domenica 14 dicembre 2014

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: UNA FALSA ETIMOLOGIA DI CAESAR

Sull'etimologia del cognomen Caesar se ne son dette di tutti i colori, e questo già dall'antichità.

C'è chi voleva l'originario Caesar chiamato così perche nato da parto cesareo - e quindi il cognomen sarebbe derivato da caedere "tagliare", caesus "tagliato" (a caeso matris utero). Il suffisso -ar rimarrebbe però del tutto inspiegabile.

Altri invece proponevano come origine la parola dotta caesaries "chioma" (che trova una perfetto parallelismo nel sanscrito kesara- id.). Il fatto che Giulio Cesare fosse calvo non è d'ostacolo: come tutti sanno i cognomina erano ereditari.

Altra possibilità è il termine caesius "azzurro", con riferimento al colore degli occhi (a caesiis oculis). Anche in questo caso il suffisso -ar sarebbe inspiegabile. La parola, priva di etimologia indoerupea, è da ricondursi all'etrusco, dove è abbondantemente testimoniata dall'onomastica: Ceisna, Caisie, etc.

Come fa notare l'ottimo prof. Giulio Facchetti, l'origine più probabile di Caesar è dal nome etrusco di Cere, che suonava Caisri-, Ceisri-, Ceizra, Χaire-, Χe(i)ri- in lingua etrusca (in latino è Caere, indecl.). Se la forma Χeiritna (Χeritna), attestata come gentilizio, è più recente e continua nel latino Caeretanus, la forma più antica derivata dal nome di Cere è caisri-va-. Caesar significherebbe quindi "uomo di Cere". Le occorrenze etrusche di Cere erano già state individuate a suo tempo da Massimo Pallottino. Mi sento di difendere questa tesi del legame tra il cognomen Caesar e la città di Cere, che ha una sua logica e renderebbe conto anche della terminazione in -ar.

Esiste però un'altra etimologia possibile, per quanto inverosimile, che fu usata dallo stesso Giulio Cesare a scopi propagandistici e che ci interessa particolarmente per le sue implicazioni fonetiche. Per aumentare l'impressione di possanza, lo stesso Giulio Cesare sostenne che Caesar derivasse dalla parola usata dai Cartaginesi e dai Mauri per indicare l'elefante. Il primo denarius da lui coniato mostra la scritta CAESAR sopra la figura di un elefante.

L'interpretazione più verosimile di una simile derivazione si otterrebbe ammettendo che il primo a essere soprannominato Caesar avesse ucciso un elefante in battaglia. Il termine in questione, non semitico e di origine sconosciuta, ci è noto nella forma kaisar come glossa di Servio ed è attestato in alcune iscrizioni puniche (kysr). Aveva il suono velare iniziale - anzi, probabilmente addirittura uvulare come /q/ in arabo - visto che l'originaria /k/ è spesso trascritta in neopunico con ch in caratteri romani e con χ in caratteri greci. Se per assurdo Caesar avesse avuto all'epoca una pronuncia palatale, com'è insipiente e stoltissima opinione di qualcuno, non sarebbe mai stata proposta una paretimologia punica dell'antroponimo.

Notiamo infine che l'originario termine cananeo usato dai Fenici per indicare l'elefante doveva essere *fil /fi:l/ (cfr. arabo fīl, ebr. pīl). È possibile che kaisar fosse una parola dei Mauri presa a prestito dai Cartaginesi o indicante un particolare elefante (forse l'elefante africano in opposizione a quello asiatico usato dall'esercito?). Qual è l'origine di ultima di kaisar? Non è facile dare una risposta, ma non risulta che esista nulla di simile nelle lingue berbere documentate. 

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: LA CONFUSIONE SISTEMATICA TRA GOTI E GETI

Tale fu l'assonanza tra il nome dei Goti (Gothi) e quello dei Geti (Getae), che i due etnonimi si trovano spesso come interscambiabili in fonti tarde come ad esempio Iordanes (VI secolo). Questi, che era di origine gotica, aveva un fratello che viveva in contatto con i Goti. Eppure tale era la sua venerazione acritica degli autori classici che non soltanto scambiava spesso Gothi con Getae, ma addirittura confondeva le storie dei due popoli, mescolando tra loro cose che nulla hanno a che vedere. Com'è dunque possibile che un simile scambio avvenisse? Semplice: all'epoca di Iordanes doveva ancora sussistere una pronuncia dotta del latino in cui la consonante era velare in entrambi i casi, o almeno la g- di Getae non si era ridotta a /j/ come nella lingua comune - o a /dʒ/ come negli sviluppi italiani - e aveva al massimo un suono prepalatale /gj/ che poteva conservare una somiglianza con /g/.

