Un grande flagello pseudoscientifico è la stolta credenza che tramite pratiche ipnotiche sia possibile a un individuo regredire a vite precedenti, ricordandole in toto o in parte. Il fondamento di questa teoria è semplice: essendo possibile a un manipolatore della congrega degli psicologi far regredire una persona fino all'infanzia, se questa regressione procede oltre il limite della nascita, ecco che si entra nel campo di una precedente esistenza terrena. Mi si obietterà che la cosa potrebbe di per sé essere di un notevole interesse. Il punto è che si tratta di un colossale imbroglio. A questa conclusione si può giungere facilmente analizzando i risultati delle osservazioni compiute dagli psicologi sui pazienti fatti regredire fino a epoche anteriori alla loro venuta al mondo, e in particolare sugli xenoglossi. Se l'ipnosi regressiva avesse un benché minimo fondamento, ne otterremmo conoscenza. Invece non si ottiene nulla che abbia più valore di un monticolo di stronzi di pollo. Vedete, vorrei che fosse vero. Vorrei che si potesse risalire a epoche passate. Vorrei sentire le voci degli Antichi. Invece devo riconoscere che tutto questo è impossibile.
Non è difficile imbattersi in alcune narrazioni relative a soggetti ipnotizzati che sarebbero regrediti per secoli. Ricordo in particolare il caso del soggetto che si reputava un vichingo; sarebbe anche riuscito a produrre, seppur con enorme fatica, un elenco di parole "norrene". Che io sappia, questo glossarietto non è mai stato pubblicato e doveva essere abbastanza penoso: dubito fortemente che consistesse in complessi versi eddici. Significativo è anche il caso del soggetto che si reputava un sumero e che non è stato mai in grado di richiamare alla memoria nemmeno una parola di sumerico. Considerata la struttura fonetica semplicissima di tale lingua isolata, non gli sarebbe stato difficile balbettare parole come LU "uomo", LUGAL "re" (lett. "uomo grande"), E "casa", EGAL "palazzo" (lett. "casa grande"), A "acqua", ABA "lago" (lett. "nicchia d'acqua"), AN "cielo", EME "lingua", INIM "parola", MUNUS "donna", GUD "bue", UR "cane", URU "città", LAM "abbondanza", LAL "miele" e via discorrendo. Avrebbe potuto evitare parole con suoni poco familiari, come UḪ "insetto, parassita", etc. Invece niente. Nemmeno una sillaba. Il punto è che non conoscendo nulla della lingua di Sumer, non poteva certo improvvisarla, non ci vuole Sherlock Holmes per capirlo. La Thomason riporta nel suo saggio Xenoglossy il caso di una ragazza che sotto ipnosi affermava di essere stata una squaw Apache il cui bizzarro nome era Chloe. Anche se pungolata di continuo dall'ipnotizzatore, Ralph Grossi, faceva di tutto per resistere alla richiesta di pronunciare parole della sua lingua. Se le fosse stato richiesto del sesso orale con spargimento di sperma in bocca, forse sarebbe stata meno riluttante. Quando alla fine riportò alla mente una lista di parole, se ne uscì con ritrovati incompatibili con la fonotattica della lingua in questione. Ad esempio, molti vocaboli contenevano la rotica /r/ - cosa impossibile nella lingua genuina degli Apache - ed erano assenti diversi suoni peculiari, come le occlusive laterali sorde. Se questi soggetti tornassero davvero con la mente ad altre vite, o se fossero posseduti da spiriti, dovrebbero pensare e parlare soltanto nella lingua del contesto corrispondente. Dovrebbe venir loro spontaneo. Se non lo fanno - e non lo fanno - significa che è un imbroglio.
Trovo assolutamente futile e ridicola l'idea secondo cui un ipnotizzato dovrebbe sperimentare difficoltà a rievocare la propria lingua in caso di "incarnazioni" molto antiche. Perché mai dovrebbero esserci difficoltà? Non esiste una sola motivazione razionale di tutto questo. Se ammettiamo la spiegazione soprannaturale fornita dagli ipnotizzatori, allora affermiamo che lo spirito deve precedere la mente di un soggetto che ha un corpo di carne, deve essere libero da qualsiasi pastoia e riportare semplicemente ciò di cui è stato testimone. Eppure i medium non lo credono. Questo per un semplice motivo: tremano loro le chiappe del culo e si cagano in mano di fronte a qualsiasi indagatore che usi la logica consequenziale come guida. Consapevoli del fatto che gli xenoglossi producono solo patacche, fanno leva sulle menti suggestionabili di persone ignoranti, rifuggendo gli autentici esperti di lingue che potrebbero facilmente confutare tutte le loro baggianate, facendo cadere su di loro un grande discredito.
