A volte la gente non vuole ascoltare la verità perché non vuole vedere le proprie illusioni distrutte. Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità.
(Friedrich Wilhelm Nietzsche)
domenica 29 giugno 2014
UNA GLOSSA CIMBRICA DI ORIGINE CELTICA
sabato 28 giugno 2014
TOPONOMASTICA DEL TERRITORIO DEI SETTE COMUNI: CONFUSIONE E FALSE ETIMOLOGIE
Il ricordo di altre divinità menzionate nell'Edda islandese è rimasto anche sull'Altipiano: Balder (ricordato dal folletto od orco Baldrich); Höðr (a cui è dedicata la collinetta ai cui piedi si trova l'ex stazione ferroviaria di Asiago e che una volta era detta Hodegart, ossia orto di Höðr); Synia (ricordata dal monte Sunio). L'Edda, fra le altre divinità, nomina anche una certa Skada, figlia del gigante Thiasse: questa dea è ricordata dal nome del paese di Treschè Conca di Roana, che un tempo in cimbro era chiamato appunto Skada."
Cfr. Antonio Domenico Sartori. Storia della Federazione dei Sette Comuni vicentini, ed. L. Zola, Vicenza, 1956: "L'antichità delle origini religiose sull'altopiano dei Sette Comuni"
Il nome di Freya, in norreno Freyja (pron. /frøyja/) non è un antenato plausibile dei toponimi citati dal Sartori. L'origine ultima risiede nella radice proto-germanica *frauja(n)-, che significa "signore": gotico frauja /frɔ:ja/ "signore", *fraujo /frɔ:j:o:/ "signora". L'equivalente tedesco di Freya è proprio la ben nota parola Frau: come si vede nulla che possa aver dato origine a Freyentaal. Mi azzarderei a ritenere Freyentaal una formazione recente e romantica, come tante altre sorte nell'ambito dei nazionalismi ottocenteschi, ma la scarsità delle informazioni in proposito mi suggerisce prudenza. Alcuni riportano le forme Frea-sele e Frea-taal in lingua cimbra (da non confondersi con la lingua degli antichi Cimbri), che sembrano più genuine. Non si tratterebbe quindi di un luogo dedicato alla dea Freya, ma alla dea Frigg, il cui nome longobardo era Frea (< proto-germanico *Frijjo:). Ferac e Ferozzo non hanno alcuna possibilità di derivare dalla radice di Freya o di Frigg per ragioni fonetiche. La formazione fantasiosa *Frea-ac riportata da Sartori non ha il minimo riscontro.
2) I complessi meccanismi del copyright, che permettono la libera consultazione online di libri superati, in alcuni casi risalenti persino al XIX secolo, mentre rendono difficile il pieno accesso a materiale aggiornato.
domenica 22 giugno 2014
UN'AMARA SCOPERTA
Perché il Connettivismo non è considerato a sufficienza per i suoi meriti letterari? Nessun connettivista lo sa dire? Nessuno lo ha ancora capito? Bene, dato che ho appena scoperto la ragione di tutto ciò, la esporrò senz'altro in questa sede. Il Connettivismo è avversato ferocemente dallo zoccolo duro dei lettori di fantascienza di vecchio stampo perché si presenta come Avanguardia e si ispira tra le altre cose al Futurismo (noi specifichiamo "sia di Marinetti che di Majakovskij", ma quelli Majakovskij non l'hanno mai sentito nominare). Per questo i detrattori del Connettivismo lo ritengono intrinsecamente fascista, etichettabile come estrema destra. Tutto viene fatto passare attraverso le lenti distorcenti di una sordida politica fatta di crassi slogan da scuola occupata. Che clima mortifero, che aria irrespirabile, funestata dai tanfi dell'Ignoranza! E poi qualcuno ancora si meraviglia se la fantascienza è in agonia!
sabato 21 giugno 2014
UNA PERDUTA LINGUA NEOLATINA D'AFRICA
Caput sextum.
Capitolo sesto.
(Varvaro, 2000)
e breve (ĕ); e lunga (ē) => e
i breve (ĭ); i lunga (ī) => i
o breve (ŏ); o lunga (ō) => o
u breve (ŭ); u lunga (ū) => u
aka, acqua
asnu, asino
aurikla, orecchio
auru, oro
bakka, vacca
bobe, bue
boke, voce
deke, dieci
dekembre, dicembre
Deu, Dio
diket, dice
dìkere, dire
domna, signora
domnu, signore
faket, fa
fàkere, fare
ghenuklu, ginocchio
ghenus, genere
kartu, quarto
kastru, castello
kàttoro, quattro
kella, cella
kelu, cielo
kentu, cento
kinke, cinque
kintu, quinto
kista, cesta
koket, cuoce
kòkere, cuocere
kruke, croce
linnu, legno
luke, luce
mannu, grande
nabe, nave
nibe, neve
nuke, noce
oklu, occhio
okto, otto
oktombre, ottobre
òmines, uomini
omo, uomo
pake, pace
pike, pece
piske, pesce
plumbu, piombo
porku, maiale
pullu, pollo
ribu, fiume
tauru, toro
turre, torre
issos òmines bibunt issu binu, gli uomini bevono il vino.