Inutile dire che l'etnonimo Getae non ha alcunché in comune con i Goti: si tratta di una falsa etimologia. I Geti erano affini ai Daci, parlavano una lingua di gruppo satem e non kentum, che presentava molte isoglosse con l'albanese, ma anche con lo slavo e con le lingue baltiche. Nessun germano avrebbe compreso i discorsi di un geta. Esiste la concreta possibilità che la lingua albanese non derivi da una lingua dell'Illiria e che la sua attuale sede geografica sia piuttosto il risultato di una migrazione di Daci in epoca tarda. L'interesse di alcuni romani colti nei confronti della lingua dei Geti dovette sussistere: sappiamo che Ovidio, in esilio a Tomis (attuale Costanza, Romania), per ingannare la noia apprese l'idioma getico e compose anche in esso un carme, disgraziatamente andato perduto, o fagocitato dall'immane ventre di qualche biblioteca vaticana in attesa di essere vomitato come Pinocchio dal Terribile Pescecane.

domenica 7 dicembre 2014

SULLA DIVERSITÀ DEI GRUPPI UMANI NELLA COMUNE MISERIA

Fino a ieri dominava la tesi dell'origine unica e monolitica del genere umano. Chiunque osasse sfidare l'idea dell'assoluta identità genetica di tutti i tipi umani era fatto oggetto di discriminazione e veniva marginalizzato. Oggi la Scienza è in grado di fornirci con grande dettaglio la composizione del genoma di ogni tipo umano vivente su questo pianeta, tracciandone la complessa storia di incroci con altre specie umane, diverse da Homo sapiens. Si è così scoperto che gli Europei hanno fino al 2% circa di corredo neanderthaliano (Homo neanderthalensis). Nelle popolazioni asiatiche la percentuale è lievemente superiore. Gli aborigeni australiani oltre a questo apporto neanderthaliano, hanno anche il 4% circa di corredo denisovano (Homo denisoviensis, nome ufficiale non ancora fissato). Nei Papua e in altre genti della Melanesia il corredo denisovano è addirittura maggiore, fino al 6%. Il corredo denisovano si trova in percentuali minori, circa l'1%, anche nelle genti amerindiane e in quelle asiatiche, come i cinesi e i tibetani. I Denisovani, che abitavano in Siberia, erano immuni al mal d'altitudine e potevano consumare carne marcia senza nocumento. Le loro costumanze necrofaghe si ritrovano intatte tra i Papua, che sono endocannibali, fanno marcire i cadaveri dei loro cari e ne mangiano ritualmente le carni assieme ai cagnotti. Il gene che permette di non soffrire a causa della quota elevata si è conservato molto bene nell'attuale popolazione tibetana. Le genti dell'Africa Subsahariana sono rimaste immuni da ogni contatto con l'uomo di Neanderthal e con quello di Denisova, ma non rappresentano in alcun modo il tipo originario di Homo sapiens prima degli incroci con popolazioni neanderthaliane e denisovane: portano infatti in sé il corredo di un tipo di ominide ben più arcaico e distante da tutto ciò che conosciamo per esperienza diretta, con ogni probabilità una varietà di Homo erectus separato da noi da ben 700.000 anni di storia. Da quanto sinteticamente esposto, ne consegue che gli esseri umani non sono tutti uguali. Hanno in sé componenti di origine diversa, quindi sono tra loro diversi. Si spera che queste conoscenze, che sono dati di fatto ben documentati, fondati su studi reperibili nel Web e riportati anche dai quotidiani on line, colpiscano come un maglio le idiozie politically correct e le riducano in polvere! Ai soliti fautori dell'insipiente buonismo che tireranno fuori la paroletta magica "razzismo" per imporre il silenzio, obietto con forza che la diversità dei popoli è un patrimonio da tutelare, e che non saranno certo le baggianate dei radical shit e dei politicanti a impedirci la conoscenza delle nostre origini! 

A questo punto allego un po' di documentazione, e si badi bene che non è tratta da siti di complottismo. Non sarà difficile al navigatore approfondire questi argomenti e studiare su testi scientifici immuni dalla contaminazione della politica.  

"Modern African population were found to contain genetics from a now extinct archaic species that split away from the ancestors of all anatomically modern humans over 700,000 years ago"

Michael F. Hammer et al. (27 July 2011) "Genetic evidence for archaic admixture in Africa". PNAS 














sabato 6 dicembre 2014


TABÙ - GOHATTO 

Titolo originale: Gohatto 
Regia: Nagisa Oshima
Produzione: GB/Jap/Fra
Anno: 1999
Genere: Drammatico
Durata: 100'


Interpreti:
 Takeshi Kitano: Capitano Toshizo Hijikata
 Tadanobu Asano: Samurai Hyozo Tashiro
 Shinji Takeda: Tenente Souji Okita
 Ryuhei Matsuda: Samurai Sozaburo Kano
 Yoichi Sai: Comandante Isamu Kondo
 Koji Matoba: Samurai Heibei Sugano
 Tomoro Taguchi: Samurai Tojiro Yuzawa
 Jiro Sakagami: Tenente Genzaburo Inoue
  Masa Tommies: Ispettore Jo Yamazaki
 Masato Ibu: Agente Koshitaro Ito
 Zakoba Katsura: Wachigaya
 Kei Sato: Narratore