Ricordo nitidamente un caso ancor più sorprenente: quello dello pseudoetrusco spiritico. I parapsicologi Giovanna B. e Francesco L. Oscott hanno scritto il libro Gli Etruschi parlano. Alla scoperta della lingua etrusca (1984), pubblicato da Edizioni Mediterranee. Nel volume si descrivono le comunicazioni fatte da "spiriti" che secondo gli autori dicevano di appartenere al popolo dei Rasna. Valendosi di argomenti linguistici, si può certo dire che si tratta di un falso montato ad arte. Ancora a distanza di anni, il professor Giulio Facchetti ha giustamente schernito gli autori di questa baggianata medianica, dicendo che il soggiorno nell'oltretomba evidentemente aveva danneggiato la memoria degli spiriti degli etruschi. Passo brevemente in rassegna i numerosi aspetti inverosimili che ho potuto riscontrare:
1) Gli "spiriti" usano un frasario da grammatici, ricorrendo ad esempio al termine "genitivo" quando spiegano come formare i numerali ordinali a partire dai numerali cardinali.
2) La forma *etpam "affinché, per" è di certo un grossolano errore di lettura del vocabolo genuino etnam "quindi; allo stesso modo", a cui è stato attribuito un diverso significato dai medium.
3) Uno pseudo-pronome *sas è tradotto con "vi", senza alcun marcatore dell'accusativo analogo a quello di mini "me" (da mi "io"), un "te" < *un-n(i), col suffisso assorbito dalla radice (cfr. une "a te", unχva "le tue cose", nel Liber Linteus; unas "di te", attestato su vasi), cn "lui, lei" (da ca "egli, ella"), enan "ci" (cfr. enaś "di noi", nel Liber Linteus; zuci enesci "nella nostra determinazione", sul Cippo di Perugia), unum "vi" (con -m < -n per effetto della vocale labiale).
4) I numerali śa "quattro" e maχ "cinque" sono assurdamente invertiti: viene detto che *mach vale "quattro" e *sa vale "cinque". Questo scontenta tanto coloro che con me affermano che śa è "quattro" e huθ è "sei", quanto tutti coloro che reputano invece che valga huθ "quattro", śa "sei", per includere l'etrusco nel novero delle lingue indoeuropee.
5) I genitivi non sono formati correttamente. Così abbiamo genitivi in -e da nomi femminili in -a, cosa che va contro ogni basilare principio di conoscenza della lingua etrusca.
6) I termini pseudoetruschi *crap "bucchero nero" e *punu "nero" sono pure e semplici invenzioni; si trova una radice crap- in etrusco genuino, che ha tutt'altro significato.
7) Molte parole sono prese dal latino e almeno una dal greco. Così si ha *val "saluta" (latino vale "stammi bene") e *thalaths "mare" (greco thalatta, thalassa).
8) La locuzone *acra *reltha "campi abbandonati" è chiaramente una deformazione del latino *agra relicta, errato per agri relicti. Lat. relictus "abbandonato" è da re-linquo "abbandono": è un composto, dalla cui errata interpretazione i medium hanno formato una radice pseudoetrusca *rel- "abbandonare". In etrusco il suffisso -θa, ça va sans dire, non marca il participio passato passivo.
9) La forma *punenth "a combattere" è una deformazione del latino pugnans "che combatte" o pugnando "combattendo".
2) La forma *etpam "affinché, per" è di certo un grossolano errore di lettura del vocabolo genuino etnam "quindi; allo stesso modo", a cui è stato attribuito un diverso significato dai medium.