Faccio infine notare che nello scritto di Pompilio i parlanti neolatini sono denominati pagani, parola che nel latino classico vale "villici, paesani", senza alcuna connotazione religiosa. Ho usato questa traduzione, perché appare la più semplice e credibile. Tuttavia sussiste una certa ambiguità, avendo Pompilio scritto in epoca cristiana ed essendo la parola passibile di indicare qualcosa di diverso dagli abitanti di un villaggio. Cosa intendeva davvero l'umanista? All'epoca nella Cristianità la religione islamica era chiamata "pagana", anche se tale etichetta è una pura e semplice assurdità. L'umanista voleva forse dire che tali popolazioni, seppur di lingua neolatina, professavano l'Islam? Se la risposta fosse affermativa, quelle genti sarebbero state in origine cristiane e la loro religione ancestrale sarebbe andata perduta, a differenza della lingua. Appare troppo remota la possibilità che i parlanti neolatini non fossero mai stati islamici né cristiani, ma avessero una religione discendente in qualche modo dal paganesimo dell'antichità. A distanza di tanto tempo, è arduo capire cosa passasse per la mente dell'autore.
ALCUNE NOTE SULL'EPIGRAFIA CRISTIANA DELLA TRIPOLITANIA
K(a)l(endas), Kal[endas], K(alendarum)
kar[itas]
Occorrenze di C davanti ad A:
Dom(i)nca, dominica
clericus
cum
cognatione
lok(i), loki
pake, pakke
Occorrenze di C davanti ad E, I:
dece ‘decem’
dicentis
inocens
loci
pace, p(a)c(e), pacae
pauci
requiescit, requiesciet
hoctoginta
octabae
S(an)c(tu)s
hic, h(i)c
karus
karta ‘quarta’
okassio
miserikordia
monakus
sekulo, s(ae)k(u)lo
sekunda
bikeisima ‘vicesima’
dekember
dekesit
dikite
dulkissimus
iaket
lukeat
okisum
pake
rekessit, rekesit
rekiebit ‘requievit’
Occorrenze di C davanti ad E, I:
dicenber
iacet
lucea(t)
pace
recessit, recesit
indiktio
dilektus
oktaba
oktonber
pektore
oc
2) Si ha la sporadica conservazione di /h/, che in almeno un caso diviene addirittura /k/: è attestato infatti kospitalem per hospitalem.
3) Per quanto riguarda il trattamento del nesso sc /sk/ davanti a vocale e, i, si registra un fenomeno molto interessante: sono attestate le due varianti requieshit e requiesit per requiescit. Questo non è in realtà un indizio di palatalizzazione come può sembrare a prima vista, dato che in latino non si usava il digramma sh per esprimere il suono palatale di scena, come accade ad esempio in inglese. Cosa intendevano esprimere i lapicidi? A parer mio la questione è molto semplice: il nesso /sk/ davanti a i si era evoluto in /sχ/, con lo stesso suono che si trova nell'olandese Scheveningen. Poi questo suono si era semplificato naturalmente in /s/ in alcune parlate.
4) Le consonanti finali appaiono ben conservate, tanto che anche -m è molto spesso scritta: probabilmente la sua pronuncia era distinta, mentre nel resto dell'Impero si era ridotta quasi ovunque a una fievole nasalizzazione della vocale già all'inizio dell'Impero.
5) La labiovelare qu /kw/ si semplifica e diventa /k/.
6) La consonante d seguita da i semiconsonante si mantiene integra, mentre in altre varietà di latino d'Africa è attestata una sua evoluzione in z.
7) Il dittongo ae diventa e, e spesso si trova scritto al posto di una /e/ etimologica anche breve (es. pacae per pace).
sabato 14 giugno 2014
UNA SPACE OPERA GROTTESCA
UNA GLOSSOLALIA DI ANTONIN ARTAUD
fra te sha
vazile
la vazile
a te sha menin
tor menin
e menin menila
ar menila
e inema imen.
oscuri del cosmo,
radiosa
acqua radiosa,
dagli spiriti del cosmo,
spiriti della pietra,
spiriti della terra, il vento,
infiammate il vento
di spirito di conoscenza terrestre.
Je connais un état hors de l'esprit, de la conscience, de l'être,
et qu'il n'y a plus ni paroles ni lettres,
mais où l'on entre par les cris et par les coups.
Et ce ne sont plus des sons ou des sens qui sortent,
plus des paroles
mais des corps.
Cogne et foutre,
dans l'infernal brasier où plus jamais la question de la parole
ne se pose ni de l'idée.