Doppiatori italiani: 
 Mattia Sbragia: Capitano Toshizo Hijikata
 Simone Crisari: Samurai Sozaburo Kano
 Oreste Baldini: Tenente Souji Okita
 Roberto Draghetti: Samurai Hyozo Tashiro
 Massimo Corvo: Comandante Isamu Kondo
 Pino Ammendola: Tenente Genzaburo Inoue
 Mario Bombardieri: Samurai Heibei Sugano
 Stefano De Sando: Ispettore Jo Yamazaki
 Alvise Battain: Agente Koshitaro Ito
 Massimo Lodolo: Samurai Tojiro Yuzawa
 Saverio Indrio: narratore

Sceneggiatura: Nagisa Oshima
Fotografia: Toyomichi Kurita
Scenografia: Yoshinobu Nishioka
Montaggio: Tomoyo Oshima
Costumi: Emi Wada
Musiche: Ryuichi Sakamoto

Il carissimo 7di9 scrisse una splendida recensione, già pubblicata a suo tempo sul blog Esilio a Mordor e da lungo tempo scomparsa dal Web. Per contrastare l'Oblio che assedia e sommerge ogni cosa, la ripropongo senz'altro in questa sede:    

La decadenza serpeggiante nell’ambiente dello shogunato viene accelerata dall’arrivo di Kano, giovane samurai dai tratti femminei, arruolatosi alla corte dello shogun locale per il solo gusto di uccidere. Il dubbio che tutte le concessioni fatte a Kano siano frutto di un’attrazione generale provata nei suoi confronti non è mai enunciato, ma solo sussurrato, spesso con ironia, soprattutto attraverso le didascalie che sottolineano i passaggi della storia. Per tutta la durata del film si assiste a una contrapposizione continua tra l’austerità e la quasi perfezione formale degli ambienti e delle consuetudini, delle regole samurai e delle gerarchie, e il veleno biologico che incrina la patina appariscente ma vuota della superficie visibile. Il personaggio di Kano è una figura malefica, porta in sé i germi dell’apocalisse, giunge tra i puri per corromperli, motivato solo dal desiderio di vederli perire ai suoi piedi, come navigatori alla corte di una sirena. Kano assomiglia al male assoluto, perché chiunque lo sfiora, con lo sguardo, con le dita, ne è attratto, rapito, condannato. Il tema dell’omosessualità non è certamente primario nell’economia della pellicola, costituendosi piuttosto come metafora di qualcos’altro: la Bellezza, questa forza ammaliante dinanzi alla quale nemmeno il più valoroso dei guerrieri riesce a resistere. Dinanzi alla caduta dei samurai, consumata al di fuori di un sistema bellico rigido quanto fragile, il regista racconta la lenta disgregazione del regime dello shogunato di fronte all’avanzata meccanica dell’Occidente e delle forze aliene che vengono dal mare. Kano è anche un fantasma, lo spettro di carne di quell’Occidente temuto ma ammaliante, che porta in sé il germe della distruzione. Il capitano Hijikata, interpretato da un perfetto Takeshi Kitano, si muove sulla scena con fluidità, sospeso tra il proprio ruolo diegetico e la funzione di narratore. Con abilità, il regista Nagisa Oshima, decostruisce la struttura dei dialoghi e delle situazioni, così come lo spettatore lo recepisce, ora affidando il compito disvelatore ai pensieri di Hijikata, ora concentrando la potenza del messaggio nella splendida scena finale: il taglio di un ciliegio in fiore, quale sfogo di un sistema morale che non riesce più – ma è stato mai realmente in grado di farlo? – ad affrontare e abbattere le tentazioni della carne e del degrado dei costumi. 
 
Considerazioni: 
Aggiungo all'intervento di 7di9 alcune note, soprattutto di carattere antropologico.

Un sostrato cristiano

A un certo punto si nota un piccolo santuario buddhista, una sorta di edicola con una svastica. Lo Shogunato Tokugawa ha cercato di promuovere il Buddhismo con ogni mezzo per contrastare il Cristianesimo, che continuava ad essere praticato in segreto nonostante le misure repressive draconiane. Fu proprio l'inquisitore anticristiano Inoue Masashige (1585 - 1661), un omonimo dell'Inoue del film di Oshima, a ordinare l'edificazione di moltissimi templi buddhisti a Nagasaki e nelle aree vicine.

La penisola di Shimabara, descritta come pullulante di bordelli all'epoca della narrazione, era stata teatro di una ribellione cristiana, soffocata nel sangue dagli eserciti dello Shogunato, non senza ingenti perdite. Per scongiurare il riaccendersi delle braci della dissidenza religiosa, da allora in quel luogo sono state deportate popolazioni da ogni parte del Giappone.