3) Uno pseudo-pronome *sas è tradotto con "vi", senza alcun marcatore dell'accusativo analogo a quello di mini "me" (da mi "io"), un "te" < *un-n(i), col suffisso assorbito dalla radice (cfr. une "a te", unχva "le tue cose", nel Liber Linteus; unas "di te", attestato su vasi), cn "lui, lei" (da ca "egli, ella"), enan "ci" (cfr. enaś "di noi", nel Liber Linteus; zuci enesci "nella nostra determinazione", sul Cippo di Perugia), unum "vi" (con -m < -n per effetto della vocale labiale).
4) I numerali śa "quattro" e maχ "cinque" sono assurdamente invertiti: viene detto che *mach vale "quattro" e *sa vale "cinque". Questo scontenta tanto coloro che con me affermano che śa è "quattro" e huθ è "sei", quanto tutti coloro che reputano invece che valga huθ "quattro", śa "sei", per includere l'etrusco nel novero delle lingue indoeuropee.
5) I genitivi non sono formati correttamente. Così abbiamo genitivi in -e da nomi femminili in -a, cosa che va contro ogni basilare principio di conoscenza della lingua etrusca.
6) I termini pseudoetruschi *crap "bucchero nero" e *punu "nero" sono pure e semplici invenzioni; si trova una radice crap- in etrusco genuino, che ha tutt'altro significato.
7) Molte parole sono prese dal latino e almeno una dal greco. Così si ha *val "saluta" (latino vale "stammi bene") e *thalaths "mare" (greco thalatta, thalassa).
8) La locuzone *acra *reltha "campi abbandonati" è chiaramente una deformazione del latino *agra relicta, errato per agri relicti. Lat. relictus "abbandonato" è da re-linquo "abbandono": è un composto, dalla cui errata interpretazione i medium hanno formato una radice pseudoetrusca *rel- "abbandonare". In etrusco il suffisso -θa, ça va sans dire, non marca il participio passato passivo.
9) La forma *punenth "a combattere" è una deformazione del latino pugnans "che combatte" o pugnando "combattendo".
10) Le voci del verbo "andare" (es. *veit "va", *veet "era andata", *vetne "andò", *vet "andava", *vunt "passano") appaiono formate su esiti romanzi del verbo latino vadere, proprio come le forme italiane vado, vai, va, vanno.
11) Il verbo *fer "egli porta" e il verbo *vit "vide" sono chiari latinismi.
11) Il verbo *fer "egli porta" e il verbo *vit "vide" sono chiari latinismi.
12) Alcune parole non latine e non greche corrispondono nella forma a parole etrusche attestate, ma viene dato loro significato del tutto dissimile da quello accertato o supposto con ottime basi usando il metodo combinatorio e il metodo bilinguistico. Così *mec "con", *span "stima", *thepres "proteggerà". In realtà abbiamo meχ "popolo; pubblico", śpan- "piano; piatto"; Θefri(e), Θepri(e) "Tiberio", antroponimo formato dalla radice θefri-, θepri- "fiume", donde deriva anche il nome del Tevere.
13) Si notano numerose preposizioni che non hanno alcun riscontro: oltre ai già citati *etpam "per" e *mec "con", abbiamo *veve "in", *men "su", *ut "col", *thil "coi". Si vede con la massima chiarezza che *ap "da" è null'altro che il latino ab "da" (davanti a vocale). La forma *ethtve "nel", anche abbreviata in *tve, è nata da un fraintendimento di una parola di tutt'altro significato (cfr. (h)eitva "grande", etve θaure "nel grande sepolcro"). Dove sono i locativi sintetici in -θ, -θi?
14) Si esibisce un uso inverecondo della pseudologica. Se metà delle parole sono giuste, dicono gli autori, si deduce che debbano esserlo anche le altre. Tuttavia non ne consegue: è un evidente caso della fallacia logica chiamata non sequitur.
13) Si notano numerose preposizioni che non hanno alcun riscontro: oltre ai già citati *etpam "per" e *mec "con", abbiamo *veve "in", *men "su", *ut "col", *thil "coi". Si vede con la massima chiarezza che *ap "da" è null'altro che il latino ab "da" (davanti a vocale). La forma *ethtve "nel", anche abbreviata in *tve, è nata da un fraintendimento di una parola di tutt'altro significato (cfr. (h)eitva "grande", etve θaure "nel grande sepolcro"). Dove sono i locativi sintetici in -θ, -θi?