Cogner à mort et foutre la gueule, foutre sur la gueule,
est la dernière langue, la dernière musique que je connais
et je vous jure qu'il en sort des corps
et que ce sont des corps animés.
L'INVOLUZIONE DELLA SPECIE
domenica 8 giugno 2014
UN NOTEVOLE ANTROPONIMO CELTICO IN NORRENO
La madre di Dyggve era Drott, la figlia del re Danp, il figlio di Ríg, il primo che venne chiamato re nella lingua danese.
(Snorri Sturluson, Ynglinga saga)
L'USO DI DUE PAROLE GOTICHE NEL KLORAN DEL KU KLUX KLAN
Tempo fa mi è capitato di reperire in oscuri antri del web una copia del Kloran, il testo rituale del Ku Klux Klan. I contenuti sono privi di qualsiasi interesse e in gran parte consistono in dettagli sull'organizzazione pratica della famigerata società segreta. Tuttavia ho subito notato nel prologo un bislacco detto criptico: NON SILBA SED ANTHAR, la cui traduzione in inglese è "Not for self, but for others". In esso spiccano due parole gotiche, SILBA "sé" e ANTHAR "altro". Ovviamente th sta per þ, carattere difficile che è stato sostituito, in modo tale da favorire la giusta pronuncia da parte dei Klansmen. Il problema è che le due parole della lingua di Wulfila non sono declinate e che le altre due parole, NON e SED, sono in latino. Questo orrendo ibrido latino-gotico sgrammaticato mostra che l'autore del Kloran, verosimilmente William Joseph Simmons - il fondatore del secondo Klan - aveva in mente di recuperare la lingua gotica come eredità ariana, considerato che all'epoca era diffusa la falsa convinzione che la lingua di Wulfila coincidesse con l'antenato di tutte le lingue germaniche, mentre in realtà ne è un soltanto un discendente. È possibile che le cose siano andate così: non conoscendo affatto il gotico, Simmons ha scovato le parole SILBA e ANTHAR in un vocabolarietto sommario, e non sapendo come declinarle le ha presentate nella loro forma non flessa. Non avendo a disposizione particelle, avverbi e altri elementi, ha deciso così di rimpiazzare le parole per "non" e "ma" con i corrispondenti termini latini, a lui ben noti. La forma gotica corretta si dovrebbe invece scrivere NI SILBIN AK ANTHARAIM. Avendo a disposizione non poco tempo da spendere in elucubrazioni, Simmons avrebbe perlomeno potuto indagare meglio la lingua gotica e produrre un risultato meno posticcio. Casi di questo genere non sono rari nel panorama esoterico e settario dell'intero pianeta. Fatto ancor più grave, lo slogan del Ku Klux Klan figura spesso nel web come un'espressione in puro latino. Per esempio qualcuno lo ha incluso nella lista di frasi latine su Wikipedia, senza fare alcuna menzione dell'origine delle due parole gotiche.
SUPEREROI E FONETICA DEI PRESTITI INGLESI IN ITALIANO
sabato 7 giugno 2014
DUE PESI E DUE MISURE NELL'ORTOGRAFIA LATINA MODERNA
Una domanda viene spesso posta nel web: bisogna scrivere repetita juvant o repetita iuvant? In genere intervengono utenti furibondi e spocchiosi a stigmatizzare repetita juvant come se fosse uno strafalcione tipo un'albero o una luciertola, argomentando che gli antichi Romani la lettera j nemmeno la conoscevano. Orbene, c'è di certo del vero in questo. La lettera j fu infatti introdotta dall'umanista francese Pierre de la Ramée (1515-1575), noto anche come Pietro Ramo, e quindi fa parte delle cosiddette lettere ramiste. Tuttavia si può far notare che il ragionamento è fallace e da rigettarsi per un semplice motivo: anche la distinzione tra la lettera u usata per scrivere la vocale e la lettera v per scrivere la consonante è un'innovazione introdotta proprio dall'umanista francese in questione. Così anche repetita iuvant non sarebbe riconosciuto da un coetaneo di Cicerone. Infatti all'epoca si scriveva sempre usando la stessa lettera sia la vocale /u/ (breve o lunga) che la semiconsonante /w/, e le cose non cambiarono anche quando /w/ si sviluppò nella bilabiale /β/ e infine nella labiodentale /v/. Nella scrittura monumentale era sempre V, in quella corsiva sempre u. Così a voler evocare Cicerone, si rischia di dover per coerenza scrivere REPETITA IVVANT in maiuscolo e repetita iuuant in minuscolo. Giova infine ricordare che i latinismi usati nei tempi moderni non sono necessariamente propaggini della lingua scritta dell'epoca classica. Pertanto reputo che non sia poi così biasimevole scrivere repetita juvant se l'espressione è intercalata in un testo in italiano.