La presenza di idee cristiane emerge in tutto il film. Ad esempio quando a Hijikata, capitano della milizia Shinsengumi, viene chiesto di desistere dalla persecuzione del clan Igo e gli viene ricordato che un samurai deve soprattutto essere misericordioso. Il punto è che questo concetto di misericordia è cristiano e del tutto estraneo alla tradizione nipponica.

Le ferree regole della milizia Shinsengumi sono volte ad evitare la corruzione. Così è fatto divieto ad ogni suo membro di dare o di ricevere denaro in prestito. La corruzione nell'antico Giappone era qualcosa di inconcepibile e di terrorizzante, perché vanificava il culto dell'onore. Il primo caso che emerse, destando un immenso scandalo, risale agli inizi del XVII secolo e fu subito notato che i soggetti coinvolti erano cristiani. Questo fece sì che la nuova religione, che già aveva moltissimi proseliti, fosse vista dalle autorità come un pericolo esistenziale per la stessa Nazione.   

I dialetti

Un agente del clan Igo viene identificato dal modo in cui parla, dal suo dialetto, a dimostrazione del fatto che esisteva una certa varietà linguistica, anche se la comprensione non era comunque pregiudicata. Molto probabilmente la differenza consisteva soprattutto nella collocazione e nella qualità degli accenti, più che non nell'uso di parole particolari.

Uno strano gioco di parole

Il vecchio Inoue racconta una storiella buffa a Kano, sperando di ottenere da lui sesso orale. Così comincia a parlare di ricordi d'infanzia e di un suo omonimo vissuto a quei tempi, Inoue, soprannominato Patata-uè perché era un appassionato coltivatore dei succulenti tuberi. In giapponese è tutto chiaro: il gioco di parole è tra Inoue e Imoue, dove imo significa "patata". I traduttori in italiano non hanno potuto mantenere la forma Imoue, che sarebbe risultata incomprensibile, così hanno pensato bene di renderla in qualche modo con un ridicolo Patata-uè.

Un'epidemia di effeminatezza

Il giovane Kano, concupito più o meno segretamente da tutti, si concede a un ufficiale e viene mostrato l'atto sodomitico. L'amante focoso penetra il giovane da tergo, gemendo di godimento mentre gli scarica lo sperma nell'intestino. Senza dubbio per questo motivo il film di Oshima è stato considerato problematico. 7di9 non ritiene l'omosessualità il fulcro della narrazione. Eppure le labbra carnose di Kano sono inquadrate di continuo, con estrema malizia, suggerendo un loro uso sessuale.

Sull'ufficiale pederasta che sodomizza Kano vengono fatte alcune considerazioni bizzarre: si dice che è tale perché proviene da un distretto isolato. Semplice: la religione cristiana non vi era mai penetrata. In epoca precedente alla cristianizzazione, sembra che la pederastia fosse ben considerata. Ad esempio Tokugawa Ieyasu aveva un harem di ragazzi effeminati e travestiti da geisha.

Un brago di gran lunga più turpe

Il capitano Okita, un samurai giovane come Kano, ambiguo e alla fine artefice della sua rovina tramite tradimento, lo fa eliminare proprio per via dell'omosessualità passiva. Tuttavia lui sguazza in un brago di gran lunga più turpe: quello della pedofilia. Quando va al fiume, ci sono alcuni bambini piccoli che pescano per lui. Si ha l'impressione che il suo interesse non fosse tanto per il pesce, quanto per i bambini. Simili abusi dovevano esistere e forse erano comuni.  

Il samurai, la sodomia e il ciliegio reciso

Hijikata, appresa l'uccisione di Kano, estrae la katana e recide con un colpo secco un bel ciliegio fiorito, restando poi immobile a meditare nella notte sulla giovane vita appena stroncata. Il film si conclude con questa immagine carica di significati occulti, di fatto un geroglifico della Morte dell'Essere. L'albero reciso rappresenta il samurai effeminato, che Hijikata considerava contaminato dal Male. Quello a cui assistiamo non è un semplice passaggio della morale cristiana nel pensiero giapponese. Il concetto cristiano di peccato viene ad assimilarsi a quello giapponese di kegare "colpa ontologica". Il peccatore non è tale per libero arbitrio e il peccato non viene a dipendere dalla volontà di chi ne è colpito. In questo modo, quando tra le genti di Nagasaki l'omosessualità è diventata peccato, è stata intesa come kegare. Proprio come l'essere colpiti dal fulmine, dalla miasi o dalla lebbra, tutte condizioni di impurità. 
   
Una sequenza memorabile

L'esecuzione di un militare della Shinsengumi ad opera di Kano, che senza esitare gli taglia la testa con la katana, facendo scaturire getti di sangue dal collo reciso.

