior parte dei Monfortini deportati a Milano sceglie il rogo piuttosto che abiurare. 

1051 
A Goslar, in Sassonia, sono impiccati dissidenti dualisti, perché l'Imperatore Enrico III intende prevenire la diffusione della "lebbra eretica"

1118 
L'Imperatore di Bisanzio, Alessio Comneno, condanna a morte un gran numero di Bogomili, causando una migrazione dei superstiti nell'Europa Occidentale. 

1142  
Roghi di Bogomili a Colonia. 

1167 
Si tiene in Linguadoca il Concilio Cataro di Saint-Félix de Caraman, presieduto dal Vescovo della Chiesa Catara di Dragovitsa, Niceta (Popeniquinta). Viene stabilita l'organizzazione amministrativa della Linguadoca e l'adesione alla Dottrina Radicale. Niceta impartisce il Consolamentum a sette vescovi e fonda le quattro diocesi di Albi, Agen, Carcassonne e Tolosa. 

1183-1206 
Il vescovo Ugo di Auxerre attacca ripetutamente nel corso degli anni un gran numero di Neomanichei. Alcuni sono spogliati dei loro beni, altri esiliati, altri ancora bruciati sul rogo. 

1198 
Il pontificato di Innocenzo III ha inizio. 

1204 
Si tiene il Concilio Cataro di Mirepoix. Non si conoscono gli atti, ma si pensa che Raymond de Pereille abbia stabilito di ricostruire il Castello di Montségur per garantire una roccaforte al Catarismo. 

1206 
Predicazione di Domenico di Guzmán ai Catari in Linguadoca. A dispetto della sua eloquenza, Domenico non riesce a convincere i Catari a rinunciare alla loro Fede. Riconoscendo il fallimento della Chiesa Romana, Innocenzo III esorta i signori feudali della Francia a partecipare alla Crociata contro la Linguadoca. 

1208 
Viene ucciso il Legato Pontificio Pietro di Castelnau a Saint-Gilles nei pressi del Rodano. L'uccisore è identificato in un ufficiale di Raimondo VI di Tolosa. 

1209 (giu.) 
Inizia la Crociata contro gli Albigesi, predicata in tutta Europa, con un esercito costituito in prevalenza da soldati provenienti dal nord della Francia. L'esercito crociato è radunato sotto il comando del cistercense Arnaud Amoury. Ha inizio una spaventosa guerra di sterminio. 

1209 (22 lug.) 
Massacro di Béziers. L'esercito crociato arriva a Béziers, alla periferia dell'area di diffusione del Catarismo in Linguadoca. 200 Catari vivono in città tra una maggioranza di cattolici. L'esercito crociato devasta la città, mentre i cittadini si ritirano nelle chiese. All'abate Arnaud Amaury viene chiesto come distinguere un cataro da un cattolico, ed egli risponde: "Uccideteli tutti, il Signore riconoscerà i suoi". Migliaia di persone vengono trucidate nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, tra cui donne, bambini, religiosi e uomini anziani. La città viene rasa al suolo e Amaury scrive a Innocenzo III vantandosi dell'uccisione di ventimila cittadini. 

1209 (ago.) 
Simon de Montfort, Duca di Leicester, viene nominato generale dell'esercito crociato. 

1210 
Assedio di Bram. Alla caduta della roccaforte, a 100 prigionieri sono cavati occhi, labbra e naso. A uno solo viene lasciato un occhio in modo da poter guidare gli altri verso Cabaret. 

1210 (giu.) 
Caduta di Minerve. 150 Catari sono bruciati vivi. 

1211 
Caduta di Lavaur. 400 Catari sono bruciati vivi. 

1213 
Battaglia di Muret. Simon de Montfort è assediato nel castello di Muret da Raimondo VI di Tolosa e da Pietro II di Aragona. Il Re di Aragona rimane ucciso in battaglia, mentre Raimondo VI è costretto all'esilio. 

1218 
Durante l'assedio di Tolosa una pietra lanciata da una macchina da guerra colpisce Simon de Montfort alla testa, uccidendolo sul colpo. Il comando della crociata è preso dal figlio Amaury. 

1226 
Il Concilio Cataro di Pieusse crea il nuovo Vescovato di Razés. Morte di Innocenzo III. 

1232 
Guilhabert de Castres, il principale Vescovo Cataro di Linguadoca amministra il Consolamentum in numerose città. Si stabilisce quindi nella roccaforte di Montségur, dove presiede un Concilio. 