14) Si esibisce un uso inverecondo della pseudologica. Se metà delle parole sono giuste, dicono gli autori, si deduce che debbano esserlo anche le altre. Tuttavia non ne consegue: è un evidente caso della fallacia logica chiamata non sequitur.
Esistono, com'è naturale attendersi dagli ambienti dell'occultismo, numerosi esempi di pseudoegiziano spiritico. Ovviamente la pronuncia è quella egittologica, che è completamente falsa e ben distante dalla realtà. Se uno spiritista usa la falsa pronuncia egittologica Ra, o una pronuncia ibrida Amon-Ra, si squalifica da sé, ma pochi entrano in un simile dettaglio. Di certo ra significa "sole" nella lingua delle Hawaii, non in quella della Terra dei Faraoni. Certo mi farebbe una profonda impressione uno spiritista che pronunciasse /re:aʿ/ o /ri:aʿ/ (pronuncia ricostruibile con sicurezza dalle trascrizioni babilonesi, il cui vocalismo persiste nel copto rē), ma è chiaro che significa pretendere troppo: cose simili non accadono. Dato il basso livello culturale delle persone coinvolte, è inverosimile attendersi che siano studiose di vocalizzazione delle antiche parole egizie, che conoscano il copto e via discorrendo.
Talvolta gli stessi testimoni di una pretesa xenoglossia sono affetti da uno strano pudore. Non gli si riesce ad estorcere la citazione di una sola parola. Balbettano, nicchiano, si esprimono in termini vaghissimi. Accade proprio questo nel caso di uno xenoglosso di cui ha scritto la Thomason. Costui affermava in ipnosi di essere stato un cavaliere nella Normandia del XIV secolo. Interrogato su quale lingua parlasse, se ne uscì a dire che la sua lingua era il gaelico, una lingua celtica parlata in Irlanda e in Scozia. La Thomason si affretta a dire che tale lingua non è parlata in Normandia e non lo è mai stata in passato. Questo potrebbe non essere del tutto vero: assieme ai Vichinghi giunsero anche alcuni coloni dall'Inghilterra e altri dall'Irlanda. Questi ultimi potrebbero aver portato con sé la lingua irlandese, che avrebbe potuto essere parlata per qualche tempo in ambito domestico. Il XIV è tuttavia un'epoca troppo tarda per trovarne residui. Come se dovesse parlare di stimolazione orale dell'ano, la Thomason è imbarazzatissima e afferma che la lingua "gaelica" del cavaliere di Normandia avrebbe qualcosa del francese e qualcosa del latino, non essendo tuttavia né francese né latino. La studiosa non fornisce dettagli che possano chiarire di più, anche se trapela chiaramente che si tratta di un pastone immondo e insensato di parole biascicate. A un certo punto si legge che un parlante francese avrebbe ascoltato la glossolalia, trovandovi assonanze con la propria lingua madre. Mi pare talmente assurdo da meritare soltanto dileggio! Le frasi raccolte hanno qualcosa del francese? Bene, voglio poterle analizzare, è un mio diritto. Questo pudore non giova alla Scienza: trovo che sia necessario esporre le porcate degli xenoglossi e dei glossolalici per confutare le affermazioni di psicologi, parapsicologi ed esorcisti.
Ora domando questo agli eventuali lettori: tutte le pataccate sopra esposte dovrebbero appartenere al dominio della demonologia?
Sorprende che il CICAP non sia all'altezza di questi argomenti. Nessuno in quell'organizzazione vuole davvero sporcarsi le mani con la merda. Sulle pagine del sito del CICAP si trovano alcuni tentativi di confutazione dell'origine paranormale dei fenomeni della xenoglossia e della glossolalia (tra loro confusi, si noti). Si tratta però di tentativi appena abbozzati, condotti senza utilizzare l'arma più potente: la linguistica. Pare evidente che Piero Angela e la sua progenie non reputino la linguistica una scienza, così la considerano inutile. Si invoca dunque l'intervento del CICACICAP (Comitato Italiano per il Controllo della Affermazioni del CICAP) benemerita associazone della Nazione Oscura Caotica. Mi appello al Presidente Lukha B. Kremo affinché faccia intervenire sulla questione Roberto Quaglia, presidente onorario del CICACICAP.