BLACK LIZARD
(LA LUCERTOLA NERA
) 

Titolo originale: Kurotokage 
Regista:
Kinji Fukasaku
Nazione:
 Giappone
Anno: 1968 

Durata: 86’ 


Scritto da:
Rampo Edogawa (romanzo)
Yukio Mishima (adattamento teatrale) 


Cast: 
Akihiro Maruyama ....  Black Lizard
Isao Kimura ....  Detective Akechi
Kikko Matsuoka ....  Sanaye
Junya Usami ....  Shobei Iwasa
Yusuke Kawazu ....  Junichi Amamiya
Kô Nishimura ....  Private Detective Keiji Matoba
Toshiko Kobayashi ....  Hina
Sonosuke Oda ....  Harada
Kinji Hattori ....  Toyama
Koichi Sato ....  Ohkawa
Jun Kato ....  Sakai
Ryuji Funakoshi ....  Kozu
Mitsuko Takara ....  Show Dancer
Tetsuro Tamba  
Yukio Mishima ....  Statua umana  


Descrizione (dal Web, da fonte scomparsa): 
Psichedelico e stravagante thriller dallo stesso regista del brutale Battle Royale; basato su un adattamento teatrale di Yukio Mishima. Black Lizard (La Lucertola Nera) è una affascinante e sadica criminale appassionata di gioielli preziosi e di bambole di carne (esseri umani da lei uccisi e imbalsamati per il suo "Museo della Bellezza Eterna"). La parte della Lucertola Nera è recitata da Akihiro Maruyama, un famoso attore giapponese noto per i ruoli femminili, che, interpretati da uomini, hanno una lunga tradizione nel teatro Noh e nel Bunraku. 

Recensione: 
In questo film crepuscolare non mancano gli spunti di riflessione filosofica. La Lucertola Nera espone la sua folle e singolare teoria sull'esistenza umana: l'invecchiamento e la morte sono conseguenze della sofferenza spirituale, così a parer suo tutto ciò che non ha in sé uno spirito è destinato a non conoscere decadenza. Cita a sostegno di questi argomenti la perfezione dei diamanti: da qui la sua mania di imbalsamare i corpi con un sistema che ne preserva alla perfezione i tessuti, tanto da farli sembrare semplicemente addormentati. Interessante è anche la teoria del detective Akechi sulla natura della donna criminale. Per illustrarla egli descrive le reazioni di tre diverse donne che ricevono un mazzo di rose con dentro un bruco. La prima getta il mazzo di rose nel camino. La seconda getta nel camino il bruco e annusa i fiori. La terza si riempie d'ira e di odio, trova l'uomo che le ha inviato lo sgradito omaggio e lo getta nel camino. Ogni sequenza di questo capolavoro è innervata da un potente anelito di morte. Conturbante è la scena di necrofilia in cui la sadica criminale bacia sulla bocca il corpo statuario di un suo giovane amante, interpretato dall'eroico Yukio Mishima. 

domenica 30 novembre 2014

LA POLITICA LINGUISTICA REPRESSIVA NELLA FRANCIA DEL XIX SECOLO

«Questo infelice biascicamento (l'occitano) è ormai tempo di proibirlo. Noi siamo francesi, parliamo francese.»
(un lettore dell'Écho du Vaucluse, 1828)

«Il patois porta alla superstizione e al separatismo, i francesi devono parlare la lingua della libertà.»
(La Gazette du Midi, 1833)

«Distruggete, se potete, gli ignobili patois dei limosini, dei perigordini e degli alverniati, costringeteli con tutti i mezzi possibili all'unità della lingua francese come all'uniformità di pesi e misure; noi vi approveremo di gran cuore; renderete un servigio alle loro popolazioni barbare e al resto della Francia che non ha mai potuto comprenderli.»
(Le Messager, 24 settembre 1840)

Come si può vedere da queste testimonianze, la Francia ha una tradizione di forte intolleranza verso le lingue diverse da quella ufficiale, un atteggiamento persecutorio che risale all'epoca della Rivoluzione. Se giudizi feroci come quelli sopra riportati sono diretti verso lingue dello stesso ceppo romanzo del francese, lascio immaginare quale potesse essere l'odio nei confronti di lingue di altro ceppo, come il tedesco d'Alsazia, il bretone e il basco: senza dubbio erano considerate favelle non umane. Non saranno certo mancati episodi violenti. Prima ancora che in Italia, la scuola è stata fucina di demenza proprio in Francia. L'Illuminismo conteneva senza dubbio una componente folle e contraddittoria, che ha introdotto nell'Occidente pacchetti memetici poi dilagati come un'epidemia di peste. "Il francese è la lingua della Libertà", si diceva, "Tutto il mondo dovrà parlare francese. Vediamo intanto di farlo parlare a tutti i francesi". L'idea di "imporre la Libertà" non è apparsa alle genti per la stortura che è. Ha avuto invece grande fortuna. Da questo seme cattivo sono nati alberi mortiferi: i regimi demonocratici di questo secolo. 