1233 
Gregorio IX stabilisce formalmente l'Inquisizione, dando ai Domenicani l'incarico di gestirla. 

1234 
210 persone sono condannate al rogo dagli Inquisitori a Moissac. 

1239 
183 Catari sono bruciati a Montaimé (Châlons-sur-Marne) alla presenza del Conte di Champagne. 

1241 
Primo assedio di Montségur. Per compiacere Luigi IX, Raimondo VII di Tolosa assedia Montségur, ma senza successo. 

1242 
Massacro degli inquisitori ad Avignonet, uccisi a colpi d'ascia con la loro scorta da soldati provenienti da Montségur. 

1243 
Assedio del castello di Montségur. Nella roccaforte è stanziata una guarnigione di circa 200 cavalieri a proteggere 200 Buoni Uomini con le loro famiglie. 

1244 
Caduta di Montségur dopo un assedio durato 10 mesi. Prima della resa finale 25 Credenti scelgono di ricevere il Consolamentum, conoscendone le conseguenze. 

1244 (16 mar.) 
Circa 225 Buoni Uomini sono bruciati su un enorme rogo ai piedi del pog di Montségur, in un campo conosciuto come Prat dels Cremats. 

1255 
Caduta del castello di Quéribus. Dopo la caduta di Montségur la Resistenza Catara prosegue in un altro remoto avamposto montano, situato nel territorio del Re di Aragona, fuori dalla giurisdizione del Re di Francia. I Catari lasciano la fortezza prima dell'arrivo delle truppe francesi, cercando scampo altrove, con ogni probabilità in Catalogna, Aragona o Piemonte. 

1268 
Molti Catari (si parla di 28 carri carichi) vengono bruciati a Piacenza. 

1278 
Circa 200 Catari, catturati a Sirmione dagli Scaligeri, vengono bruciati nell'Arena di Verona. I condannati al rogo sono Buoni Uomini delle Chiese di Concorezzo, Bagnolo San Vito e Desenzano, oltre a esuli dalla Linguadoca e a Francigeni. Con questa esecuzione, è dato un colpo mortale ai vertici del Catarismo in Italia.   

1295 
Peire Autier, che esercitava la professione di notaio nel Sabarthès, si converte e parte per il Piemonte per ricevere il Consolamentum. Riceve la formazione spirituale ed è consolato a Roccavione, presso Cuneo. 

1299 
Peire Autier rientra nel Sabarthès. Assieme al fratello Guilhem, al figlio Jaime e ad altri Buoni Uomini inizia la sua missione, convertendo al Catarismo un gran numero di persone, soprattutto pastori, contadini e artigiani, raggiungendo anche zone in cui non si erano mai visti Credenti. Questo movimento è noto come Rinascimento Cataro

1309 
Peire Autier, assieme a suo fratello Guilhem e a suo figlio Jacme, viene catturato da Geoffroy d'Ablis, inquisitore di Carcassonne. Viene condannato al rogo dallo stesso Geoffroy d'Ablis e da Bernardo Gui, inquisitore di Tolosa.

1310 (9 apr.) 
Peire Autier è bruciato sul rogo a Tolosa. 

1321 
Guilhem Belibasta, l'ultimo Buon Uomo noto di Linguadoca, viene condannato da Jacques Fournier, Vescovo di Pamiers (poi Papa Benedetto XII), e bruciato sul rogo a Villerouge-Termenès. 
Nello stesso anno, l'ultimo Vescovo della Chiesa Catara di Firenze viene arrestato a Figline. 

1342 
Viene scoperto a Firenze un credente, verosimilmente l'ultimo della città.

1388 
Vengono scoperti dagli Inquisitori gruppi di Catari a Chieri e ad Andezeno, vicino a Torino. La Linea Apostolica dei Chieresi proviene dai Bogomili di Bosnia.  

1395 
Viene bruciato a Chieri il credente Giacomo Ristolassio di Carmagnola. 

1412 
Gli inquisitori ritornano nel Chierese, ma non riescono a trovare Catari ancora in vita. Fanno così esumare numerosi cadaveri e li danno alle fiamme. Tra i corpi bruciati vi sono anche quelli di alcuni antenati di Camillo Benso di Cavour. 

1414 
Viene bruciato a Chieri un valligiano di Lanzo, Bartolomeo Bergi di Pesinetto, verosimilmente l’ultimo credente di cui si abbia notizia nella zona.