sabato 29 novembre 2014



Procediamo con pazienza nella nostra opera di ricostruzione della lingua longobarda. La lingua che abbiamo scelto presenta p- iniziale al posto di b- (es. perg "montagna" - tedesco Berg id.; pando "bandiera" - gotico bandwo "segno"), e allo stesso modo t- iniziale al posto di d- (es. tach "giorno" - gotico dags id.), mentre g- iniziale è meglio conservata, mutandosi in c- solo in alcuni contesti. La conlang neolongobarda che nasce da questo lavoro somiglia in parte al longobardo toscano e in misura maggiore a quello dei vocaboli contenuti nelle Leggi di Rotari, quindi non si può negare la sua origine nobile. Si ha una seconda rotazione consonantica non sempre sovrapponibile a quella dell'antico alto tedesco e solo in parte evidente dall'ortografia. Complessi processi di assimilazione e dissimilazione perturbano spesso la naturale evoluzione dal germanico comune, unitamente a prestiti dal gotico e da una lingua basso tedesca, di cui avremo occasione di parlare diffusamente. 

Questo è un secondo elenco di parole:   

acto, otto
ado, battaglia
aib, distretto
al, tutto
ald, vecchio
alm, olmo
anagriph, attacco
ang, ango, lancia uncinata
angrifan, attaccare
Ansegran, Odino
ard, duro, coraggioso
argait, viltà
ariman, uomo libero
arn, aquila
asc, frassino
ast, ramo
asto, volutamente 

aur, mattino (poet.)
Auriuandal, Stella del Mattino
atar, rapido
auga, occhio
avar, forte
cafand, coerede
cap, dono
castaldan, possedere
cathungi, importanza
chind, bambino; discendenza
coni, coraggioso
ebor, cinghiale
elm, elmo
ermen, potente; immenso
faida, vendetta
fau, poco
figuaida, pascolo comune
file, molto
fort, paura
fraida, rifugio
Frea, Frigg
freals, libertà
free, libero
frod, saggio, intelligente
fromo, primo
funs, pronto
gado, compagno
gail, allegro
gald, canto magico
garba, covone 

gauso, goto
gisil, asta della freccia
gisil, ostaggio; garante 

god, buono
God, Dio
gomo, uomo
grad, bramosia
grana, baffi; barba
gras, erba
griphan, afferrare
guachan, vegliare
guacta, veglia; guardia
guafan, arma 

guaida, pascolo
guandal, vandalo
guas, aguzzo
guer, uomo
guerolf, lupo mannaro
guid, vasto, ampio
guider, contro
guirdi, valore
guister, occidente
gutzo, goto
iderzon, siepe
ilza, elsa
laib, lascito
lamp, agnello
lancpard, longobardo
Lancparda, Langobardia
Lancpardo land, Langobardia
leub, leup, caro
lista, striscia; treccia

machin, forza
mahal, discussione
marrian, ostacolare
maur, terreno paludoso
mod, coraggio
mundon, avere sotto protezione
murioth, parte superiore del braccio
nand, coraggioso
natzi, rete
naud, necessità
nordeman, norvegese
north, settentrione
octa, aurora
osa, calzoni
ov, ob, corte
perso, orsacchiotto
pittan, pregare
plov, aratro
popo, ragazzo
pora, portatrice
poro, portatore
poto, messaggero
praid, largo
praida, pianura
purg, fortezza, città
purgund, burgundo
quedan, dire
rapt, trave
raud, rosso
reud, rossiccio
rinc, giovane guerriero
rissi, potente
rissi, regno
sadol, sella
salo, scuro
sax, coltello
saxo, sassone
scadan, distruggere
scapt, giavellotto
scora, costa, scogliera
scritan, saltare
sculca, pattuglia
sind, viaggio
snaida, incisione
sporo, sperone
sprincan, zampillare
suab, svevo
suind, forte
sunderolf, lupo solitario
sunderon, separare
sundro, sundero, separatamente
tad, fatto
tano, danese
thanc, grazie
thechin, uomo, guerriero
thingon, donare
thinx, donazione
thoring, turingio
thung, pesante; importante
thurs, gigante
tis, dea
treno, avambraccio
troct, schiera
troctin, signore
trocting, cavaliere della damigella d'onore
ugo, mente, intelletto
us, casa
zan, dente
zangar, zannuto
zit, tempo 

Per spiegare meglio la pronuncia dei vocaboli, sarà necessario introdurre trascrizioni nei caratteri fonetici IPA caso per caso. Questo sarà ad esempio molto utile per apprendere il suono delle vocali. Dato che non ho introdotto una notazione per distinguere le vocali lunghe da quelle brevi, sarà necessario fare attenzione. Così scora /'skɔra/ "costa" ha una vocale breve, aperta come quella di orto, mentre plod /plo:d/ "sangue" ha una vocale lunga, chiusa come quella di Roma. Sono ovviamente a disposizione di chiunque abbia osservazioni, critiche o richieste di chiarimenti. Il mio augurio è che questi sforzi portino buoni frutti e attraggano l'interesse di un numero sempre crescente di navigatori!  

sabato 22 novembre 2014

   


Ho creato un nuovo gruppo su Facebook, con l'intenzione di riportare in vita la lingua dei Longobardi. 

Riporto la descrizione: 

Questo gruppo ha come scopo il recupero e l'uso della lingua dei Longobardi, una lingua germanica che un tempo era parlata in diverse regioni d'Italia, del Nord, del Centro e del Sud. Si può definire la Langobardia come Germania Sommersa. Ecco, sarebbe bello farla riemergere. A quanti affermano che tale lingua è sconosciuta, ribatto che non è una lingua extraterrestre, che somiglia all'antico alto tedesco, in particolare all'antico bavarese, e che ha lasciato molte tracce: vocaboli attestati negli antichi codici, nomi propri di persona, vocaboli italiani che risalgono ai Longobardi. Seppur con fatica, è quindi possibile recuperare da tale materiale un vocabolario sufficiente a riportare questa lingua alla luce: se non è stato fatto è per motivi puramente ideologici.

I problemi non sono pochi. Bisogna infatti standardizzare la lingua e l'ortografia, dato che esistevano diversi dialetti e che non vi era una tradizione uniforme di scrittura. Sarà quindi necessario ricostruire l'intero apparato flessivo e iniziare a comporre brevi frasi. Un ottimo esercizio sarà riprodurre nel longobardo così ricostruito alcuni testi in antico alto tedesco e in antico sassone.

Naturalmente la lingua così ottenuta dovrebbe essere tecnicamente etichettabile come conlang, perché è frutto di studio e non di apprendimento diretto da parlanti - essendo la lingua originale estinta da lungo tempo. Confido tuttavia nella possibilità, tramite studi accurati, di ricostruire una lingua molto simile a quella originale, e forse addirittura distinguibile a stento da essa.  

Per quanto riguarda la scrittura, penso che sia il caso di scegliere un'ortografia non troppo complicata. Ho optato per l'uso di gu- iniziale al posto di w-, perché così doveva essere pronunciata almeno in pausa e dopo parole finenti per vocale; ho omesso in modo sistematico la h- iniziale, ormai muta. Si ricordi che la consonante g è sempre dura, mentre sch si pronuncia sk come in italiano. La consonante z è sempre sorda come in cozza; th è interdentale, ma mostra la tendenza a suonare come t. La pronuncia di ph somiglia a quella di f, mentre ch è una forte aspirazione in alcune parole, una k seguita da h in altre. In futuro saranno date indicazioni più approfondite sulla pronuncia delle parole. 

A questo punto aggiungo una lista di importanti vocaboli ottenuti dalle fonti a nostra disposizione (codici e antroponimi):  

achar, campo
adal, nobile
adeling
, nobiluomo
aid, giuramento
aido, accusatore
aim, paese 

aist, ira
alb, elfo 

and, mano
angar, pascolo
ans, aso (divinità pagana)
arga, codardo; omosessuale passivo 

ari, esercito
armand, compassionevole
aud, ricchezza
austar, oriente
camph, battaglia
camphio, campione
casindi, compagno; conte
cast, ospite 

crap, tomba
cuni, stirpe
cuning, re
erchen, puro, splendido
erf, marrone
erl, nobiluomo
eua, legge
fader, padre
fano, bandiera
fara, tribù
feld, campo
fereha, quercia
fio, denaro
fol, bicchiere
frido, pace
fulc, popolo
fur, fuoco
furd, guado
gaida, punta
gair, lancia
gand, demone
gard, corte
gild, pagamento
Godan, Odino
gra, grigio
grima, maschera
gris, maiale
guala, straniero
guald, bosco
gualdan, dominare
guec, via
guini, amico
guip, donna
guld, oro
gunda, battaglia
ilda, battaglia 

lagi, coscia
land, terra
lang, lungo
laun, ricompensa
lidan, andare
linda, tiglio; scudo 

liud, gente
man, uomo
mara, cavallo
marcha, confine
marchio, marchese
mari, famoso
maz, cibo
meta, dote, ricompensa

metfio, rendita
morgin, mattino
morth, omicidio
mund, difesa, protezione
nist, nido
nusca, fibbia
odol, patria
pair, verro
pald, coraggioso
pando, bandiera
pard, barba
perg, montagna
perga, riparo
pero, orso
pert, splendente
plod, sangue
prand, spada; tizzone
rachin, consiglio
rad, cosiglio
rai, cadavere 

ram, corvo
rod, gloria
ros, cavallo
scala, coppa 

scalc, servo
scamara, spia; ladrone  

scara, schiera
scauni, bello
scherpha, corredo della sposa
schild, scudo
schilla, campanello
sculd, debito
selpo, sé
sigo, vittoria
slahi, colpo
smido, fabbro
sonor, branco di maiali
stol, sedia
tach, giorno
theo, servo

theuda, popolo
trud, forza
ulf, lupo
urm, serpente; drago 

zaban, offerta sacrificale
zala, pericolo
zaua, assembramento
zucho, duca 

Si noterà che acquisendo dimestichezza con queste parole, non pochi nomi di persona citati nei documenti diverranno come per incanto trasparenti. Così Ansprand significa "Spada degli Asi"; Austrolf significa "Lupo d'Oriente"; Theudelinda significa "Tiglio del Popolo" o "Scudo del Popolo", etc. Cognomi derivati da antroponimi longobardi ci rivelano i loro segreti: Farolfi, da "Lupo della Tribù"; Garibaldi da "Audace della Lancia"; Pandolfi, da "Lupo dello Stendardo"; Siconolfi, da "Lupo Vittorioso"

I DIRITTI E IL LEVIATANO

Non abbiamo diritti propriamente detti. Questa è la dura realtà dei fatti. Se infatti un diritto non può essere esercitato immediatamente, non si può in alcun modo considerare tale. Prendiamo ad esempio il voto. Non è un vero diritto, perché per esercitarlo serve il documento elettorale, che è gigantesco: uno non se lo porta certo dietro quando va in giro. Chi lo smarrisce se lo deve far rifare e deve sopportare la coda in anagrafe, spiegare la rava e la fava al funzionario di turno e via discorrendo: si frappongono ostacoli non indifferenti tra la volontà di ottenere il documento e il suo rilascio. Un tempo, quando bastava la carta di identità per votare, il voto poteva ancora essere considerato qualcosa di simile a un diritto. Una definizione fondamentale è cambiata in modo irreversibile e nessuno sembra essersene accorto. I governi non sono nemmeno più eletti dal popolo, ma tutti si concentrano sul culo della bellona di turno, aspettandosi che ne escano praline di cioccolato. In questo regime orwelliano non si respira. Per ottenere qualsiasi cosa è necessario produrre montagne di scartoffie. Dicono di voler semplificare, e risolvono la cosa complicando tutto in modo insostenibile, chiamando però "semplificazione" il proliferare di procedure burocratiche più incomprensibili di una fitta serie di geroglifici alieni. Dicono di voler tagliare le spese, e moltiplicano senza sosta il numero dei tecnocrati parassitari. Qualcuno poi afferma che avere giustizia è un diritto. Bene, facciamo qualche rapido ragionamento. Subisci un'ingiustizia? Ti manganellano a morte? Muori di cancro per l'Eternit? Se hai parenti che strillano e portano il tuo caso all'attenzione dei media, le folle si uniranno alla protesta e strepiteranno. Le immagini del tuo corpo tumefatto gireranno per Facebook. Su di te faranno informazione e disinformazione. I giornalisti sciacalli trarranno da tutto ciò vantaggio, quindi di te e del tuo caso si parlerà per anni. Non sempre però è così. Sei solo al mondo? Non hai nessuno che urli e picchi pugni sul tavolo per farti avere giustizia? Nessuno parlerà nel Web dell'ingiustizia che hai dovuto subire, sarai soltanto una nullità dimenticata nel fango di un angiporto. Sarai inghiottito dall'Oblio. Anche nell'iniquità ci sono figli e figliastri! Quindi la si smetta di parlare di "diritti", è il concetto stesso che non è definito bene. Una cosa dovrebbe a questo punto essere ben chiara a tutti: questo organismo statuale vessatorio macina i cittadini-servi e rende loro la vita impossibile senza dare nulla in cambio. 

domenica 16 novembre 2014


LA CAPTAZIONE TELEPATICA:
UN RIASSUNTO

1) Esiste un meccanismo che permette di identificare una persona che naviga qualunque sia il pc utilizzato, e di attribuire banner pertinenti;

2) Esiste un meccanismo che permette di identificare una persona su qualunque pc stia operando, etichettando le sue attività su file offline, e di attribuire banner pertinenti, anche su pc diversi da quello su cui ha compiuto una data azione; 

3) Esiste un meccanismo che permette di identificare una persona che parla tramite un cellulare non connesso in rete, etichettando la sua attività ogni volta che si rimette al pc, e di attribuire banner pertinenti quando si connette; 

4) Esiste un meccanismo che permette di identificare una persona che parla con altre persone, senza essere online, che vi siano o meno cellulari accesi, e di attribuire banner pertinenti quando si connette; 

5) Esiste un meccanismo che permette di identificare una persona che ha un dato pensiero, senza essere online o su cellulare, e senza che lo esprima ad alta voce, e di attribuire banner pertinenti quando si connette;

6) Esiste un meccanismo, anche se approssimativo e non sempre funzionante in modo corretto, che permette di identificare progetti, velleità e calcoli formulati dalla mente di una persona, anche in modo non verbale, di etichettare somiglianze e simboli (ad esempio di convertire il pensiero "questa somiglia alla Hunziker" nella parola "Hunziker"), e di attribuire banner pertinenti quando si connette;

7) Esiste un meccanismo che permette di identificare dati presenti nell'ambiente dove una persona opera, come ad esempio disegni, marchi, simboli, e di attribuire banner pertinenti quando la persona si connette, tendendo a riprodurre gli stessi elementi.